Raffaele Iosa
L'educazione contro il declino
Frammenti di ottimismo sulla scuola e dintorni
pp. 238, Centro Studi Erickson, 2006
E'
appena stato pubblicato il bel libro di Raffaele Iosa "L'educazione
contro il declino". E' un libro che raccoglie numerose riflessioni sul
declino della scuola in questi ultimi anni e del senso della socialità.
Ma non è pessimista. Anzi, come si legge nel sottotitolo è costituito da
"frammenti di ottimismo sulla scuola e dintorni". Si tratta di brevi
riflessioni mediamente di dieci pagine ciascuna in cui esprime la sua
formazione pedagogica ed umana maturata in una vita di lavoro in prima
linea nella scuola.
Si va da scritti diffusi nel primo periodo del nuovo Governo di
Centrodestra, che gli fruttarono l'esilio dal Ministero. Seguono le
riflessioni di questi cinque anni in cui è al centro la forza
dell'educazione non solo all'istruzione, ma a saper capire il nostro
tempo e la globalità coi suoi valori e disvalori, il dramma dei bambini
della Bielorussia, la scelta per la paternità adottiva , l'humanitas in
una parola oggi messa a rischio da una visione efficientistica e
fortemente competitiva della scuola e della società.
Ho conosciuto Raffaele Iosa durante gli anni del suo coordinamento dell'Osservatoriom
scolastico ministeriale e da allora l'ho seguito culturalmente anche
come coorganizzatore delle Marce di Barbiana ed in numerosi incontri.
Questo libro, malgrado la durezza dei tempi attuali per la scuola, è la
testimonianza sincera di uno spirito libero che certamente aiuterà tanti
altri spiriti liberi a non disperare e continuare il duro impegno
culturale a favore della vera crescita degli esseri umani.
Ritengo opportuno pubblicare la Presentazione del libro, a firma
dell'Autore, affinchè sia di stimolo per tutti alla lettura dell'intera
opera.
Salvatore Nocera
Presentazione
(ottobre 2005)
di Raffaele Iosa
Più che una presentazione, una provocazione. Poesia è pedagogia?
Alberto Alberti è, assieme a Sergio Neri, il mio padre pedagogico. Ha
segnato la mia esperienza umana e professionale fin da giovane maestro.
A lui devo affetto e riconoscenza. In un suo libro, una biografia in
forma di intervista, con mia grande sorpresa, si riferisce a me con
queste parole:
Nell'attuale battaglia delle idee, gli interventi degli ispettori non
sono marginali. E addirittura ci sono stati e ci sono casi di
sovraesposi-zione. Uno per rutti, quello di Raffaele Iosa che, per un
certo momento sembrò (e sembra ancora a molti) maturo per una direzione
generale, ma che ad altri appare troppo generoso e schierato per
occupare un posto di vertice.
Confesso che penso spesso a Raffaele con una sorta di affettuosa
sofferenza: come se mi trovassi davanti alla mia immagine giovanile,
candida e disarmata, pronta a slanci e passioni in un mondo che era
freddo, arcigno e che, in ogni caso, sapeva dosare le emozioni. E mi
recito i versi del poeta: «Così pronto di cuore, lo ammazzeranno un
giorno in qualche strada». (Alberti e Cardoni, 2005, p. 105)
Sono un ispettore scolastico nato nel 1952, figlio proletario di un
tranviere, nato alla coscienza civile nel Sessantotto e a quella
pedagogica con Lettera a una professoressa di Don Milani. Sono, senza
rimpianti, figlio della generazione del secondo dopoguerra. Ho fatto per
dieci anni il maestro in un quartiere operaio di Marghera, il direttore
didattico per otto e poi l'ispettore. Tutti concorsi guadagnati senza
alcuna raccomandazione: sono di sinistra. La mia è una storia come tante
della mia generazione: scuola, didattica e politica.
Ho fatto il sindacalista della Cgil Scuola, poi l'ispettore a Rovigo,
Bologna, Ravenna e in Ministero. Soprattutto tra il 1996 e il 2000 ho
avuto la fortuna di collaborare con l'ex ministro Luigi Berlinguer,
nella difficile epoca del governo dell'Ulivo. In quell'epoca sono stato
protagonista dell'avventura dell'autonomìa scolastica, al cui
Regolamento ho lavorato. Ho poi coordinato la politica nazionale
dell'integrazione scolastica degli alunni disabili, quando Sergio Neri
nel 1998 si è ammalato e nel 2000 ci ha lasciati, affidandomi una
difficile eredità. Ma non sono stato in quegli anni un freddo e arcigno
carrierista: ho criticato apertamente la Commissione sui curricoli della
scuola di base per la legge 30/2000 e ho difeso l'autonomia delle scuole
quando si è profilata la riforma del Ministero dell'Istruzione che
riportava in auge la solita burocrazia, anche se travestita. Insomma,
non ho taciuto se credevo in qualche cosa.
Nonostante fossi esplicitamente schierato e si dicesse che in quegli
anni io avessi un forte appetti popolare e politico, sono andato a Roma
da ispettore e da ispettore sono tornato a casa mia, dopo lo spoil
system del 2001, quando vinse la destra. Nei miei anni romani mi sono
sempre pagato viaggi e soggiorni. E stata un'avventura che mi volevo
godere libero. Non ho mai chiesto a nessuno di fare carriera. Per
questo, quando De Mauro nominò Ì nuovi direttori generali regionali, in
molti si sorpresero della mia esclusione, ma non io. Anzi, a quattro
anni di distanza, vedo quella presunta bocciatura come una fortuna. Sarò
passionale, ma non ingenuo: meglio generoso che invischiato nei vertici
arcigni di cui parla Alberto Alberti. Non faceva per me. Quindi nessun
rimpianto.
Penso invece che chi ama davvero l'educazione deve naturaliter essere
candido, disarmato e caldo. Ce lo impone il tema stesso, che lavorando
nella dimensione «futuro» (perché si educa, altrimenti?) non può che
mescolare scienza con profezia, ragione con sogno, realtà con utopia.
Sapendo anche rischiare.
Quindi, non ho fatto alcuna malattia perché la sinistra non mi ha fatto
fare carriera. Anche a sinistra ci sono storie fredde e arcigne. Non
cederei per nulla al mondo l'onestà di una ricerca intellettuale
sincera.
Eppure questi ultimi quattro anni sono stati davvero di «affettuosa
sofferenza»: non sono stati anni di confronto aperto, di rispetto delle
diverse posizioni sulla scuola e sull'educazione. Sono stati anni senza
dialogo.
Anni nei quali pedagoghi ombrosi non ammettevano dialettica alcuna sulle
proposte che offrivano al principe di turno. Anni di leggi imposte più
che di innovazione condivisa. Anni di argomenti a volte fatui, sui quali
non veniva neppure voglia di discutere. Anni, per me, soprattutto di
declino non solo e non tanto della scuola, ma di tutto il nostro
panorama sociale, umano, culturale, economico. Ho visto non solo una
crisi della scuola sotto una destra confusa, oscillante tra
neodarwinismo e conservatorismo compassionevole, ma anche i balbettii di
una sinistra politica e culturale più capace di dire «no» che di
riproporsi con un suo sogno. Forse oggi è più difficile sognare per
tutti, ma questo non motiva un uso distorto della solita «complessità»
come giustificazione per scusare l'incapacità di visioni che vadano
oltre l'ultima cronaca elettorale.
La crisi dell'educazione, del civismo, delle responsabilità adulte va
oltre la cronaca politica.
La mìa sofferenza sta qui. Non nel fatto dì essere passato da 200.000
persone incontrate ogni anno tra il 1996 e il 2000 al quasi nessuno del
2002, né nella grigia scoperta che chi ti era amico anni prima oggi
parla male dì te (quando si perde si diventa più cattivi, non più
solidali), ma nella percezione di una fase collettiva di vuoto e dì
stanchezza che rischia di travolgere l'evoluzione civile degli uomini e
delle donne di buona volontà che pensano all'educazione, condannando
loro alla nostalgia e all'afasia.
Io alla nostalgia ho cercato di reagire studiando, prima che parlando.
Mi sono rcimmerso nelle scuole, tra gli insegnanti reali e nella vita
quotidiana, ricevendone in cambio forza e speranza dai tanti che sono
ancora alla ricerca di scopi seri.
Ho avuto la fortuna di scoprire una mia nuova Barbiana in un
orfanotrofio bielorusso per il quale lavoro al fine di liberare Ì
bambini da un destino già segnato, scoprendo da li la banalità di molti
dei nostri conflitti.
Qualcuno ha interpretato certi miei lunghi periodi di silenzio come
distacco e disinteresse, qualcun altro perfino cinicamente come attesa
di saltare il fosso. Era vero esattamente il contrario: bisogna essere
più seri, profondi e creativi quando ti viene addosso il declino e la
crisi.
Mi considero un uomo ragionevole, né particolarmente rivoluzionario né
utopista. L'educazione è il mio mestiere e fin dal 1968 credo che la
scuola giusta sia quella di Don Milani, quella nella quale tutti gli
esseri umani nascono eguali, ma se poi crescendo non lo sono è colpa
nostra e tocca a noi rimediare. Credo che la scuola e l'educazione dei
bambini siano in crisi non perché ci sia un governo o un altro, ma
perché le nostre società opulente hanno smesso di pensare al futuro, si
sono chiuse in un timoroso presente da difendere contro nuovi fantasmi,
nuovi nemici, hanno smesso di fare figli e di amare l'educazione.
Bambini come clienti, bambini come cloni, adulti smarriti tra spot e
nuovi santoni. Intanto bussano ai nostri confini milioni di poveracci a
cui noi leviamo, con i nostri Game boy e cellulari, una speranza dì
dignità della vita.
Questo libro contiene un percorso di ricerca particolare, che mi ha
accompagnato in questi anni, che ho lievitato e meditato finalmente con
una lentezza ben maggiore dei tempi passati.
Sono frammenti mai pubblicati in modo sistematico, un buon numero del
tutto inediti, altri apparsi in Internet su vari siti, provocando
piacevoli riscontri, copiature e smembramenti in altri siti. Molti mi
hanno chiesto di poterli avere finalmente tutti insieme. Di quelli già
pubblicati in Internet ho inserito le date dì uscita e alcuni commenti
per ricontestualizzarli, tutti gli altri sono stati appositamente
scritti per questo libro.
Ma non è questo il punto. Il fatto è che, rileggendoli e mettendoli a
posto nel mio computer, mi sono reso conto che, pur nella loro forma di
brevi frammenti, costituiscono un corpus di idee che esprimono una
specie di «strutturale pedagogia dell'ottimismo». Per questo li riordino
qui, augurandomi che siano utili a chi, come me, intende contrastare il
declino sociale e crede che l'educazione possa migliorare il mondo.
Rileggendoli, mi sono anche accorto di una cifra stilistica che non
riuscivo a vedere prima. La passione, che rivendico come una dote della
mente e non del cuore, mi rende facile produrre metafore,
linguaggi, emozioni che sembrano più figli della poetica che della
scienza. Non me ne vergogno affatto e considero anzi questo linguaggio
come una chiave che può meglio aprire scenari, riflessioni e proposte. I
miei maestri non sono solamente Freud, Marx, Comenio e Dewey, ma anche
Pascoli, Pasolini e Roberto Benigni. D'altra parte oggi sono così banali
le molte ripetitive accademie di slogan precotti ed è cosi in crisi la
ricerca pedagogica seria, da poter offrire una divergenza di stile anche
come rottura di schemi aridi e asettici. Per sperare in un mondo
migliore anche un'emozione ci aiuta.
Ho diviso i diversi frammenti in cicli, riproducendo quelli che avevo
pubblicati in Internet con alcune precisazioni per contestualizzarli.
Il primo ciclo, quello del declino, riguarda quei frammenti di critica
al presente che mi sono costati i maggiori scontri, cercando però sempre
di andare oltre le sole polemiche momentanee. Il secondo, quello
dell'eremo riflessivo, è la parte più intima e silenziosa della mia
ricerca sull'educazione contro il declino. La terza, quella della nuova
Barbiana, racconta il mio incontro con la globalizzazione e con
l'orfanotrofio bielorusso, una delle tante Barbiane che vi sono al
mondo, esempio dello sguardo ormai mondiale che il nostro pensiero
educativo dovrà assumere. E, infine, il ciclo della speranza, gli ultimi
frammenti, nei quali dialogo con un futuro fantasioso «Gadulivo» (cioè
il centrosinistra così da me un po' ironicamente e affettuosamente
chiamato per tutto il libro), come «scusa» per avere un interlocutore,
sgangherato o meno che sia. Lì immagino proposte che vadano oltre la
contingenza, che corre il rischio di essere ancora l'italica confusione
di un Paese che non riesce mai a cambiare davvero, nonostante stia
correndo verso baratri patetici. Questi ultimi brani rappresentano una
sorta di programma senza pretese di esaustività, con frammenti di poesia
e pedagogia, che possono servire. Io credo nella Politica, senza di
questa non c'è umanità.
Non mi aspetto speciali carriere personali nei prossimi anni, né mi
auguro di finire ammazzato per strada. Sono felicemente nonno e tra un
po' padre adottivo. Scrivo quindi senza un interesse privato. Vorrei
solamente contribuire affinchè ritorni un'Italia pedagogica della parola
libera, del confronto fertile e della dialettica rumorosa. Come non è
stato in questi anni, tra assordanti silenzi e squilli di trombe
presuntuose.
Per un'Italia più pedagogica ho moltissime aspettative comunitarie,
sociali e politiche e nessuna intenzione di abbandonare il campo
dell'impegno, stando assieme a chi desidera che il nostro Paese migliori
ripartendo dall'educazione dei nostri figli. Lavoro per una politica
coraggiosamente più etica.
Mi sento vicino alle molte altre persone in cerca di senso e di valori
forti in cui credere. Questo libro è scritto per condividere con loro
questa speranza.
Sono lieto che Dario Ianes abbia accettato di pubblicarlo per la sua
Erickson. A lui mi lega un comune impegno sull'integrazione. A lui devo
l'occasione che mi da sempre di aprire i convegni biennali Erickson di
Rimini «La Qualità dell'integrazione scolastica», dove ogni volta sembra
chiedermi di fare da «icona delle emozioni forti». Ruolo che gioco
volentieri.
Ringrazio qui Massimo Nutini, grande tecnico dell'ANCI in fatto di
scuola, e Aladino Tognon, straordinario dirigente scolastico, perché in
questi strani anni non è mai passato un giorno senza che ci sentissimo
per telefono. Assieme abbiamo vissuto l'avventura della Marcia di
Barbiana, fratelli ormai. Loro sono stati Ì miei lettori in anteprima,
abitualmente critici e spesso affettuosamente pedanti. Siamo cresciuti
insieme.
Ma questo libro è dedicato a una sola persona, a mia moglie Rita, che
spesso mi fa da inconsapevole musa con i suoi racconti di maestra di
scuola dell'infanzia e che, in un mio momento diffìcile, era decisa a
non andare più dalla parrucchiera, in ferie, al ristorante o a comprarsi
vestiti per ridare a me libertà di parola. Non è stato, il suo, atto di
generosità, ma amore e basta. Che qualche volta penso di non meritarmi
così tanto.
Contenuti
PARTE PRIMA Il ciclo del declino
- I segni del declino e l’educazione
- Il ruggito del coniglio, ovvero un Ministero dell’Istruzione
inutile se non dannoso
- Il documento Bertagna sui cicli, ovvero la scuola tra Erode e Iva
Zanicchi
- Messaggi in bottiglia per un dizionario critico
- La strana organizzazione della nuova scuola primaria
- Una sonata in re minore per i silenzi di Nutini
PARTE SECONDA Il ciclo dell’eremo riflessivo
- Apologia della scuola elementare in Italia. Scuola di popolo,
scuola di diritti
- Folgorato sulla via di Comenio
- Il disgusto di Dio, la guerra, la scuola e i poveri cristi
- Il tempo (non) è denaro
- Sistema di valutazione della scuola, ovvero i rischi della gnosi
del nulla
- Scuola dell’infanzia, mon amour
PARTE TERZA Il ciclo delle nuove Barbiane
- Buon Natale da ariosa berosa
- Bambini bielorussi, famiglie italiane: un paradossale miracolo
educativo italiano postmoderno
- Diritti e rovesci della globalizzazione
- Una nave-scuola nell’erba per una città dei bambini
PARTE QUARTA Il ciclo della speranza
- Eguaglianza
- Libertà
- Autonomia. La scuola in comune
- Conoscenze. Un curricolo-fantasma per la scuola di base
- Generazioni. Un nuovo patto per l’educazione contro il declino
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