Per una scrittura dell’anima
di Antonio Stanca
Da
uno dei racconti compresi nella sua raccolta “Želary”, vincitrice nel
2002 del Premio Nazionale di Letteratura, la scrittrice ceca Květa
Legátová, nata nel 1919 a Brno dove vive, ha tratto ora il romanzo “La
moglie di Joza”, edito da Nottetempo e tradotto da Raffaella Belletti.
E’ una storia d’amore e di morte ambientata, durante gli anni della
seconda guerra mondiale, in un villaggio, Želary, sperduto tra i monti,
i fiumi, i boschi della Cecoslovacchia. Qui ha dovuto rifugiarsi una
giovane dottoressa, Eliška, che lavorava presso l’ospedale di Brno e
faceva parte del movimento partigiano. E’ fuggita per non essere
arrestata dalla Gestapo e per non destare sospetti sui colleghi. A
Želary assumerà il nome di Hana Nováková e sposerà, come le è stato
ordinato e come serviva per privare di ogni pista la polizia segreta
tedesca, Joza, un popolano che era stato suo paziente in ospedale e che
è “lo scemo del villaggio”. Questi lavora in una segheria ma svolge
anche altre attività come fanno tutti a Želary date le diffuse
condizioni di povertà. Povertà, miseria, arretratezza si vede ovunque,
nelle strade, nelle case, compresa quella dove Hana è andata a vivere
con Joza, nei volti dei bambini, nei costumi del luogo. Si vive senza
elettricità né acqua corrente, con lampade a petrolio, pentole di
porcellana, stalle ed un’osteria dove ci si ubriaca anche tra donne e
che funge pure da sala per cerimonie. Per questo posto, per un uomo
tonto, incolto, rozzo nel volto e nel corpo, Hana ha lasciato
improvvisamente il suo lavoro, la sua carriera, la sua città, il suo
amante, Richard, che, tuttavia, aveva scoperto traditore. Agli inizi le
sembrerà d’impazzire, sarà torturata da ricordi, sogni, ogni situazione
la farà pensare ad un’altra completamente diversa vissuta solo qualche
giorno prima. Crederà di non farcela, di non poter lavarsi, nutrirsi,
dormire in un modo che non conosce, di non saper accudire a faccende mai
svolte, di non potersi trovare, parlare con persone che non pensano come
lei, che altre cose vogliono, dicono. Col tempo, però, e con sua
sorpresa andrà scoprendo il suo uomo capace di buoni sentimenti, di
affetto nei suoi riguardi, di pensieri d’amore anche se difficile, quasi
impossibile, gli risulterà manifestarli, esprimerli. Questo la
commuoverà e la legherà a lui, al suo lavoro, al suo villaggio, al suo
ambiente, alla sua casa. Si adopererà per partecipare prima della vita
del marito, di quanto la casa richiedeva e poi di ciò che intorno a loro
accadeva. Hana si andrà sempre più convertendo alla sua nuova esistenza
fino ad accettarne ogni aspetto, stringerà rapporti con persone del
luogo, si ritroverà con esse, si farà curare, lei medico, da una
guaritrice occulta e poi dal dottore della zona. Parteciperà, con Joza,
alle feste locali, insieme a lui assisterà a strane rappresentazioni
teatrali, farà lunghe passeggiate per i monti, i boschi, le valli
intorno a Želary e questa diventerà una sua passione. In cima ai monti,
sui dirupi, al centro di una radura si sentirà un’altra, crederà di
rinascere al contatto con luoghi così veri, così naturali, così unici,
penserà di vivere una favola, un incantesimo.
Tanto possono i
sentimenti, vuol dire la Legátová, tante risorse ha l’animo umano: per
Hana Joza finirà di essere un rimedio momentaneo e diventerà suo marito
in ogni senso, l’uomo col quale penserà di trascorrere tutta la vita. Un
rapporto improvvisato era diventato una storia infinita, sorretta,
nutrita da quelle poche cose, da quella povertà che all’inizio erano
sembrate assurde. Joza e Hana erano giunti a raccontarsi le proprie
storie, ad inventare racconti proprio come tra innamorati. Vicino al
fuoco di un vecchio camino trascorrevano le loro sere, avevano creato il
loro nido fuori da ciò che di brutto, di cattivo avveniva nel villaggio
e, più lontano, negli aspri scontri della seconda guerra mondiale. Da
poco era finita la battaglia di Stalingrado ed i russi avanzavano ormai
verso l’Europa di Hitler. Anche a Želary sarebbe giunto il vento
impetuoso di quella guerra e tra gli altri pure Joza ne sarebbe rimasto
vittima. Ad Hana non resterà che tornare nella sua città, al suo lavoro,
scoprire altre bravate di quel lontano Richard e rassegnarsi alla sua
condizione di solitudine, di fallimento.
Una vicenda semplice
espressa in una forma pure semplice, immediata, così come avviene,
mentre avviene, quasi un’interminabile serie d’immagini: questa la
Legátová del romanzo “La moglie di Joza”. Dal suo lavoro d’insegnante in
piccoli paesi della Cecoslovacchia, dalla conoscenza di determinati
posti, delle loro condizioni, sono venuti alla scrittrice gli elementi
di questa e delle altre sue narrazioni. In esse non ha perseguito fini
particolari ma ha voluto soltanto aderire alla vita, ritrarla come si
svolge nelle azioni e nei pensieri delle persone comuni, nella
quotidianità dei casi. Sempre attenta è stata, però, a rilevare, tra
tanto movimento, l’opera compiuta dai sentimenti, la forza dimostrata
dall’anima, il valore assunto dalle virtù. |