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L’eccezione e la regola
di Antonio Stanca
Amélie
Nothomb è tra le maggiori scrittrici viventi in lingua francese. È molto
letta, molto tradotta ed ha ricevuto numerosi riconoscimenti. È di
origine belga, ha quarantacinque anni, ogni anno pubblica un romanzo ed
è autrice anche di racconti e novelle oltre che di teatro. Alcune sue
narrazioni hanno avuto una trasposizione cinematografica. È nata nel 1967 a Kobe, in Giappone, dove il
padre, che apparteneva ad un’antica e nobile famiglia belga, svolgeva
attività diplomatica. Per questo è stato impegnato in diversi posti
dell’Asia e dell’America nei quali si è trasferito con la famiglia.
L’infanzia, l’adolescenza, la formazione di Amélie sono avvenute,
quindi, in città diverse e soltanto l’Università è stata da lei
frequentata in Belgio, a Bruxelles, quando la famiglia vi fece ritorno.
Laureatasi in filologia classica, a ventun’anni è tornata in Giappone
per migliorare la conoscenza della lingua giapponese che aveva appreso
fin dalla scuola elementare. Ma dopo un’esperienza deludente rientra in
Belgio e vive tra Bruxelles e Parigi dedicandosi alla sua attività di
scrittrice. Esordisce a venticinque anni, nel 1992, col romanzo
Igiene di un assassino, dove
narra di una giornalista che rivela gli aspetti insoliti della vita di
un Premio Nobel, obeso e misogino. La sua sarebbe dovuta essere
un’intervista ma diventa un vero
e proprio scontro. Molte altre narrazioni produrrà la Nothomb nelle
quali risalteranno i temi
ricorrenti nella sua opera letteraria, cioè la scelta di una vita
condotta in solitudine, le conseguenze di una simile condizione a
livello fisico e mentale, l’ossessione di alcuni pensieri,
l’accettazione dell’obesità, la caduta in situazioni, vicende lontane
dalle regole senza, però, smarrire la possibilità di una valutazione
secondo principi eternamente validi. Sono i contenuti della scrittura
della Nothomb e sono espressi con un linguaggio molto colto, chiaro,
acuto anche se rapido, incisivo e capace di essere spietato, crudele sia
nell’osservazione dell’interiorità sia nella rappresentazione degli
esterni. Infine un certo tono umoristico giunge a completare il ritratto
di una scrittrice sicura dei mezzi espressivi e convinta dei temi. Una
serie di casi eccezionali sono le sue narrazioni
ma sono esposti in maniera da
riuscire veri, reali e da poter essere valutati secondo le regole di
sempre. Antica e nuova è la narrativa della Nothomb, nuova nello stile,
nei contenuti, antica nella morale. Così avviene nel recente
Una forma di vita, romanzo
pubblicato a Febbraio del 2011 dalla casa editrice Voland di Roma,
presso la quale sono comparse in Italia le altre opere della scrittrice.
La versione originale risale al 2010 e la traduzione è di Monica
Capuani. È il diciottesimo romanzo della Nothomb e le è stato suggerito
dalla notizia di un giornale circa la condizione dei soldati americani
attualmente impegnati nella guerra in Iraq. Questi, a volte, trovano nel
cibo uno sfogo, una maniera per liberarsi, anche se per poco tempo,
dalla tensione alla quale sono continuamente esposti a causa dei
combattimenti e della consapevolezza dell’assurdità di una guerra che si
è prolungata oltre ogni previsione e che non accenna a finire. Al cibo
si abbandonano fino ad ingrassare in maniera sproporzionata, a diventare
obesi e irriconoscibili. Melvin Mapple, uno di loro, scrive da Baghdad
ad Amélie Nothomb che sta a Parigi e svolge un’intensa attività di
corrispondenza. La scrittrice risponde al soldato ed inizia tra loro uno
scambio epistolare che dura alcuni mesi e cessa improvvisamente perché
Melvin smette di scrivere. Preoccupata Amélie cerca di rintracciarlo
tramite Internet e scopre che Melvin si era servito del fratello,
militare in Iraq, per farle giungere le sue lettere e che lui stava a
Baltimora presso i genitori. Era tornato a casa a trent’anni dopo una
serie d’insuccessi e qui aveva cominciato a vivere davanti al computer
fino a fare della navigazione su Internet l’unica occupazione. Solo,
quindi, era rimasto per tanto tempo ed obeso era diventato a causa di
un’alimentazione priva di ogni regola e della mancanza assoluta di
movimento. Era quella la sua «forma di vita» e l’aveva comunicata alla
scrittrice tramite le lettere perché voleva essere capito e aiutato. Le
aveva detto di essere un soldato che combatteva in Iraq perché aveva
voluto attribuire ad una causa esterna, inevitabile, la sua condizione
ed i pensieri che ne erano conseguiti quali quelli di considerare
l’obesità non un errore, un vizio, una colpa ma una scelta, un merito,
un’opera da lui voluta e del cui valore si era convinto fino a cercare
dei riconoscimenti: «Mi sento un artista riconosciuto, ormai. In quanto
tale, non provo alcun imbarazzo all’idea di mostrarle la mia foto. Se
non fosse così, mi sarei vergognato troppo che lei scoprisse il mio
aspetto. Adesso mi dico che è arte, e allora ne vado orgoglioso». Amélie, pur tra esitazioni, gli riserverà sempre
comprensione, partecipazione e solo alla fine emergerà in lei la
coscienza dell’impossibilità di una situazione simile, solo alla fine la
regola vincerà sull’eccezione. Un romanzo, in parte autobiografico, ha tratto la
Nothomb da una notizia, uno scambio epistolare ha trasformato in una
narrazione, un’esperienza singolare ha inserito nel vasto movimento
della vita. Ha mostrato, come nelle altre opere, la sua disposizione ad
accogliere quanto d’insolito avviene, ad avere una visione più ampia
e mantenere inalterati gli elementi di giudizio. Non si saprebbe dire se il successo della
scrittrice è da attribuire all’originalità delle situazioni presentate o
al recupero di una misura che viene dalla tradizione, se a quanto di
nuovo c’è nelle sue opere o a quanto di vecchio giunge a controllarlo,
se al presente o al passato. Ad entrambi sarebbe giusto attribuirlo
perché entrambi agiscono, valgono, sono degni dell’interesse e
dell’attenzione che suscitano presso i lettori. |
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