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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Per una scrittura dell’anima

di Antonio Stanca

Da uno dei racconti compresi nella sua raccolta “Želary”, vincitrice nel 2002 del Premio Nazionale di Letteratura, la scrittrice ceca Květa Legátová, nata nel 1919 a Brno dove vive, ha tratto ora il romanzo “La moglie di Joza”, edito da Nottetempo e tradotto da Raffaella Belletti. E’ una storia d’amore e di morte ambientata, durante gli anni della seconda guerra mondiale, in un villaggio, Želary, sperduto tra i monti, i fiumi, i boschi della Cecoslovacchia. Qui ha dovuto rifugiarsi una giovane dottoressa, Eliška, che lavorava presso l’ospedale di Brno e faceva parte del movimento partigiano. E’ fuggita per non essere arrestata dalla Gestapo e per non destare sospetti sui colleghi. A Želary assumerà il nome di Hana Nováková e sposerà, come le è stato ordinato e come serviva per privare di ogni pista la polizia segreta tedesca, Joza, un popolano che era stato suo paziente in ospedale e che è “lo scemo del villaggio”. Questi lavora in una segheria ma svolge anche altre attività come fanno tutti a Želary date le diffuse condizioni di povertà. Povertà, miseria, arretratezza si vede ovunque, nelle strade, nelle case, compresa quella dove Hana è andata a vivere con Joza, nei volti dei bambini, nei costumi del luogo. Si vive senza elettricità né acqua corrente, con lampade a petrolio, pentole di porcellana, stalle ed un’osteria dove ci si ubriaca anche tra donne e che funge pure da sala per cerimonie. Per questo posto, per un uomo tonto, incolto, rozzo nel volto e nel corpo, Hana ha lasciato improvvisamente il suo lavoro, la sua carriera, la sua città, il suo amante, Richard, che, tuttavia, aveva scoperto traditore. Agli inizi le sembrerà d’impazzire, sarà torturata da ricordi, sogni, ogni situazione la farà pensare ad un’altra completamente diversa vissuta solo qualche giorno prima. Crederà di non farcela, di non poter lavarsi, nutrirsi, dormire in un modo che non conosce, di non saper accudire a faccende mai svolte, di non potersi trovare, parlare con persone che non pensano come lei, che altre cose vogliono, dicono. Col tempo, però, e con sua sorpresa andrà scoprendo il suo uomo capace di buoni sentimenti, di affetto nei suoi riguardi, di pensieri d’amore anche se difficile, quasi impossibile, gli risulterà manifestarli, esprimerli. Questo la commuoverà e la legherà a lui, al suo lavoro, al suo villaggio, al suo ambiente, alla sua casa. Si adopererà per partecipare prima della vita del marito, di quanto la casa richiedeva e poi di ciò che intorno a loro accadeva. Hana si andrà sempre più convertendo alla sua nuova esistenza fino ad accettarne ogni aspetto, stringerà rapporti con persone del luogo, si ritroverà con esse, si farà curare, lei medico, da una guaritrice occulta e poi dal dottore della zona. Parteciperà, con Joza, alle feste locali, insieme a lui assisterà a strane rappresentazioni teatrali, farà lunghe passeggiate per i monti, i boschi, le valli intorno a Želary e questa diventerà una sua passione. In cima ai monti, sui dirupi, al centro di una radura si sentirà un’altra, crederà di rinascere al contatto con luoghi così veri, così naturali, così unici, penserà di vivere una favola, un incantesimo.

Tanto possono i sentimenti, vuol dire la Legátová, tante risorse ha l’animo umano: per Hana Joza finirà di essere un rimedio momentaneo e diventerà suo marito in ogni senso, l’uomo col quale penserà di trascorrere tutta la vita. Un rapporto improvvisato era diventato una storia infinita, sorretta, nutrita da quelle poche cose, da quella povertà che all’inizio erano sembrate assurde. Joza e Hana erano giunti a raccontarsi le proprie storie, ad inventare racconti proprio come tra innamorati. Vicino al fuoco di un vecchio camino trascorrevano le loro sere, avevano creato il loro nido fuori da ciò che di brutto, di cattivo avveniva nel villaggio e, più lontano, negli aspri scontri della seconda guerra mondiale. Da poco era finita la battaglia di Stalingrado ed i russi avanzavano ormai verso l’Europa di Hitler. Anche a Želary sarebbe giunto il vento  impetuoso di quella guerra e tra gli altri pure Joza ne sarebbe rimasto vittima. Ad Hana non resterà che tornare nella sua città, al suo lavoro, scoprire altre bravate di quel lontano Richard e rassegnarsi alla sua condizione di solitudine, di fallimento.

Una vicenda semplice espressa in una forma pure semplice, immediata, così come avviene, mentre avviene, quasi un’interminabile serie d’immagini: questa la Legátová del romanzo “La moglie di Joza”. Dal suo lavoro d’insegnante in piccoli paesi della Cecoslovacchia, dalla conoscenza di determinati posti, delle loro condizioni, sono venuti alla scrittrice gli elementi di questa e delle altre sue narrazioni. In esse non ha perseguito fini particolari ma ha voluto soltanto aderire alla vita, ritrarla come si svolge nelle azioni e nei pensieri delle persone comuni, nella quotidianità dei casi. Sempre attenta è stata, però, a rilevare, tra tanto movimento, l’opera compiuta dai sentimenti, la forza dimostrata dall’anima, il valore assunto dalle virtù.


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