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Alessandro Lattarulo, Che cos’è l’Europa? E’ solamente e riduttivisticamente un progetto economico-monetario ingabbiato in un astratto apparato burocratico-politico-istituzionale? O è un progetto etico-politico da realizzare attraverso un processo storico fondato su valori forti di riferimento, capaci di inverarsi in un modello di integrazione alternativo all’attuale fase di globalizzazione, che si caratterizza per il prevalere della ragione strumentale ed economicistica su quella dialettica e finale? In altri termini, l’Europa deve avere un’anima, un senso, uno scopo capace di mobilitare in modo attivo e propositivo le energie individuali e collettive che si organizzano dal basso? O dobbiamo rassegnarci ad una stanca, fredda e formale operazione di ingegneria istituzionale del tutto priva di legami con i bisogni, i sogni ed i desideri dei cittadini europei? E noi docenti di scuola dobbiamo partecipare alla costruzione dell’Europe-building proponendo alle nuove generazioni i miti di un finto passato comune o dobbiamo proporre una memoria negativa? A queste domande il saggio di Alessandro Lattarulo, un giovane e valente ricercatore pugliese della scuola di Barcellona, Cassano e Cotturi, dà una risposta netta, chiara e precisa: o l’Europa ritorna alle sue radici di spazio aperto e pluralistico, ben simboleggiate dal Mediterraneo, o non sarà altro che un clone, una mera propaggine geo-economico-politica degli Stati Uniti, che pilotano un processo di globalizzazione caratterizzato dall’assimilazione sociale, economica, politica e culturale di aree sempre più vaste del globo, in cui si accrescono drammaticamente la fame, la miseria e la disperazione, vero brodo di coltura di un terrorismo globalizzato. Dopo l’allargamento ad Est, l’Europa attraversa una nuova crisi politica ed identitaria. Essa oscilla fra tentazioni assimilatrici e di apertura. Da un lato, tende verso una mera integrazione negativa, con ricadute sfavorevoli sul modello sociale europeo, sulla sua estensione e il suo rafforzamento (Ivi, p. 71), nonché verso un ispessimento della logica dentro/fuori, una torsione del concetto di confine da frontiera a limes militarizzato. Dall’altro, l’Europa ha la possibilità di ritornare alle sue radici storiche, filosofiche e filologiche rintracciabili nel Mediterraneo, da concepire come spazio sia geo-politico sia simbolico capace di unire il diverso. Uno spazio in cui l’identità non si irrigidisce in una diversità selvaggia, portatrice di distruzioni e violenze inaudite, ma si configura come processo storico, realtà mobile, capace di coniugare orizzonti e confini, senso di appartenenza ma anche di apertura: Il Mediterraneo - sottolinea Lattarulo - ha la vocazione di unire il diverso, come programmaticamente svela il suo nome (situato in mezzo alle terre per mediare tra di esse). Di più, esso, senza annegare nella patetica nostalgia del mare nostrum, è spazio sincronico che esalta la distinzione contro la tragica opposizione, capacità di sintesi, di coabitazione di tradizioni culturali diverse e anche contrapposte. Tre continenti si affacciano sul Mediterraneo e il loro incontrarsi in un “qui” dove le differenze sono state smussate non significa che i distinti possono trovare un meson, un punto di mediazione, ma che l’eventuale unità sia unità di opposti, che restando tali, si rapportano “ritmicamente” tra loro (Ivi, p. 86). L’apertura ad Est consentirebbe all’Europa di percorrere il sentiero di un foedus che aggiri le scorciatoie mitiche di un finto passato comune, attraverso la fondazione di un legame trasversale tra gli europei su una memoria negativa (giovane) (Ivi, p. 46). In altri termini, la memoria negativa comune ai Paesi dell’Europa dell’Ovest come a quelli dell’Europa dell’Est relativamente all’occupazione nazifascista ed allo sterminio programmato di razze ritenute inferiori potrebbe avere una forza agglutinante capace di unire i popoli dal basso. Inoltre, la propensione ad unire il diverso dovrebbe prendere le mosse dall’individuazione di interessi comuni, a partire dai quali ridefinire un’identità agglomerante Nord/Sud, Ovest/Est sfidando la logica di reductio ad unum sottesa alla globalizzazione. Da queste constatazioni - conclude il giovane ricercatore - l’invito a creare mercati orizzontali nell’Europa meridionale nel Mediterraneo in genere, puntando su uno sviluppo economico più opportunamente centrato su un concetto di modernizzazione alieno da tentazioni mimetiche, ma capace di rivalutare la qualità della vita nelle zone rurali e agricole, basato sulla creazione di aree ad economia cooperativa non competitiva, facendone il propellente di un’Europa non irretita da strategie conflittuali di allocazione delle funzioni fino a oggi svolte dagli Stati, ma di attiva cerniera di pace, che si faccia carico, per quanto le compete, del debito estero che soffoca i paesi poveri, sia per l’ammontare degli interessi, sia per il blocco dei crediti messo ripetutamente in atto dalle grandi banche. Esso, infatti, polarizza la disperazione e globalizza la seduzione terroristica (ivi, p. 92).
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