Da un uomo ad un’ umanità
(Il Nobel si racconta)
di Antonio Stanca
Per
i tipi dell’ Adelphi, nella collana Piccola Biblioteca, è da poco
comparso il volumetto "Leggere e scrivere" di Vidiahar
Surajpasad Naipaul, settantenne scrittore inglese d’origine indiana,
Nobel per la letteratura nel 2001. L’opera contiene due saggi
("Leggere e scrivere", "Lo scrittore e l’India")
che risalgono all’anno 2000 e il discorso pronunciato da Naipaul al
momento del Nobel ("Due mondi"). La traduzione è di Franca
Cavagnoli.
Non si può operare una netta distinzione tra le
parti del libro poiché alcuni temi ricorrono in esse fino a
ripetersi. Se del secondo scritto si può dire come di una breve
rivisitazione della storia letteraria indiana, nel primo e nel terzo
centrale risulta l’argomento relativo alla formazione dello
scrittore, ai modi, tempi, luoghi nei quali è avvenuta ed ai motivi
che la fanno ritenere ancora in atto. Anche altre volte nella sua
ampia produzione (racconti, romanzi, saggi, giornalismo, libri di
viaggio) l’autore si era soffermato sul tema ma ora l’ha fatto con
maggiore spontaneità e immediatezza, con l’intimità di chi confida
un segreto, l’abbandono di chi si confessa. Più semplice, più
chiaro del solito risulta il suo linguaggio perché più vicino vuole
essere al lettore o ascoltatore quasi si trattasse di una
conversazione a bassa voce tra persone amiche, di un momento atteso da
tempo, un bisogno a lungo rimosso.
In queste pagine Naipaul dice che già da bambino
aspirava a diventare uno scrittore nonostante non fosse
particolarmente attirato dalle azioni (lettura, scrittura) od oggetti
(libri, fogli, penne) legati a quest’attività. Gli piaceva
possedere tali oggetti ma non usarli. A scuola, inoltre, non si
distingueva nella composizione scritta. Il padre collaborava con un
giornale e scriveva racconti ma neanche con questo Naipaul collega e
spiega la sua precoce aspirazione che attribuisce, invece, alle
"aree di tenebra" che lo avevano circondato e fatto soffrire
durante l’infanzia e la prima giovinezza.
Nato
da genitori indiani a Trinidad nel 1932, in un piccolo villaggio dell’interno
(Chaguanas) tra Sudamerica e Caraibi quando questi luoghi erano una
colonia inglese a piantagione che dalla fine dell’ ‘800 accoglieva
ondate migratorie provenienti anche dall’India, Naipaul era
cresciuto fin da giovane tra il "mondo interno" della sua
famiglia e il "mondo esterno" degli altri, tra una
situazione privata che si andava esaurendo negli usi, costumi,
religione, cultura, lingua ed una pubblica dalla quale gli indiani,
insieme agli altri immigrati, erano emarginati, esclusi. Diviso tra i
due ambienti, sospeso tra essi, per molto tempo non aveva saputo a
quale apparteneva, non s’era sentito erede, partecipe di una ben
precisa tradizione culturale e linguistica o almeno di una determinata
condizione umana e sociale né era riuscito a colmare tale vuoto, a
rimediare allo stato di smarrimento che gli era derivato. Non erano
serviti a questo l’istruzione scolastica e gli studi universitari
compiuti a Oxford. Permaneva, intanto, la sua aspirazione a scrivere
ma anche qui gli sembrava di non poter essere aiutato da ciò che
aveva fatto parte della sua istruzione. Tutto quanto aveva letto o
appreso non era quello che sentiva di cercare per la scrittura che
avrebbe voluto sua. Neppure quando, trasferitosi a Londra, dove ancora
vive, da Oxford, aveva cominciato a scrivere brevi racconti ambientati
sulle gravi condizioni della comunità indiana a Trinidad, gli era
parso d’aver scoperto la propria via. Erano giunti, poi, i tempi dei
viaggi nei Caraibi, in India, Africa, Sudamerica, mondo musulmano,
delle inchieste giornalistiche sulle misere condizioni delle
popolazioni di questi ed altri luoghi della terra, delle ricerche sul
piccolo villaggio americano, di dominazione inglese, dove era nato,
sull’India da dove provenivano la sua famiglia ed i suoi antenati.
Gli esiti di tale attività sarebbero divenuti i suoi libri di viaggio
e, finalmente, le sue narrazioni, i suoi romanzi perché finalmente
Naipaul avrebbe scoperto i suoi temi, la sua scrittura, il nucleo
della sua remota aspirazione, avrebbe diradato le "aree di
tenebra" che per tanto tempo lo avevano avvolto. Quell’orizzonte,
che gli era sembrato chiudersi sugli oppressi di Trinidad, s’era
improvvisamente dilatato per accogliere gli oppressi d’ogni parte
del mondo, i loro ambienti, le loro condizioni, vicende individuali e
sociali. La sua opera sarebbe stata l’interprete della loro vita,
avrebbe portato la luce dove sempre era stato buio, la voce dove
sempre era stato silenzio. Era iniziato un processo che si
preannunciava come interminabile: ogni viaggio avrebbe costituito una
scoperta, questa avrebbe ispirato una narrazione e da qui sarebbe
provenuto un sempre maggiore ampliamento della dimensione umana ed
artistica vissuta ora dallo scrittore. Scrivere, per Naipaul, sarebbe
significato vedere, ascoltare, conoscere, sapere, partecipare di
determinate situazioni degli uomini sulla terra, accoglierle in sé,
sentirsi arricchito da ognuna. Ogni romanzo, infatti, riprende ed
allarga il precedente e "il loro autore è la loro somma",
è una coscienza, cioè, divenuta tanto estesa da comprendere tutte
quelle dei suoi protagonisti, d’aver fatto un uomo capace di sentire
e vivere un’umanità.
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