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Il Nobel in Turchia di Antonio Stanca
Pamuk ha cominciato a scrivere a ventidue anni nel 1974, il primo romanzo “Oscurità e luce” è del 1979. Nel 1982 viene rivisto e pubblicato col titolo “Il signor Cevdet e i suoi figli”, seguiranno nel 1983 “La casa del silenzio” e nel 1985 “Roccalba” o “Il castello bianco”. I modi sono quelli del romanzo storico, lo sguardo di Pamuk è rivolto al passato, a quello della sua famiglia, della sua nazione, della sua città ma insieme alla ricostruzione di ambienti e personaggi compare già la tendenza a confrontare vecchio e nuovo, antico e moderno. Nelle opere seguenti, i romanzi “Il libro nero” (1990), “La nuova vita” (1995), “Il mio nome è rosso” (1998), “Neve” (2002), Pamuk aderirà a generi letterari più moderni mostrando di risentire di quanto visto e appreso durante la permanenza in Occidente. Continuerà, però, a proporre il tema del rapporto tra passato e presente, tra la Turchia di ieri e quella di oggi, che diventerà ricorrente, centrale nella sua produzione e mostrerà come egli senta in sé, viva da solo la lunga storia della sua terra, del suo popolo, le infinite, contrastanti vicende da questo attraversate dai tempi più remoti a quelli del passaggio dall’Impero alla Repubblica fino ai giorni nostri quando ancora non si può dire di una situazione stabilmente definita anche a causa della compresenza in Turchia di due civiltà, l’asiatica e l’europea, di due religioni, l’islamismo e il cattolicesimo, di due culture, l’orientale e l’occidentale. Nella prima Pamuk identificherà il passato, nella seconda il presente e, come succedeva in lui per la sua formazione, penserà che entrambe le parti continuino ad agire e vorrà dare loro voce. E’ stato questo bisogno a farlo giungere alla scrittura, alla creazione di personaggi complessi, nei quali si rifletteranno secoli di storia, di vita orientale e occidentale, vecchia e nuova. Li mostrerà impegnati a scoprire come le diversità religiose, culturali, civili possano essere conciliate, le distanze ridotte. Come molti punti di contatto, molte somiglianze esistano, come le diverse condizioni possano diventare una sola, trovare unità se ricondotte al punto dal quale provengono, all’uomo. Sia ad Oriente che ad Occidente è sua opera la vita, la storia, la lingua, la religione, la cultura, la società ed anche se sono diventate diverse in lui devono cercare l’unica origine e il modo per ritrovarsi. E’ una rivalutazione della figura umana, un’affermazione del suo valore morale e fisico, quella compiuta dall’opera di Pamuk, un recupero di quanto i tempi hanno di essa disperso. Secondo lo scrittore dire europeo o asiatico, cattolico o musulmano, vecchio o nuovo, non significa distinguere se si pensa che l’uomo prima di essere diverso è stato unico e questo non solo in Asia e in Europa ma in ogni luogo sicché in lui si annulla non solo quella tra Occidente ed Oriente ma ogni altra differenza o distanza. Una dimensione umana più ampia è quella proposta da Pamuk nelle sue opere, una visione della vita estesa in ogni senso. Un universo intero si muove in esse, non ci sono confini di nessun genere e abilissima si mostra la sua scrittura nel rendere tanta complessità, nel riuscire sempre chiara e scorrevole pur tra interminabili passaggi, infiniti collegamenti tra leggenda, mito, tradizione, credenza, superstizione, costume, religione, cultura, tra l’infinito passato e l’infinito presente. Universali sono i suoi contenuti, tutto comprendono, tutto vale, agisce in essi. La storia, la vita dell’uomo nella loro totalità vengono proposte dai suoi romanzi che pertanto oltre a quello letterario acquistano anche un significato filosofico, assumono il valore di una concezione, la funzione di una teoria. Riflettono non solo la sensibilità di un artista ma anche l’impegno di un intellettuale e tale è Pamuk. |
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