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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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La prima Müller

 di Antonio Stanca

 

Bassure, una raccolta di racconti, è l’opera d’esordio della romeno-tedesca Herta Müller, Nobel per la Letteratura nel 2009. Comparve la prima volta nel 1982, poi nel 1984 in una versione molto censurata dal regime romeno e questa ebbe nel 1987 una prima edizione italiana per conto di Editori Riuniti. Nel 2010 la scrittrice ha rivisto l’opera, vi ha inserito quanto allora era stato eliminato e l’ha fatta pubblicare dalla casa editrice Hanser di Monaco. Da questa versione deriva la recente edizione italiana realizzata dalla Feltrinelli di Milano nella serie “I narratori” (trad. di Fabrizio Rondolino e Margherita Carbonaro, pagg. 155, € 15,00). La Müller, nata nel 1953 a Nitzkydorf, un villaggio di lingua tedesca nel Banato romeno, ha studiato letteratura presso l’Università di Timişoara, ha lavorato prima come traduttrice, poi come maestra d’asilo ed infine come docente di lingua tedesca. Nel 1987, in seguito a contrasti col regime di Ceauşescu, ha lasciato la Romania e si è rifugiata a Berlino dove ancora risiede. Qui ha continuato a scrivere di narrativa e centrale è risultato nella sua produzione il motivo dei poveri, degli umili, di coloro che hanno sofferto e soffrono privazioni di ogni genere, si sono visti negata la possibilità di vivere decorosamente, migliorare le proprie condizioni, avere una voce nel contesto sociale, partecipare di un’azione comune volta ad ottenere qualche cambiamento.

«Con la concentrazione della poesia e la franchezza della prosa ha rappresentato il mondo dei diseredati» si disse al momento del Nobel e in Bassure, sua prima opera, la forma e i contenuti proclamati già compaiono. Per frasi brevi e incisive procede la Müller nella sua scrittura, per immagini che si susseguono in continuazione e a volte si sovrappongono pur di aderire alla realtà rappresentata, mostrarla nella sua autenticità e complessità.

I diciannove racconti dell’opera risultano collegati dalla presenza, in ognuno, dello stesso personaggio femminile, la bambina sveva che passa dal tempo dell’infanzia, della formazione a quello della maturità, dalla vita in famiglia a quella in società, che diviene donna nei luoghi, il Banato romeno, dove pure la scrittrice era nata e si era formata. La narrazione non procede in maniera ordinata poiché della protagonista segue non solo i pensieri e i sentimenti ma anche i ricordi e i sogni. Attraverso il movimento del suo spirito si sa della sua realtà e di quella di altri, di molti altri, di tutti gli altri che in quei posti e nelle stesse condizioni si trovavano e vivevano. Di così vasta e inquietante verità si fa interprete la scrittrice mediante la sua donna e vuole riuscire tanto concreta da non esitare a dire pur di particolari raccapriccianti. Mediante la sua donna vuole mostrare quanto si può giungere a sapere, vedere, udire, pensare, patire senza che diventi mai possibile un miglioramento. «Io ero sempre dietro le strade, e tutto correva davanti a me. Avevo soltanto la polvere sul viso. E in nessun punto c’era una fine», dice quella donna in uno dei racconti iniziali che ha il titolo dell’opera. E questa mancanza di un approdo, di una prospettiva, diventerà la misura di ogni racconto successivo, di ogni situazione presentata, porterà ad uno stato di diffusa rassegnazione, segnerà anche gli usi e i costumi, farà avere «anche paura nella gioia». Sarà l’atmosfera dell’intera opera, l’ambiente dove si muoveranno tutti i personaggi e sarà questa la Müller di sempre, degli scritti successivi, di quelli che la porteranno al Nobel. Un documento vorranno essere le sue narrazioni, una testimonianza di quanto di grave avviene pur in tempi recenti e in luoghi conosciuti. Vorranno essere la voce dei moderni “vinti”, delle attuali “bassure” che si sono rassegnate a rimanere tali, a non avere un destino.

 


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