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Dalla
vita alla letteratura
Dal
2002 al 2007 il giovane scrittore bosniaco Miljenko Jergović è stato
impegnato nella “trilogia della macchina”, tre romanzi che narrano del
rapporto tra l’uomo e la sua automobile. Il primo s’intitola
Buick Riviera, il secondo
Volga, Volga, il terzo
Freelander. Questo, uscito
nella versione originale nel 2007, è ora comparso in Italia per conto
della casa editrice Zandonai. La traduzione è di Ljiljana Avirović.
Jergović ha quarantaquattro anni, è nato a
Sarajevo nel 1966, qui è vissuto fino al 1992, si è laureato in
Filosofia e Sociologia, dal 1993 vive e lavora a Zagabria. Ha esordito
come poeta nel 1988, come scrittore nel 1994 col famoso
Le Marlboro di Sarajevo, una
raccolta di racconti che gli ha procurato molti riconoscimenti e lo ha
reso famoso oltre i confini della sua terra. Ha continuato come
giornalista, redattore, drammaturgo, traduttore, conduttore televisivo e
soprattutto come scrittore. Le sue narrazioni sono state spesso premiate
e tradotte in molte lingue: è considerato il maggiore dei nuovi
scrittori della ex Jugoslavia. Suo genere preferito è il racconto breve,
il suo stile è vario, dal periodo molto ampio a quello brevissimo, dai
toni alti a quelli bassi. Anche nel contenuto si alternano temi
ricercati ad altri comuni, quotidiani. Vero, autentico vuole riuscire in
tal modo questo scrittore, della vita egli vuol dire, di come è fatta,
di quanto comprende, di ciò che avviene, di chi la vive. Ad essa vuol
far aderire la sua scrittura,
alla vita della vecchia Jugoslavia, ai suoi gravi avvenimenti,
alle guerre esterne ed interne, alle distruzioni, crudeltà di ogni
genere successe quando
inconcepibile era ormai divenuta tanta violenza nei rapporti umani e
sociali. Della sua vecchia terra scrive Jergović nelle
numerose opere perché di essa intende recuperare lingua, religione,
costumi, quanto, cioè, la distingueva e ne faceva una nazione.
Un’aspirazione difficile la sua se si tiene conto che molte sono le
etnie che in Jugoslavia si sono succedute, incontrate, scontrate, che
controverso è stato il loro rapporto, impossibile una loro combinazione,
che tante sono state e sono rimaste le lingue, le religioni e le usanze.
Questo non ha fatto desistere Jergović perché convinto è rimasto che
tanta varietà e vastità non è un problema bensì un segno distintivo che
va cercato in ogni luogo della passata Jugoslavia. Così ha proceduto
nelle sue narrazioni e così ha concepito l’idea del viaggio che fa
compiere al protagonista di
Freelander. Un viaggio, infatti, permette di venire a contatto con
tanti luoghi, tante persone, di vivere tante situazioni. Il viaggiatore
è il professore Karlo Adum che, con la vecchia e inseparabile Volvo,
dopo circa cinquant’anni va da Zagabria, dove è vissuto, a Sarajevo,
dove è nato. Ora è solo, è vedovo, è pensionato ed una circostanza
particolare lo convince ad andare a Sarajevo e percorrere tanti
chilometri. Porta con sé una pistola per difendersi da eventuali
pericoli e passa attraverso città, villaggi, campagne dove visibili sono
i segni di una recente guerra. Sono immagini di rovina, di miseria, di
pena, di dolore, di morte quelle che gli si offrono, sono pericolosi gli
incontri che fa per strada o nei locali dove si ferma e sono soprattutto
ricordi quelli che affiorano ad ogni passo. Anche questo è un libro di
memorie e stavolta le memorie sono proprie dell’autore essendo il
viaggio compiuto dal professore quello che Jergović compie nel ricordo
della sua vita passata. I luoghi attraversati da Karlo Adum con la sua
Volvo sono stati dello scrittore ed essi egli vuole mostrare nelle gravi
condizioni attuali, vuole rappresentare i danni che hanno subito da una
delle tante guerre della Jugoslavia, le gravi conseguenze che ancora
durano. Vuole esprimere il suo sdegno per tanto male, denunciare i
responsabili, entrare nella storia, giudicarla. Dalle piccole cose di
ogni giorno Jergović muove, in questa e nelle altre opere, verso temi,
tempi, spazi più ampi, dal caso procede verso la storia e di storia sono
i suoi romanzi e racconti, di una storia che è stata crudele. Di essa
egli fa letteratura, il documento traduce in un racconto che ne estende
il significato, lo fa giungere a tutti. E’ il compito che Jergović
ritiene debba essere di ogni autore, quello di non evadere la vita, la
storia ma d’impegnarsi per diventare la loro voce. |
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