|
|
Il «male
di scrivere» di
Antonio Stanca
Un
romanzo breve, un racconto ma anche una favola è quest’ultima di Maria
Amalia Orsini, Virginia Mila,
(ed. Lampi di stampa, Milano 2011, pagg. 210, € 12,00), dal momento che
molto concede a casi fortuiti, ritrovamenti improvvisi, inaspettati,
rivelazioni determinanti. La Orsini è nata a Omegna e vive a Novara. Ha
insegnato in molte scuole ed ha pubblicato opere di narrativa e di
poesia che l’hanno fatta segnalare in alcuni concorsi letterari. Da esse
si può dedurre che centrale nella sua produzione è il tema della
ricerca, nella vita «quotidiana, anonima, comune», di quanto la possa
distinguere, possa trarre da essa un significato, un messaggio che
rimanga per sempre. La Orsini cerca nella vita tra le tante cose che
finiscono quella che non finisce e con le sue opere vuole mostrare che
c’è, che è possibile ottenerla anche a costo di molte difficoltà. Queste
nei tempi moderni, dove sono generalmente ambientate le sue storie, sono
aumentate perché maggiori, più urgenti sono divenuti i bisogni, gli
impegni concreti e ad essi non può sottrarsi nemmeno chi ha quella
possibilità come l’artista o il genio di qualunque genere. È diventato
più difficile raggiungere risultati, valori sempre validi ma non sono
scomparsi. Neanche le persone che a quei valori tendono sono scomparse e
Virginia Mila, la protagonista dell’ultima storia della Orsini, è un
esempio. Essa viene dopo gli altri casi interpretati dagli altri
personaggi della scrittrice e li continua in maniera migliore, più
chiara, più sicura. Con lei la Orsini ha superato ogni precedente
esitazione. Lo fa vedere tramite il linguaggio dell’opera capace di
aderire con facilità agli aspetti più reconditi delle varie situazioni
presentate e soprattutto tramite la figura della protagonista. Virginia,
durante i turbolenti anni ’60 che fanno da sfondo alla narrazione,
lascia la famiglia, il suo paese di montagna per inseguire il sogno di
diventare scrittrice. Si stabilisce a Milano, affronta privazioni di
ogni genere ma non smette di pensare alla stesura di un testo
teatrale che esprima i suoi pensieri, rifletta il suo animo, ne
faccia un motivo di continuo valore, provi come la scrittura possa
ottenere quanto alla vita non è possibile. «Virginia Mila si sentiva spossata. Per giorni
aveva trascinato con sé immagini e visioni, aveva dato vita ad un
incantevole teatro». Immaginava le varie scene della rappresentazione,
le annotava sulla sua inseparabile agenda, ne parlava con gli amici con
i quali solitamente si ritrovava, pensava soltanto ad esse ma tanti
erano i problemi che ostacolavano il progetto. Crederà sia giunto il
momento giusto quando un assegno inviatole dal padre la libererà dal
problema più grave, quello economico. Tuttavia lo stato di sconforto nel
quale cade per la morte improvvisa del padre, lo scioglimento del gruppo
di amici che sarebbero dovuti essere gli attori della rappresentazione,
la notizia delle misere condizioni di vita del suo compagno d’infanzia
Carlo Borca che già allora si era distinto per le sue qualità di genio,
la porteranno a rinunciare al disegno. Di sconfitte esso avrebbe dovuto
trattare: durante un viaggio su una nave due giovani sposi avrebbero
conosciuto altri passeggeri, ne sarebbero diventati amici ed avrebbero
saputo del loro passato. Avrebbero saputo che quasi tutti erano reduci
da insuccessi, da fallimenti, quasi tutti avevano visto le loro
aspirazioni annullate dalla vita, dalle sue complicate circostanze.
Anche Massimo, il barman della nave, avrebbe voluto diventare uno
scrittore perché, come Virginia, fin da giovane aveva aspirato a
distinguersi, aveva avvertito dei richiami diversi da quelli dei suoi
coetanei. «Ho capito che al di là di tutto, non posso fare a meno di
scrivere, perché non conosco, non mi interessa, un altro modo di
trasformare l’insofferenza che mi agita da sempre. Come faccio a
scappare da me stesso? . . . Io amo la scrittura come un uomo povero e
brutto s’innamora senza speranza di una regina». Massimo era un
personaggio dell’opera teatrale alla quale Virginia pensava in
continuazione, era uno dei protagonisti che «popolavano la sua testa
nutrendosi delle sue pulsioni e dei suoi sogni», era uno sconfitto. Molto si sofferma la narrazione della Orsini sul
teatro immaginato da Virginia. Lo mostra costruito nelle sue parti,
svolto nei suoi temi anche se rimarrà solo nella
fantasia della giovane poiché la vita non le permetterà di
realizzarlo. Tra tante sconfitte, però, sarebbe successo pure che quel
Carlo Borca, del quale da tempo non si avevano notizie e che tutti
pensavano scomparso, avrebbe fatto parlare di sé. Si sarebbe saputo che
nonostante le difficoltà aveva continuato nei suoi studi di fisica, si
era trasferito all’estero, aveva condotto ricerche in laboratori
specializzati ed era giunto a scoperte tanto importanti e definitive da
meritare il riconoscimento del Premio Nobel. «Uno di loro ce l’aveva fatta!»
e questo dimostrava che la forza
dell’anima, l’energia della mente sono superiori a qualunque ostacolo,
che sui problemi si può pure vincere, che tra le cose della vita ci sono
quelle che non finiscono. |
La pagina
- Educazione&Scuola©