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Briganti d’Italia di Antonio Stanca
Tra i viaggi compiuti dall’Irving in Europa rientra anche quello in Italia e con questo vanno collegate le “Storie di briganti italiani”. Pur se ridotta nei contenuti l’opera permette di cogliere gli aspetti fondamentali della scrittura dell’Irving, la capacità di combinare quanto gli giungeva dalla sua cultura circa i luoghi rappresentati, il loro passato, con le vicende immediate della narrazione, il loro presente, senza rinunciare al motto di spirito, a fare ironia quando la circostanza lo permetteva. La tendenza all’erudizione propria del Settecento si univa, nell’Irving, alle fantasie, agli entusiasmi, agli ardori, al gusto per il passato storico che la cultura romantica del primo ‘800 diffondeva ovunque in Europa anche se tutto questo non gli faceva concepire opere di vasto respiro poiché generalmente orientate al recupero, registrazione, rappresentazione di particolari ambienti, momenti o personaggi. Come altrove così in “Storie di briganti italiani” dove l’Irving racconta dell’incontro avvenuto nel Lazio, in una locanda di Terracina, tra viaggiatori di diversa provenienza e direzione. Si era ai primi dell’Ottocento e l’Italia centrale e meridionale era infestata da briganti che, costituiti in bande ognuna con proprie regole, vivevano tra monti e boschi e assalivano i viaggiatori derubandoli ed a volte uccidendoli. Tra essi e la gente del posto, soprattutto dei paesi o villaggi montani, c’erano delle intese che servivano ad avvisarli della presenza o arrivo delle guardie oppure di occasioni propizie per ricavare un buon bottino che poi avrebbero diviso. Di quanto, a proposito di briganti d’Italia, si è sentito o si sente dire o di circostanze vissute personalmente cominciano a parlare, una sera, nella locanda di Terracina i viaggiatori che si sono ritrovati ed inizia così, nel libro dell’Irving, una serie di racconti che si continuano e s’intrecciano tra loro riprendendo un modello antichissimo ed adattandolo a situazioni nuove. Sentite, vivaci, animate sono le storie riportate, non dicono solo di malefatte ma anche di azioni, sentimenti ammirevoli da parte dei briganti, chiariscono spesso come all’origine della loro condizione ci sia stata una circostanza che non hanno potuto sopportare poiché ingiusta, offensiva nei riguardi loro o delle loro famiglie. Molti di essi sono stati persone d’onore anche se ora si trovano a dover obbedire alle regole della banda alle quali hanno prestato giuramento. Non sempre riprovazione, quindi, ma spesso ammirazione suscitano tali racconti presso chi ascolta anche perché sentir dire di una vita condotta all’insegna dell’imprevisto, dell’avventura, entusiasma al punto che si vorrebbe provarla. E pure presso chi legge l’effetto è positivo dal momento che s’incuriosisce il lettore a ciò che accadeva, a come si viveva tra le montagne e le borgate della nostra penisola mentre altri, diversi avvenimenti storici e culturali si verificavano nei centri urbani, si vede chiarite da vicino le cause sociali, povertà, sopraffazione, che erano state all’origine del fenomeno del banditismo, apprende quella storia minore generalmente trascurata dalla cultura ufficiale. E queste conoscenze avvengono nella maniera facile, a volte divertente, che contraddistingue la prosa dell’Irving, sono fornite da una scrittura capace di procedere tra grovigli di situazioni senza mai appesantirsi ma con una scorrevolezza e semplicità tali da renderle ovvie, naturali, da non far distinguere tra il racconto e il diario, la narrazione e il documento. |
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