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La religione della vita di Antonio Stanca Del cinquantaduenne scrittore svedese Hakan Nesser è stata recentemente pubblicata, da Guanda, la prima opera in traduzione italiana. Si tratta del romanzo poliziesco "La rete a maglie larghe" (pagg.252, lire 26.000), primo di una serie di "gialli" prodotta dal Nesser, il quale, pur scrivendo romanzi d’altro genere, con essa ha riportato in questi ultimi tempi un successo tale da essersi aggiudicato, nel 1999, il prestigioso premio Glasnyckeln ed essere ritenuto ormai uno dei maggiori scrittori della Scandinavia. Prima che scrittore Nesser è stato insegnante in un liceo e, come egli stesso riconosce, la sua formazione di giallista è avvenuta su autori europei quali, in particolare, il belga-francese Georges Simenon e l’olandese Jan Willem van de Wetering. Da questi ha appreso che narrare significa avvincere il lettore e che un "giallo" non deve ridursi alla descrizione di un evento delittuoso ed alla ricerca del colpevole bensì estendersi alla vita dei personaggi, trasformarsi nello specchio di una realtà, nella storia di una vicenda, nella scoperta delle sue cause, deve essere, cioè, una rappresentazione quanto mai ampia e significativa. Una lezione appresa e migliorata dal Nesser al punto da lasciare il lettore, come avviene nel suddetto romanzo, stupefatto di fronte alle pagine conclusive nelle quali è come se si squarciassero le tenebre che lo hanno tenuto avvolto per un lungo percorso ed assistesse ad un’illuminazione improvvisa, alla scoperta, rivelazione di una verità precedentemente intravista solo in parte ed ora apparsagli in maniera totale e chiarificatrice di quanto atteso così a lungo. Avvincente, coinvolgente è il Nesser di questo e dei suoi altri romanzi polizieschi e non solo per la perizia mostrata nell’uso di uno stile generalmente paratattico o molto dialogato che tiene sospesi tra le innumerevoli immagini contenute dalle tante frasi ed i diversissimi temi e toni che le riguardano ma anche perché le tragedie, i drammi rappresentati vengono fatti rientrare nella vita quotidiana, trovano in questa la loro collocazione, mostrano di esistere insieme ai suoi tanti elementi ed aspetti. Accanto al criminale c’è posto, in Nesser, per tante altre persone, vite, situazioni, per tutto ciò che è dell’uomo. Ovunque si posa lo sguardo dell’autore durante la narrazione e tutto acquista il diritto d’esistere, di valere. Inserito in uno svolgimento così naturale il misfatto perde la sua eccezionalità e gravità, la sua componente crudele, malvagia.Questo lascia il lettore ammirato ma anche perplesso, sconcertato: la grave vicenda a cui è chiamato ad assistere, nei "gialli" di Nesser, ha sempre conseguenze disastrose ma è iniziata nella maniera più semplice, è sembrata naturale come ogni altra. Non per la visione del delitto ma per la conoscenza di chi è stato e dei motivi che l’hanno mosso ci si spaventa giacchè con essa si scopre che anche il crimine può avere una sua spiegazione e giustificazione, che può rientrare nella vita di tutti. Terrorizzati, agghiacciati si rimane quando nelle ultime pagine de "La rete a maglie larghe" si scopre che ad uccidere Eva Ringmar e prima di lei la propria moglie e dopo il bambino avuto da Eva col primo marito, il suo secondo marito, un’amica, era stato il fratello Rolf Ringmar e che lo aveva fatto per amore. Per consolarsi delle continue percosse ed umiliazioni subite da un padre sempre collerico e facilmente violento e perché non difeso, in tale persecuzione, dalla madre, Rolf aveva spesso riparato presso la sorella Eva. Tra i due adolescenti s’era avviato un rapporto di fiducia, comprensione, confidenza, affetto che era finito col trasformarsi in una relazione d’amore, in uno scambio non soltanto dell’anima ma anche del corpo, in un sentimento, un piacere inevitabili, dei quali nessuno dei due riusciva ad intravedere l’eventualità di una fine e quando questa si era profilata (matrimonio dell’uno e dell’altra, maternità e amicizie di Eva) Rolf era intervenuto a sopprimere, eliminare tutto ciò che tra lui e la sorella si frapponeva. Non era possibile che rinunciasse a quanto Eva gli aveva dato ed a come: la loro esperienza veniva prima di ogni altra, grazie ad essa Rolf aveva acquisito quell’identità negatagli dal padre e dalla madre e di un passato così incantato s’era convinto di essere il difensore nonchè il giustiziere di ciò che avrebbe potuto alterarlo. Era una follia che anche Eva aveva contribuito ad alimentare, che anche lei aveva vissuto, che entrambi avevano creduto di poter sconfiggere e che, invece, ricompariva sempre perché apparteneva alla loro vita, alle circostanze che insieme avevano vissuto e che erano divenute incancellabili. La ricostruzione di queste circostanze è il compito che, nel libro, si propongono gli investigatori tramite lunghe indagini: essi vagano per molto tempo alla ricerca del responsabile dei delitti cui assistono sistematicamente e delle motivazioni. Con i loro ritrovamenti l’autore ricompone quella vita, quella storia che serviranno a far capire alla polizia ed ai lettori le cause di tanti misfatti. Quando, alla fine, il commissario Van Veeteren, divenuto famoso negli ambienti letterari scandinavi perché figura ricorrente nei "gialli" di Nesser, lascerà esterrefatti i suoi collaboratori esponendo il caso in ogni particolare, sarà la vita a celebrare, mediante le sue parole, il proprio trionfo, a mostrare quante situazioni, combinazioni, concatenazioni la compongono, quanto siano " larghe" le "maglie" che la costituiscono e come nella loro infinita ampiezza ci sia posto per ogni azione umana. Come i suoi personaggi tutti, secondo Nesser, siamo "determinati" dalla vita, ad essa apparteniamo dalla nascita quasi si trattasse di un’entità esterna, superiore all’uomo e ad ogni sua religione o giustizia. Dalla rappresentazione degli eventi alla formulazione di un pensiero: questo estende il valore dell’opera poiché la mostra impegnata nei contenuti, le riconosce un significato morale, filosofico, la distingue in un contesto quale il contemporaneo ove tanta letteratura si è ridotta ad esercizio soltanto formale. |
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