Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Mangiare bene per volere bene

 di Antonio Stanca

 

Una ragazza giapponese, Ringo, che lavora in un ristorante turco a Tokyo e che convive da anni col fidanzato, anche lui al servizio di un ristorante vicino a quello di Ringo, un giorno, tornata a casa, non trova nessuno e scopre di essere stata abbandonata. Ne rimane tanto sconvolta da perdere la voce e decidere di lasciare la città e tornare nel suo paesino tra le montagne dal quale era fuggita all’età di quindici anni perché impossibile era divenuto il rapporto con la madre. Nemmeno quando si ritroveranno dopo tanto tempo le due donne si mostreranno disposte a ridurre quello stato di avversione che si era creato tra loro. Per Ringo i problemi sembravano aumentati ma essendo sempre propensa ad immaginare, sempre pronta a fare, avrà un’idea che sarà decisiva per la sua vita. Riuscirà a trasformare il vecchio granaio della casa materna in un piccolo ristorante che potrà ospitare una coppia al giorno e nel quale Ringo sarà la cuoca, cucinerà come aveva imparato a Tokyo. Nei lavori più pesanti sarà aiutata da alcune persone del villaggio mentre distante continuerà a rimanere la madre. Il ristorante si chiamerà Lumachino e subito dopo l’inizio dell’attività diventerà famoso per le pietanze squisite e per gli effetti straordinari che da queste provengono. Riescono a rendere più buone le persone che le gustano, a promuovere pensieri delicati, a risvegliare sentimenti sopiti, a condurre  al bene, all’amore. Era come se il cibo parlasse alle persone, le rendesse partecipi della sua bontà, come se avesse un’anima e la comunicasse, la trasferisse in loro. Il ristorante di Ringo divenne subito noto nel circondario, la sua cucina fu sempre più richiesta e lei fece del suo lavoro di cuoca la maggiore, l’unica aspirazione della sua vita. Si sentiva al colmo della felicità, parlava con le vivande, credeva che avessero uno spirito, che sapessero dei suoi pensieri, dei suoi propositi. Si riconcilierà con la madre, saprà da lei quanto non aveva mai saputo, conoscerà l’uomo che tanti anni prima l’aveva abbandonata e al quale era rimasta sempre legata, preparerà gli infiniti piatti che faranno parte del banchetto delle loro nozze, la vorrà vedere felice anche se poco durerà per la madre il tempo della felicità poiché una grave ed improvvisa malattia la condurrà alla morte. Ringo, però, non si rassegnerà alla sua scomparsa, immaginerà di vederla, di parlarle fino a giungere a recuperare quella voce che tanto tempo prima aveva perso.

E’ questo il contenuto del romanzo d’esordio della trentottenne scrittrice giapponese Ito Ogawa, Il ristorante dell’amore ritrovato. L’opera, comparsa nel 2008 nella versione originale, è stata pubblicata in Italia nel 2010 dalla casa editrice Neri Pozza di Vicenza (trad. di Gianluca Coci, pp.184, € 15,00). L’Ogawa, conosciuta in Giappone come autrice di canzoni e libri per ragazzi, con questo primo romanzo ha ottenuto un successo che ha superato i confini della sua nazione. Ne è stato tratto un film. E’ un romanzo ma  anche un racconto, una favola. E’ moderno ma anche antico. I suoi temi sono nuovi quali il difficile rapporto tra genitori e figli, l’abbandono della caotica vita di città per un’altra condotta allo stato naturale, ma anche  vecchi, remoti quali la convinzione che il cibo sia dotato di anima, che abbia una sua vita e che la trasmetta a chi lo ingerisce. Sono credenze che risalgono alla mitologia giapponese, al suo famoso libro Kojiki dove si dice che il cibo è un mezzo di comunicazione tra gli uomini e gli dei. Tanto ha voluto la Ogawa col suo romanzo ed è riuscita, ha combinato i vari elementi in maniera così naturale da non permettere di distinguere tra realtà e fantasia, verità e finzione. E’ stata la sua lingua a procurarle un risultato tanto importante. E’ la lingua semplice, facile di una scrittrice per ragazzi, la lingua delle favole, quella che non conosce confini.


La pagina
- Educazione&Scuola©