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Donne
d’Irlanda
di Antonio Stanca
Ad
Aprile di quest’anno è comparsa, nella serie Tascabili della Casa
Editrice E/O di Roma, l’ottava ristampa del romanzo
La ragazza dagli occhi verdi
(pagg. 228, € 10,00) dell’ottantantunenne scrittrice irlandese Edna
O’Brien. La traduzione dall’inglese è di Franca Cavagnoli. L’opera,
nella versione originale, risale al 1962 ed è la seconda della trilogia
con la quale la O’Brien fece il suo esordio letterario. La prima, del
1960, fu il romanzo Ragazze di
campagna e la terza, del 1964, il romanzo
Ragazze nella felicità coniugale.
Protagoniste delle tre narrazioni sono Kate e Baba, due ragazze diverse
perché sognatrice, romantica la prima, concreta, decisa la seconda.
Entrambe si sentono limitate dall’ambiente della provincia irlandese
dove sono nate e cresciute, si vedono impedite nelle loro aspirazioni,
nei loro progetti da un posto dove la famiglia, la religione, la scuola
hanno un’importanza fondamentale e annullano ogni ambizione diversa da
principi e regole di vecchia costituzione. Entrambe fuggono in cerca di
una vita libera da vincoli di altri tempi, di emozioni, sensazioni,
avventure, amore, piacere, di quanto due belle ragazze hanno bisogno per
essere felici nell’anima e nel corpo. Diversi saranno i loro destini
perché diverse sono esse e le loro aspirazioni. Le esperienze vissute
serviranno, tuttavia, per la maturazione, la formazione di una loro
coscienza, per l’acquisizione, almeno a livello psicologico,
dell’indipendenza rispetto all’uomo, che dominava incontrastato
nell’ambiente, ed a sistemi di vita rimasti inalterati nonostante i
tempi nuovi. Questi delle opere d’esordio saranno i temi
ricorrenti nell’intera, ampia produzione della O’Brien che oltre a
romanzi comprenderà racconti, commedie, sceneggiature televisive e
cinematografiche, saggi. Delle donne irlandesi, della loro difficile
condizione l’autrice scriverà sempre e tramite esse dirà di lei, della
sua vita. Nata nel 1930 a Tuamgraney, nella contea di Clare dell’Irlanda
occidentale, era stata l’unica figlia di una famiglia molto severa.
Questa e le scuole, dove aveva ricevuto la prima istruzione, avevano
reso la sua infanzia “soffocante”. Trasferitasi a Dublino nel 1950 aveva
studiato presso l’Università, poi aveva lavorato come farmacista. Nel
1954 si era sposata e col marito si erano trasferiti a Londra. Qui aveva
avuto ed allevato due figli. Nel 1964 si era separata dal marito. Ora, a
ottantunanni, vive ancora a Londra dopo essersi divisa tra questa città
e New York dove è stata docente di scrittura creativa presso il City
College della City University. Da ragazza ha letto autori quali Tolstoj,
Thackeray e F. Scott Fitzgerald ma ha sempre sostenuto che è stato il
romanzo Ritratto dell’artista da
giovane di James Joyce a farle scoprire la sua passione per la
letteratura, a farle capire, cioè, che come il Joyce di quell’opera lo
scrittore poteva attingere alla propria vita, la scrittura poteva essere
autobiografica. E di sè, delle aspirazioni nutrite, delle delusioni
sofferte a causa della famiglia, della religione, dell’ambiente, la
O’Brien avrebbe scritto. In ogni donna protagonista delle sue opere, nei
suoi problemi, sarebbe stato possibile rintracciare momenti, problemi
della vita dell’autrice. Dietro tante donne che soffrono nel privato e
nel pubblico, non scambiano, non comunicano con gli uomini, subiscono il
loro potere siano essi padri, mariti, innamorati, amanti, protestano in
nome dei propri diritti, si ribellano anche senza riuscire negli
intenti, si sarebbe potuta riconoscere la O’Brien, dietro la scrittrice
ci sarebbe stata la donna, la donna che soffre e si ribella. Erano stati
i suoi due atteggiamenti e saranno quelli che farà interpretare alle sue
protagoniste. Nella trilogia con la quale esordisce Kate e
Baba, anche se in maniera diversa, soffrono e si ribellano e nel
suddetto secondo volume, La
ragazza dagli occhi verdi, Kate occupa quasi per intero lo spazio
dell’opera. Baba comparirà solo poche volte e più attenta sarà la
scrittrice a seguire il lungo sviluppo del rapporto tra la ventunenne
Kate e il maturo Eugene. «Non riuscivo a prendere una decisione; non
avevo preso una sola decisione in tutta la mia vita. Altri avevano
sempre deciso che vestiti comprarmi, che cosa dovevo mangiare…», dice di
sé Kate mentre Baba, più sicura, più capace di scegliere e decidere,
riuscirà prima ma correrà pericoli maggiori e per fortuna si salverà.
Kate, più lenta, più incerta, attenderà molto per vedere realizzati i
suoi sogni. Ma anche questi finiranno e lei non si rassegnerà all’idea,
non crederà di essere stata ingannata dall’uomo che le aveva dichiarato
il suo amore, penserà sempre di essere da lui cercata, seguita. Anche
quando sarà stata lasciata in maniera definitiva, evidente, considererà
quella trascorsa un’esperienza importante, utile a farle sapere, capire
di più. Pure Baba, per altre vie, era giunta a conoscere
meglio il mondo. Per entrambe la sconfitta era stata una conquista e di
questo ha voluto scrivere la O’Brien, di donne che hanno osato, hanno
lottato perché diverse si sentivano dal loro ambiente familiare e
sociale ed anche se non sono riuscite nell’impresa hanno mostrato che
questa è possibile, che va continuata, che serve perché bisogna cambiare
modo di pensare, di vivere. Il vecchio deve essere combattuto in nome
del nuovo, un processo deve essere avviato e condotto anche se in modi
diversi. Di queste, di tante altre situazioni, di un popolo intero,
della sua parte più povera e più limitata, dei suoi costumi, dei suoi
problemi quotidiani, della sua società, dei suoi tanti aspetti scrive la
O’Brien del romanzo. Completa, totale è la visione che riesce ad
ottenere senza scadere mai nel documento, nella cronaca perché sempre
capace di tradurre la storia in letteratura, di procurare alla realtà
una trasposizione, di narrarla e con naturalezza. Facile, semplice è il
linguaggio della scrittrice, piano scorre a dire di una vita che piano
avviene. Tanto ammirati si rimane dello stile da non saper stabilire
quale, tra esso e il contenuto, valga di più. |
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