Incontro con Marco Lodoli
Liceo classico Tito Livio (Padova), lunedì 16 2006.
di Marianna Semenza
L'incontro
con Marco Lodoli, giornalista, scrittore e insegnante di liceo
innamorato di questo mestiere si è svolto spaziando tra i temi della
scrittura e dell'essere scrittori.
Ha cominciato parlando del mestiere di scrivere, se lui si senta o
meno uno scrittore, che cosa voglia dire per lui mettersi a scrivere
un libro quando ha millemila cose da fare e il tempo non basta mai.
Ha risposto che non se la sente tanto di definirsi uno scrittore.
"A me sembra che ogni libro sia l'ultimo. Di non avere più nulla da
dire... poi però c'è qualcosa che si rigenera."
"Alla letteratura non ho chiesto di diventare un mestiere.
E' il mio modo sofferto di accostarmi alle cose."
"Lo scrittore, il monaco, l'eroinomane, l'alcolista, il malato
mentale non reggono la realtà. Uno cerca di creare altri universi,
sempre mantenendosi con i piedi in questa ghiaia."
Sfatato nuovamente il mito dello scrittore mozartiano che colto da
furiosa ispirazione di siede a tavolino e scrive il romanzo
perfetto. Lodoli ammette di scrivere quando viene colto da
un'ispirazione iniziale ma c'è poi tutta la fatica della pagina.
Arriva poi la domanda fatidica: ma lei in quanto artista si sente
diverso dagli altri? Parla anche della sua giovinezza un po'
angosciata e aggiunge, per fortuna!
Parla di "sensibilità iper-accesa e dolente" che, anche a mio
modesto parere, ti salva, del "desiderio di capire tutti i raccordi
tra le cose" di quell' "angoscia che mi ha preso verso i sedici anni
e non mi ha più lasciato." dice infine: "ho investito nella
letteratura tutta questa aspettativa di senso."
"la mia vita di giovane insoddisfatto, infelice, meno male! Mi sono
dovuto occupare un po' della mia angoscia"
Chi è l'artista? è un "diverso"?
si ,in un certo senso lo è. Cerca un qualche innalzamento...
"da Michelangelo a Van Gogh a Bach a Cobain c'è il senso della
verticalità. Quell'allungamento dello sguardo.
Non è uno sbobinamento della chiacchiera del mondo. E' un' altra
parte, è più lontano. Vedere le cose da una certa distanza."
e aggiunge...
"non è vero che l'innocenza produce capolavori e l'avidità
porcherie. Non bisogna essere così ingenui."
Si è parlato poi di scuola, di insegnamento, di giovani.
"Amo la scuola perchè lì trovo il disagio, l'imprecisione in cui le
domande sono ancora vive, è il luogo più vicino alla ferita
originaria. Gli adulti hanno compiuto una quadratura del cerchio che
non regge."
Tuttavia riguardo ai giovani (e non solo a loro) si dimostra
preoccupato.
"Questi arrivano: 14 anni, scarpe nike, occhiali da sole, capelli in
su'... ma un po' di malinconia, un po' di angoscia, un po' di
pomeriggi vuoti! [...]
Dopo un po' la vita ti trita e ti ritrovi grasso e pelato a
cinquant'anni a comprarti la macchina perchè è l'unica
soluzione.[...] I ragazzi stanno diventando consumatori di vita, e
il processo di demenza collettiva riguarda tutti noi."
"A scuola arrivano: 14 enni brutte, brufoli, padre in galera madre
che batte e mi dicono che loro adesso vanno dalla De Filippi e hanno
risolto tutto. Ma dove vai???"
In conclusione.
Perchè scrive e qual'è la sua metafora della scrittura?
"uno si capisce scrivendo"
"la scrittura è inevitabile. Accade."
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