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NELLA "MALATTIA" LA VERITA’
L’ultimo Ottiero Ottieri è quello del breve romanzo "Cery" pubblicato da Guanda (146 pagine, 22mila lire). Il titolo è anche il nome del luogo di cura per malati mentali situato in Svizzera a poca distanza da Milano, da dove proviene Filippo Ciai, l’intellettuale – scrittore protagonista dell’opera. Questi, vittima di continui stati di ansia ed angoscia derivati da incomprensioni e contrasti nella sua attività, ha cercato sollievo nell’alcool fino a diventarne un dipendente ed a scegliere ora di curarsi a Cery. L’ha già fatto senza alcun esito presso altre cliniche e neanche in questa gli sarà possibile guarire ma la permanenza piuttosto prolungata lo metterà a contatto con persone e situazioni nuove, con altri casi di devianza, gli rivelerà quanto sia diffuso il male di vivere. A Cery, inoltre, gli succederà di innamorarsi contemporaneamente di molte donne poiché "lo stato ansioso favorisce la disposizione sentimentale". In particolare s’innamorerà della signora Firz e della signorina Mueller entrambe bellissime e lì ricoverate per curare la propria ansia provocata da difficili rapporti personali e sociali. Al loro pensiero Filippo ripercorrerà tutto il suo passato e vivrà i nuovi sentimenti d’amore dichiarandoli in delle lunghe lettere che non farà mai pervenire alle due donne. Come prima di Cery si troverà, quindi, a vivere da solo pensieri ed azioni, a costruirsi da solo programmi e progetti anche se la condizione di comunità gli aveva fatto sperare relazioni e corrispondenze tra le più varie. Ognuno, in quella clinica, vive da solo il proprio dramma generalmente scaturito da una mancata combinazione con i moderni ambienti percorsi da interessi sempre più materiali, contingenti e sempre meno ideali spirituali, ognuno aspira a guarire ma nessuno vi riesce perché non si può cambiare quanto il corso della vita determina. Non malate sono, infatti, da considerare le persone ricoverate a Cery ma destinate ad un’esistenza particolare dal momento che risultano escluse dal contesto umano e sociale, sconfitte, vinte moralmente, psicologicamente, estranee al sistema che regola il resto dell’umanità. Come il protagonista esse lottano, aiutate da farmaci e da medici, per uscire dal tunnel della nevrosi e delle singolari e a volte bizzarre manifestazioni che essa ha assunto nei loro casi, come lui pensano di scoprire le cause dei propri "mali oscuri", di curarle e non si rendono conto che quella "malata" è la loro condizione naturale, definitiva. Tramite Filippo ed i rapporti da lui intrattenuti o pensati o sognati, le situazioni vissute o ricordate o apprese, Ottieri ci fa conoscere, nel romanzo, quell’umanità che generalmente rimane ignorata poiché non partecipe della vita di tutti, non capace di quanto questa richiede. E’ un motivo sul quale lo scrittore ha insistito negli ultimi lavori quello dell’uomo moderno rimasto solo con la propria mente ed il proprio corpo in una realtà che separa, divide e rende difficile la comunicazione, lo scambio. Ora, in quest’opera, quell’uomo solitario oltre alle possibilità esterne ha perso anche le sue proprie, non è padrone neppure dei suoi pensieri ed azioni perché la solitudine è sfociata nella "malattia" e questa regola ormai il suo comportamento. E’ una visione allarmante se non allucinante quella che l’Ottieri propone in "Cery": non solo il "diverso" come lo scrittore Filippo si è ammalato prima di solitudine e poi di nevrosi ma anche tante altre persone comuni hanno subito la stessa sorte ed altre ancora la subiranno sicchè la nevrosi, la follia sembrano diventate il destino di coloro che nella contemporanea atmosfera umana, sociale, politica, culturale mossa da finalità soprattutto pratiche, immediate, hanno continuato a credere nell’idea. Contro tale atmosfera Ottieri si mostra, nel libro, particolarmente sferzante, ne fa oggetto di satira, d’ironia pervenendo così ad uno stile vario e animato nel lessico e nelle immagini, ricco di riferimenti culturali di ogni tipo e tempo, ma finisce col constatarla e riconoscerla come inevitabile e dominante. In essa, quindi, vanno cercate le cause delle deviazioni di cui soffrono i "malati" di Cery, che, in tal modo, si trasformano nei segni della sconfitta di quanto, nella vita dei nostri tempi, è rimasto ancora dell’uomo. La "malattia" diviene, pertanto, la soluzione del problema e riceve una drammatica spiegazione e giustificazione: in essa soltanto è possibile, oggi, vivere la vita dell’anima, essere, cioè, veri, autentici, trovare la propria dimensione per chi altrove non può.
Antonio Stanca Quotidiano di Lecce – 3 Novembre 1999 |
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