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Tra passato e presente di Antonio Stanca
Il quarantunenne scrittore padovano Giulio Mozzi, dopo le primissime raccolte di racconti quali "Questo è il giardino" e "La felicità terrena" di genere elegiaco-sentimentale e dopo altre opere, alcune prodotte in collaborazione, ha recentemente pubblicato, presso Einaudi, "Il culto dei morti nell’Italia contemporanea" (91 pagine, 16.000 lire). Sono quasi tremila versi di varia misura, ritmo e tono, divisi in sezioni ognuna con temi propri e tutte riconducibili ad un unico impegno, quello di risalire dalla particolarità dei casi presentati alla generalità dei significati perseguiti. Anche in quest’opera sono presenti contributi di collaboratori e numerose sono le citazioni di autori antichi e moderni, le parole di lontana derivazione o di lingua straniera, le immagini tratte dalle fonti più diverse. Se a tale varietà di materiale costitutivo si aggiunge l’altra suddetta di stile e significato si deduce che il contesto è alquanto mosso e che occorre notevole attenzione per cogliere le sue finalità. Mentre, infatti, dal titolo il libro fa pensare ad un’indagine o saggio su un determinato aspetto dei nostri moderni costumi nazionali, dalla lettura si rivela un’operazione molto complessa, un continuo, interminabile tentativo di chiarire vecchi e nuovi problemi dell’umanità sui quali il pensiero si è sempre fermato senza riuscire a risolverli. Si parte, in quest’ultimo Mozzi, da momenti o eventi della vita quotidiana, da tradizioni, credenze, circostanze o personaggi della storia passata o presente, italiana o straniera, da particolari condizioni individuali o collettive, da annunci, notizie, citazioni o semplici parole e si giunge sempre ed inevitabilmente a chiedersi del senso, del significato della vita, della morte, della vita dopo la morte, dell’eternità, di Dio, del destino, a valutare situazioni quali il rapporto con se stessi, con gli altri, l’amore, il sesso, la famiglia, la religione, la vecchiaia, la solitudine, l’individualità umana scomparsa nella totalità delle cose, l’uomo annullato e ridotto a semplice ripetizione di pensieri ed azioni, a constatare la vanità della propria ed altrui esistenza in un sistema come il moderno capace di procedere autonomamente ed automaticamente. Il culto dei morti è, quindi, solo un’occasione per riprendere ed ampliare quanto della storia dell’uomo è rimasto sempre sospeso, senza risposta ed oggi risulta ancor più complicato per i sopraggiunti alienanti ambienti umani e sociali. Tanta filosofia, letteratura ed arte si sono impegnate e si impegnano in questa direzione e potrebbe sembrare strano che Mozzi sia riuscito a comprendere tale vastità in un’opera così breve. A permetterglielo è stato il modo seguito, cioè un linguaggio che procede per passaggi immediati o collegamenti improvvisi, ripetizioni continuate o semplici accenni, banalità o crudeltà, verità o finzione, passato o presente, storia o vita. E’ uno stile che si modifica in continuazione, che compie frequenti salti tra epoche, periodi, fenomeni di diversi tempi e luoghi, tra tutto ciò che è stato ed è dell’uomo e che si ferma su quanto ancora non è di lui poiché non gli è ancora chiaro. Rientra, questo stile, nel genere della recitazione o canzone e, in alcune sue parti, è stato recitato o cantato in pubblico. Tramite una forma insolita Mozzi ha cercato, dunque, di trasformare temi così estesi ed impegnati in motivi di pubblico ascolto, di coinvolgervi anche chi ne è stato sempre e completamente lontano come gli spettatori di una rappresentazione o di un programma radiofonico o televisivo. Un esperimento riuscito può essere considerato, pertanto, il libro sia per aver saputo condensare molto in poco spazio sia per aver voluto liberare certi argomenti dai limiti finora esistenti e procurare loro una diffusa attenzione. "Roma", 26 maggio 2001 |
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