|
|
Il romanzo
di una notte
di Antonio Stanca
Scritto
nel 1935, tradotto in italiano nel 1938, edito da Adelphi nel 2002,
comparso nella prima edizione de “Gli Adelphi” del 2007 e nella seconda
del 2010 con la traduzione di Laura Sgarioto, il romanzo “Divorzio a
Buda” è dello scrittore ungherese Sándor Márai nato a Kassa, Slovacchia,
nel 1900 e morto a San Diego, California, nel 1989. Si tratta di una
delle prime opere narrative di un autore che scrisse pure poesie e
saggi, che visse esiliato in Europa ed infine in America perché
contrario ai sistemi di governo, comunismo, fascismo, che in quegli anni
si verificavano nella sua nazione, che per questo è rimasto sconosciuto
per molto tempo, che è morto suicida dopo aver perso la moglie e due
figli e che una volta scoperto è stato ed è tradotto in molte lingue ed
ormai viene considerato uno dei maggiori scrittori mitteleuropei del
secolo scorso. Soprattutto narratore è stato Márai e suoi capolavori
sono i romanzi “Braci” e “L’eredità di Eszter”. Di pochi anni li precede
“Divorzio a Buda” e anticipa quei temi e modi che saranno anche loro e
dell’intera ampia produzione narrativa del Márai. Ridotti sono in essa i
tempi e gli spazi, gli esterni, poiché attento si mostra l’autore
soprattutto a quanto avviene nell’anima, nella memoria, nella coscienza,
nell’interiorità dei personaggi presentati. Essi sono partecipi,
protagonisti di una vicenda che è la causa, il riflesso, la conseguenza
della loro condizione spirituale. Tante sono le sfumature che
dall’azione, dal movimento dello spirito lo scrittore riesce a cogliere
da coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine, da legarlo subito alla
pluralità dei sentimenti, degli stati d’animo rilevati. E’ uno spirito in crisi quello di Márai e dei suoi
personaggi poiché tutti soffrono della grave situazione verificatasi in
Europa a partire dagli inizi del secolo scorso quando i valori dell’idea
furono messi da parte per i sopraggiunti valori della realtà. Era un
momento di passaggio, di trasformazione, aggravato dalle due guerre
mondiali e difficile risultò per gli artisti resistere ai fenomeni di
autoritarismo, bellicismo, capitalismo, industrializzazione. Successe
che ne evadessero, che preferissero la solitudine della propria anima e
della propria opera alla partecipazione con quanto stava avvenendo.
Márai è uno di questi autori, è tra quelli che fanno dell’arte l’unico,
vero fine della propria vita, la difendono fino all’estremo, nel suo
caso anche con la morte. Pure nei modi, nello stile Márai si mostra capace di
molto, riesce, cioè, a rendere in maniera semplice, chiara gli
interminabili passaggi del pensiero, del sentimento, dei quali scrive.
Non risulta mai complicata la sua scrittura nonostante sia
caratterizzata da periodi piuttosto ampi. In “Divorzio a Buda” due sono i protagonisti, un
giudice ed un imputato, una notte è il tempo dell’opera, la stanza di
una casa il suo luogo. Qui s’incontrano i due la notte prima del
processo, sono vecchi compagni di scuola ed entrambi sono in crisi a
causa dei tempi che stanno cambiando nell’Ungheria seguita alla prima
guerra mondiale. Il giudice si trova diviso tra gli ideali, i principi,
le regole, le leggi nelle quali crede fermamente ed unicamente come gli
deriva dalla sua formazione e dalla tradizione di una famiglia di
magistrati, ed i costumi, gli ambienti nuovi che ormai le mettono in
dubbio, soffre di questa situazione indefinita tra passato e presente.
L’imputato, che è un medico, deve sostenere una causa di divorzio e
vuole chiarire al vecchio amico come sia stato possibile per lui, così
attento, così scrupoloso, così deciso nei propri sani propositi e tanto
preso dall’amore verso la moglie, giungere a separarsi da lei e
addirittura a lasciarla morire ancor prima della sentenza che, quindi,
non ci sarà. Gli svela la causa poiché sente il bisogno di farlo, la sua
anima glielo ordina poiché in essa si trova. I due uomini si scoprono
uniti dal momento che, pur in posizioni
diverse, sono entrambi confusi, disorientati in un contesto che
non è da essi voluto, tra
rapporti umani e sociali che non sono da essi cercati. Una pena comune
hanno scoperto il giudice e l’imputato nello stare con gli altri, nel
vivere in un mondo diverso dalle proprie aspirazioni, cambiato,
guastato. Salvare vorrebbero quanto si sta perdendo. I loro sono esempi
tra i più suggestivi e significativi dei problemi sofferti personalmente
dal Márai e costantemente trasferiti nei suoi personaggi. Abile si
mostra lo scrittore a fare, nelle opere, di situazioni, vicende
quotidiane motivi di riflessioni così profonde, a svolgere con
espressione sempre scorrevole temi così complicati: questo lo distingue
fin dall’inizio, lo rivela uno scrittore vero. |
La pagina
- Educazione&Scuola©