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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Il «male di scrivere»

di Antonio Stanca

 

Un romanzo breve, un racconto ma anche una favola è quest’ultima di Maria Amalia Orsini, Virginia Mila, (ed. Lampi di stampa, Milano 2011, pagg. 210, € 12,00), dal momento che molto concede a casi fortuiti, ritrovamenti improvvisi, inaspettati, rivelazioni determinanti. La Orsini è nata a Omegna e vive a Novara. Ha insegnato in molte scuole ed ha pubblicato opere di narrativa e di poesia che l’hanno fatta segnalare in alcuni concorsi letterari. Da esse si può dedurre che centrale nella sua produzione è il tema della ricerca, nella vita «quotidiana, anonima, comune», di quanto la possa distinguere, possa trarre da essa un significato, un messaggio che rimanga per sempre. La Orsini cerca nella vita tra le tante cose che finiscono quella che non finisce e con le sue opere vuole mostrare che c’è, che è possibile ottenerla anche a costo di molte difficoltà. Queste nei tempi moderni, dove sono generalmente ambientate le sue storie, sono aumentate perché maggiori, più urgenti sono divenuti i bisogni, gli impegni concreti e ad essi non può sottrarsi nemmeno chi ha quella possibilità come l’artista o il genio di qualunque genere. È diventato più difficile raggiungere risultati, valori sempre validi ma non sono scomparsi. Neanche le persone che a quei valori tendono sono scomparse e Virginia Mila, la protagonista dell’ultima storia della Orsini, è un esempio. Essa viene dopo gli altri casi interpretati dagli altri personaggi della scrittrice e li continua in maniera migliore, più chiara, più sicura. Con lei la Orsini ha superato ogni precedente esitazione. Lo fa vedere tramite il linguaggio dell’opera capace di aderire con facilità agli aspetti più reconditi delle varie situazioni presentate e soprattutto tramite la figura della protagonista. Virginia, durante i turbolenti anni ’60 che fanno da sfondo alla narrazione, lascia la famiglia, il suo paese di montagna per inseguire il sogno di diventare scrittrice. Si stabilisce a Milano, affronta privazioni di ogni genere ma non smette di pensare alla stesura di un testo  teatrale che esprima i suoi pensieri, rifletta il suo animo, ne faccia un motivo di continuo valore, provi come la scrittura possa ottenere quanto alla vita non è possibile.

«Virginia Mila si sentiva spossata. Per giorni aveva trascinato con sé immagini e visioni, aveva dato vita ad un incantevole teatro». Immaginava le varie scene della rappresentazione, le annotava sulla sua inseparabile agenda, ne parlava con gli amici con i quali solitamente si ritrovava, pensava soltanto ad esse ma tanti erano i problemi che ostacolavano il progetto. Crederà sia giunto il momento giusto quando un assegno inviatole dal padre la libererà dal problema più grave, quello economico. Tuttavia lo stato di sconforto nel quale cade per la morte improvvisa del padre, lo scioglimento del gruppo di amici che sarebbero dovuti essere gli attori della rappresentazione, la notizia delle misere condizioni di vita del suo compagno d’infanzia Carlo Borca che già allora si era distinto per le sue qualità di genio, la porteranno a rinunciare al disegno. Di sconfitte esso avrebbe dovuto trattare: durante un viaggio su una nave due giovani sposi avrebbero conosciuto altri passeggeri, ne sarebbero diventati amici ed avrebbero saputo del loro passato. Avrebbero saputo che quasi tutti erano reduci da insuccessi, da fallimenti, quasi tutti avevano visto le loro aspirazioni annullate dalla vita, dalle sue complicate circostanze. Anche Massimo, il barman della nave, avrebbe voluto diventare uno scrittore perché, come Virginia, fin da giovane aveva aspirato a distinguersi, aveva avvertito dei richiami diversi da quelli dei suoi coetanei. «Ho capito che al di là di tutto, non posso fare a meno di scrivere, perché non conosco, non mi interessa, un altro modo di trasformare l’insofferenza che mi agita da sempre. Come faccio a scappare da me stesso? . . . Io amo la scrittura come un uomo povero e brutto s’innamora senza speranza di una regina». Massimo era un personaggio dell’opera teatrale alla quale Virginia pensava in continuazione, era uno dei protagonisti che «popolavano la sua testa nutrendosi delle sue pulsioni e dei suoi sogni», era uno sconfitto.

Molto si sofferma la narrazione della Orsini sul teatro immaginato da Virginia. Lo mostra costruito nelle sue parti, svolto nei suoi temi anche se rimarrà solo nella  fantasia della giovane poiché la vita non le permetterà di realizzarlo. Tra tante sconfitte, però, sarebbe successo pure che quel Carlo Borca, del quale da tempo non si avevano notizie e che tutti pensavano scomparso, avrebbe fatto parlare di sé. Si sarebbe saputo che nonostante le difficoltà aveva continuato nei suoi studi di fisica, si era trasferito all’estero, aveva condotto ricerche in laboratori specializzati ed era giunto a scoperte tanto importanti e definitive da meritare il riconoscimento del Premio Nobel.

«Uno di loro ce l’aveva fatta!»  e questo dimostrava che la forza dell’anima, l’energia della mente sono superiori a qualunque ostacolo, che sui problemi si può pure vincere, che tra le cose della vita ci sono quelle che non finiscono.


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