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Dall’Olanda l’arte

di Antonio Stanca

Iperborea ha ora pubblicato il romanzo “L’anello della chiave” comparso in Olanda nel 2002 ed opera dell’allora ottantaquattrenne scrittrice Hella Haasse. Questa è nata nel 1918 da genitori olandesi a Giacarta (allora Batavia nell’isola di Giava) quando le Indie Sud-Orientali erano colonie olandesi e si è stabilita ad Amsterdam, dove tuttora vive, dall’età di vent’anni. La sua produzione è vasta, va dalla narrativa alla saggistica al teatro. Prima di questo anche in altri romanzi aveva fatto dell’Indonesia, dei suoi luoghi di nascita e formazione, l’ambiente da rappresentare sia nella particolarità e suggestione dei posti sia nella vita dell’individuo e della collettività, nel travagliato processo storico verificatosi durante i lunghi anni della fine del colonialismo, delle guerre d’indipendenza, della formazione della Repubblica Indonesiana. Leggendo l’opera si sa di storia moderna ed anche di quella antica, dei miti, delle leggende, degli avvenimenti, dei personaggi, delle opere, della religione, dell’arte, degli usi, dei costumi che hanno attraversato i secoli e dei quali ancora oggi, in Indonesia, sono reperibili le tracce. Tutto questo non appesantisce la narrazione dal momento che emerge semplicemente, naturalmente come un elemento necessario di quanto detto, un aspetto inevitabile della vita descritta. Non solo le persone ma anche le cose, le strade, le case, le piante, i boschi, i fiumi, le cascate dell’Indonesia di prima e di dopo vivono, nella scrittura della Haasse, di una loro vita, hanno una loro anima, partecipano di quanto accade, dei pensieri, dei sentimenti, dei problemi di chi tra loro si muove, tra loro agisce da diverso perché d’origine europea, da meticcio perché di genitori diversi, da indigeno. Una situazione estesamente animata è quella che la Haasse riesce a suscitare nell’opera e ammirevole è il modo col quale la ottiene, lo stile, cioè, chiaro, scorrevole, vicino al parlato, contenuto nei periodi come se procedesse per immagini, per sensazioni a volte incalzanti, capace di ridurre, alleggerire anche i momenti più gravi della narrazione, di farla riuscire facile, vicina, intima a chi legge, di legarlo fino alla fine.

Come in altre opere di ambientazione indonesiana anche ne “L’anello della chiave” la Haasse si propone di ricostruire la storia di un personaggio rimasto oscuro, misterioso e attraverso essa quella dei posti che lo hanno visto. E come negli altri anche in questo romanzo l’operazione non riuscirà del tutto e parte del mistero rimarrà inesplorata mostrando come la scrittrice creda nella forza del destino, nell’azione di presenze occulte, nella vita dello spirito e sia convinta che di essa non tutto si possa sapere.

Ne “L’anello della chiave” un giornalista chiede alla protagonista-autrice, qui in veste di storica dell’arte di nome Herma Warner, notizie circa una donna che come lei, da bambina e da ragazza, è vissuta nelle Indie Olandesi, come lei era di origine olandese anche se l’aveva scoperta registrata col nome polacco di Mila Wychinska. Gli risulta che negli anni Sessanta e Settanta ha svolto un’importante azione politica in difesa della popolazione indonesiana affinché di questa fossero riconosciuti i diritti civili e rispettato l’ambiente naturale. Vorrebbe sapere di più poiché gli è stata affidata un’inchiesta su personaggi occidentali che hanno operato nell’Asia meridionale a favore dei diritti dell’uomo e dell’ambiente.

La Warner gli dirà che si tratta di una sua amica d’infanzia e adolescenza, che il suo vero nome era Dee Mijers, che a Batavia (Giacarta) sono vissute insieme per anni, hanno frequentato la stessa scuola, studiato insieme. E mentre lo informa dell’amica del cuore, delle strane scoperte che il suo carattere particolare le riserverà, dirà pure di quanto avveniva a Batavia, della sua e di altre famiglie della città, della loro vita privata e pubblica, dell’isola di Giava e dell’intera Indonesia dei suoi e dei tempi passati. Per compiere un’operazione così vasta niente le verrà in soccorso poiché smarrita è la chiave del baule dove ha conservato lettere, fotografie ed altri documenti del passato suo e della sua terra d’origine. Dovrà affidarsi a ricordi personali e a quanto fin da bambina le è giunto da racconti di familiari o di altre persone. Un libro di ricordi, quindi, “L’anello della chiave” e questo contribuirà ad accrescere il tono da favola, l’atmosfera magica, che contraddistinguono molta narrativa della Haasse e la collocano tra i maggiori autori del nostro tempo, tra quelli che ancora credono nell’arte come espressione dello spirito, come fenomeno che trascende la realtà per assumere un valore, una funzione ideale, per trasformarsi in un messaggio esteso, senza limiti. Ad essa tendono e per essa s’impegnano. A ottantaquattro anni la Haasse è riuscita di nuovo, di nuovo ha sentito il bisogno di trasmettere, di comunicare delle verità superiori come nelle altre sue opere e come pochi autori ormai. Ha ottenuto tanto pur con un mezzo semplice quale la sua scrittura ed anche se i disegni, i fregi “dell’anello della chiave”, che finalmente è stata trovata,  hanno rivelato di contenere   una citazione di un antico autore persiano che ammonisce chi, come lei, tanto crede nell’idea, nello spirito: “…tutto ciò che hai visto o sentito un giorno, tutto ciò che hai creduto di sapere non è più quello ma altro…”.


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