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La
prima Müller
Bassure,
una raccolta di racconti, è l’opera d’esordio della romeno-tedesca Herta
Müller, Nobel per la Letteratura nel 2009. Comparve la prima volta nel
1982, poi nel 1984 in una versione molto censurata dal regime romeno e
questa ebbe nel 1987 una prima edizione italiana per conto di Editori
Riuniti. Nel 2010 la scrittrice ha rivisto l’opera, vi ha inserito
quanto allora era stato eliminato e l’ha fatta pubblicare dalla casa
editrice Hanser di Monaco. Da questa versione deriva la recente edizione
italiana realizzata dalla Feltrinelli di Milano nella serie “I
narratori” (trad. di Fabrizio Rondolino e Margherita Carbonaro, pagg.
155, € 15,00). La Müller, nata nel 1953 a Nitzkydorf, un villaggio di
lingua tedesca nel Banato romeno, ha studiato letteratura presso
l’Università di Timişoara, ha lavorato prima come traduttrice, poi come
maestra d’asilo ed infine come docente di lingua tedesca. Nel 1987, in
seguito a contrasti col regime di Ceauşescu, ha lasciato la Romania e si
è rifugiata a Berlino dove ancora risiede. Qui ha continuato a scrivere
di narrativa e centrale è risultato nella sua produzione il motivo dei
poveri, degli umili, di coloro che hanno sofferto e soffrono privazioni
di ogni genere, si sono visti negata la possibilità di vivere
decorosamente, migliorare le proprie condizioni, avere una voce nel
contesto sociale, partecipare di un’azione comune volta ad ottenere
qualche cambiamento. «Con la concentrazione della poesia e la
franchezza della prosa ha rappresentato il mondo dei diseredati» si
disse al momento del Nobel e in
Bassure, sua prima opera, la forma e i contenuti proclamati già
compaiono. Per frasi brevi e incisive procede la Müller nella sua
scrittura, per immagini che si susseguono in continuazione e a volte si
sovrappongono pur di aderire alla realtà rappresentata, mostrarla nella
sua autenticità e complessità. I diciannove racconti dell’opera risultano
collegati dalla presenza, in ognuno, dello stesso personaggio femminile,
la bambina sveva che passa dal tempo dell’infanzia, della formazione a
quello della maturità, dalla vita in famiglia a quella in società, che
diviene donna nei luoghi, il Banato romeno, dove pure la scrittrice era
nata e si era formata. La narrazione non procede in maniera ordinata
poiché della protagonista segue non solo i pensieri e i sentimenti ma
anche i ricordi e i sogni. Attraverso il movimento del suo spirito si sa
della sua realtà e di quella di altri, di molti altri, di tutti gli
altri che in quei posti e nelle stesse condizioni si trovavano e
vivevano. Di così vasta e inquietante verità si fa interprete la
scrittrice mediante la sua donna e vuole riuscire tanto concreta da non
esitare a dire pur di particolari raccapriccianti. Mediante la sua donna
vuole mostrare quanto si può giungere a sapere, vedere, udire, pensare,
patire senza che diventi mai possibile un miglioramento. «Io ero sempre
dietro le strade, e tutto correva davanti a me. Avevo soltanto la
polvere sul viso. E in nessun punto c’era una fine», dice quella donna
in uno dei racconti iniziali che ha il titolo dell’opera. E questa
mancanza di un approdo, di una prospettiva, diventerà la misura di ogni
racconto successivo, di ogni situazione presentata, porterà ad uno stato
di diffusa rassegnazione, segnerà anche gli usi e i costumi, farà avere
«anche paura nella gioia». Sarà l’atmosfera dell’intera opera,
l’ambiente dove si muoveranno tutti i personaggi e sarà questa la Müller
di sempre, degli scritti successivi, di quelli che la porteranno al
Nobel. Un documento vorranno essere le sue narrazioni, una testimonianza
di quanto di grave avviene pur in tempi recenti e in luoghi conosciuti.
Vorranno essere la voce dei moderni “vinti”, delle attuali “bassure” che
si sono rassegnate a rimanere tali, a non avere un destino.
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