Hesse: dall’uomo a Dio (*)
(Un’opera senza tempo)
di
Antonio Stanca
L’esito
di una recente indagine ha dimostrato che uno dei romanzi più letti in
Italia, dagli anni Ottanta ad oggi, è “Siddharta”, recentemente
ristampato da Adelphi, dello scrittore tedesco Hermann Hesse
(1877-1962), Nobel per la Letteratura nel 1946. L’opera, completata nel
1922, fu pubblicata nello stesso anno dalla S. Fischer di Berlino e da
noi comparve nel 1945 per i tipi della Frassinelli di Torino con
traduzione di Massimo Mila. Essa va ascritta al periodo detto del
Decadentismo, corrente culturale ed artistica europea volta ad esprimere
i valori dell’idea, ad evidenziare il soggetto rispetto all’oggetto. In
questa Hesse s’inserisce in modo singolare giacché le sue opere, come
quelle del contemporaneo e connazionale Thomas Mann, sono quasi sempre
impegnate nella ricerca di una combinazione, anche se difficile, tra
ragione e sentimento, materia e spirito. Hesse e Mann non evadono dalla
realtà come voluto dalla poetica decadente ma tendono a comprenderla, ad
integrarla in una visione più ampia, più articolata, a conciliarla con
l’idea ed a farle coesistere. A differenza di Mann Hesse perseguirà
l’obiettivo con un rigore ed una razionalità minori perché non rinuncerà
agli abbandoni estatici o accensioni mistiche che facevano parte della
sua personalità fin dai tempi della prima formazione. Egli è un
passionale, un istintivo e come nella vita così nelle opere la
composizione dei due termini, reale e ideale, rappresenta una conquista
che giunge dopo un percorso dalle alterne vicende durante le quali è
prevalso l’uno o l’altro. Questo avviene in ognuno dei suoi romanzi: in
essi si comincia sempre dall’inizio, si segue sempre una via nuova
rispetto alla precedente come se nessuna meta fosse stata raggiunta
prima. “Siddharta”, la storia del principe asceta, costituisce uno dei
tanti percorsi compiuti dall’uomo e dall’artista Hesse. Costante è il
rapporto, in questo autore, tra quanto vissuto e quanto scritto: egli
s’immedesima nei suoi protagonisti e identico è lo spirito che muove
l’uno e gli altri. Succederà, quindi, che dopo un viaggio in India
concepisca “Siddharta”, breve romanzo d’ambientazione indiana, nel quale
lo scrittore rappresenta i propri umori di moderno intellettuale europeo
diviso tra l’adesione alla realtà, che nel libro corrisponde a “samsara”,
e l’aspirazione ad evaderla, a liberarsene, a preferire l’idea o
“nirvana”. Codesto dissidio si risolverà, per Hesse e il suo principe
indiano, nella scoperta ed acquisizione di un sentimento nuovo che lo
comprenda insieme ad ogni altro contrasto ed elemento e aspetto del
mondo e della vita, l’”Om”. Soltanto quando Siddharta si sarà sentito
disposto a vivere una vita cosmica, totale e ne avrà fatto una nuova
coscienza si placherà la sua brama di conoscere, sapere che, comparsa
nella prima giovinezza, lo aveva sempre inquietato e fatto di lui un
eterno scontento, un ramingo, un pellegrino. Per seguire tale richiamo
aveva abbandonato la casa del padre ed i privilegi della sua condizione
sociale, la setta dei seguaci del Sublime Gotama, l’amico Govinda,
l’amore di Kamala e l’agiata posizione di mercante. In ognuna di queste
esperienze aveva intravisto l’aspirata realizzazione ma ogni volta erano
sopraggiunti il disgusto, il disprezzo per quanto ottenuto poiché
rivelatosi riduttivo, limitativo rispetto alle più estese esigenze del
suo animo. Eppure si era impegnato, prodigato in tali situazioni perché
credute definitive ed invece aveva improvvisamente avvertito il vecchio
richiamo e constatato il suo destino come non ancora compiuto. Si
sarebbe compiuto con la scoperta, da parte di Siddharta, dei pensieri,
delle azioni, delle parole, dei silenzi, della vita dell’umile barcaiolo
Vasudeva, quello che lo aveva aiutato mentre fuggiva dai suoi luoghi per
inseguire i sogni. Tramite Vasudeva Siddharta sarebbe venuto a contatto
con i contenuti ed i modi della vita e con questi avrebbe identificato
quella pienezza, quell’assoluto così a lungo ed invano cercati. Non
rimaneva che scegliere di divenire l’erede materiale e morale di
Vasudeva, di continuare le sue azioni e pensieri dal momento che nella
loro semplice unione stava quella più complessa di vita ed opera cercata
da Siddharta. Per lui che aveva “saputo pensare, aspettare, digiunare”
dietro il suo sogno era venuto il momento della scoperta, della verità.
Dal barcaiolo aveva appreso che la perfezione, la sublimità stavano
nell’accettazione dell’esistenza come fenomeno molteplice, infinito e
che questo sentimento, questa coscienza rendevano l’uomo simile al Dio
supremo poiché abolivano ogni limite di tempo e luogo e trasformavano
tutto in un eterno presente dove era possibile sentire in sé gli
sterminati aspetti della vita, la totalità, l’universalità del creato,
l’immensità dell’essere, il suo incessante divenire.
Siddharta si sarebbe
trasformato in un altro Vasudeva, in una persona comune, in un semplice
barcaiolo giacchè era divenuto consapevole che la verità non risiede di
là dell’uomo ma in lui, non oltre il fiume ma nel fiume sempre uguale e
sempre nuovo come “ la corrente della vita”, sempre unico e sempre
multiplo come l’unicità e la molteplicità dell’essere. Il viaggio di
Siddharta si concludeva in lui avendo egli capito che per essere Dio
bastava essere semplicemente un uomo capace di vivere la cosmicità, di
annullare ogni distacco, frattura, divisione tra gli esseri e le cose e
viverli tutti e contemporaneamente spiegandoli e giustificandoli come
gli innumerevoli e necessari aspetti di un’esistenza che, senza soste,
si ripete e si rinnova. Tutte le realtà risultavano riunite in una sola
ed immensa, tutte le vite, tutta l’umanità in una vita, in un uomo
liberati dai limiti di quantità, estensione, durata. Tale sentimento
d’immensa compresenza e compartecipazione, tale dimensione superiore
all’umana e pari alla divina avrebbero appagato Siddharta ed ogni uomo
che, come lui, si fosse sentito preso nello stesso destino.
Questo è il messaggio
che proviene dal libro di Hesse, questo spiega l’interesse che ancora
suscita presso il pubblico specie giovanile. Esso interpreta le
speranze, i sogni di quanti vorrebbero evadere dalla situazione vissuta
in cerca di altre realizzazioni e, perciò, soprattutto dei giovani
moderni spesso inquieti, insoddisfatti e propensi a cercare, cambiare,
rinnovarsi, ad avvertire impulsi, emozioni, slanci, a provare sensazioni
di ampiezza, d’infinità. Anche lo stile di Hesse ha favorito il successo
del libro perché capace, con i suoi trasporti lirici, di emozionare,
entusiasmare, commuovere e, con la sua chiarezza, di risultare sempre
vicino al lettore.
Hesse non è stato
soltanto scrittore ma anche poeta e pittore e questi aspetti della
personalità, insieme al carattere mistico che tutta la pervade, spiegano
la sua prosa così pronta ad incidere nell’animo prima che nella mente
come appunto avviene con i versi e le immagini. Sono le qualità che
hanno fatto di “Siddharta” un riferimento continuo, un’opera senza
tempo.
(*) da “Segni
e comprensione” - Università degli Studi di Lecce |