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Con Parronchi a Firenze di Antonio Stanca Il poeta ermetico Alessandro Parronchi, nato a Firenze nel 1914, ha dato alle stampe, presso Interlinea, un breve volume contenente suoi vecchi componimenti ritrovati, forse rielaborati, e intitolato “Esilio”. Così s’ intitola pure la prima poesia della raccolta ed è stato il ritrovamento di questa a muovere l’autore alla ricerca delle altre che costituiscono l’opera. La lirica fu scritta nel 1943 quando avvenne il primo bombardamento su Firenze e Parronchi decise allora di trasferirsi in campagna nella vicina Terreno, presso la casa materna. Non vi rimarrà stabilmente ma soprattutto durante la notte perché gli riuscirà difficile stare lontano da Firenze dove si recherà a piedi. Sarà questo “l’esilio” al quale si vedrà condannato a ventinove anni: avere rapporti saltuari con la città natale, gli ambienti dove era cresciuto, aveva studiato, si era laureato (1938) e dove partecipava ora di quella vita intellettuale ed artistica che, nella Firenze tra le due guerre, era particolarmente fervida e produttiva. Qui tra dibattiti, attività editoriali, riviste, critici, autori, soprattutto poeti, avveniva il cosiddetto “ermetismo fiorentino”. Carlo Bo, Oreste Macrì , Gianfranco Contini erano i teorici maggiori, “Frontespizio”, “Letteratura”, “Campo di Marte” le riviste programmatiche, Mario Luzi, Carlo Betocchi, Alfonso Gatto, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Luigi Fallacara i poeti del gruppo. Questi costituivano una corrente e perseguivano il programma comune di una letteratura, un’arte che rinnovasse quanto giunto dalla tradizione, risultasse estranea ad ogni contatto con l’esterno, vivesse di sé, di una vita propria, si sostituisse alla vita, fosse la vita. Essere artista significava operare delle rinunce, consacrarsi ad un dovere simile a quello religioso poiché di carattere morale, spirituale, seguire i richiami dell’anima. Un esercizio che non doveva limitarsi all’elaborazione dei contenuti dell’opera ma estendersi alla ricerca di una forma estremamente elaborata, perfetta, pari alla dimensione, al valore superiore di quanto espresso. Un’ arte pura, una religione delle lettere perseguivano gli ermetici fiorentini degli anni ’30 e ‘40, una poesia con la quale identificare la propria vita, assentarsi dal fascismo, contestare il crocianesimo e procurare forma sistematica ad umori già comparsi isolatamente con Campana, Rebora, Ungaretti, Mallarmé, Eliot: una scuola poetica voleva essere l’interprete definitiva di una cultura poetica che veniva da lontano. E come in ogni scuola tra le comuni linee di condotta sarebbero emerse le singole personalità, ognuna con la sua voce, espressione di sentimenti, pensieri individuali. La voce di Parronchi si sarebbe distinta per il suo inesauribile bisogno d’infinito, per la sua tendenza a ridurre ogni esterno presentato a stato d’animo, sentimento onde fargli superare la condizione contingente e procurargli una più estesa. Critico letterario, storico dell’arte, traduttore di poeti moderni, Parronchi fin dalle prime raccolte poetiche, “I giorni sensibili”(1941), “Un’attesa”(1949), si mostrerà impegnato in una ricerca destinata a rimanere sospesa non essendo possibile conciliare la constatazione di una vita destinata alla fine con l’ aspirazione ad un’esistenza eterna. Per questa via il poeta giungerà a negare la morte, la storia, approderà alla fede religiosa ma il problema rimarrà e lo stato di sospensione tra finito e infinito diverrà il motivo ricorrente della sua immensa produzione in versi. Raffinato, eletto nella forma, Parronchi si muoverà tra la lezione ermetica, linguaggio allusivo, evocativo, analogico, e l’esempio dei classici, componimenti ampi, uso dell’endecasillabo. Uno stile tanto curato adombrerà il dramma del contenuto ma non gli impedirà di trasparire in qualunque momento dell’opera. Per Parronchi questa non sarà mai compiuta e, come stavolta a ottantanove anni con “Esilio”, egli ritornerà sempre a riprenderla, rivisitarla, dimostrando che insieme al problema neanche l’operazione che intende esprimerlo può essere considerata conclusa. Da qui l’attualità di ogni parte della sua produzione e, quindi, di “Esilio”, componimento e raccolta che risalgono, s’è detto, agli inizi del Parronchi poeta ma che già contengono i motivi della sua poesia matura. “… tormento dell’irraggiungibile, distanza/ di cui non si tocca mai la fine…”, “…l’infido/ buio in cui sempre si nasconde il male.”, “…che altro se non amore ci rinnova?...”, “ …Ora non appartieni più a nessuno/ ma se uno di te appena si ricorda/ non sei più solo.”, “…e prima che il lume di un’alba in cielo cominci a fluire/ si colma il tenero mondo e il cuore di quell’essenza.”, “Tu morto sei ma vivi/ perché morire non è non esistere!...”: questo il Parronchi della raccolta “Esilio”, il primo Parronchi e questo sarà anche l’ultimo con i necessari sviluppi di contenuto e di forma. Il buio che il poeta teme diverrà quell’idea del tempo, della storia che negherà, la luce cui anela si trasformerà nell’approdo religioso, la perplessità di fronte alla morte gli farà maturare il pensiero di una vita senza limiti: quello di Parronchi non sarebbe stato un processo che avanza, supera, annulla le fasi precedenti ma una visione che si amplia, si arricchisce sempre più senza mai negarsi in alcuno dei suoi momenti o aspetti, senza mai smettere di credere che niente finisce ma tutto continua. |
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