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RAPPORTO FRA DOCENTI E SOCIETA’ Paolo Petrocelli affronta con competenza, passione e disincanto l’argomento scuola. Nel suo libro non c’è ombra di vittimismo, non c’è lontananza dalla realtà; c’è, invece, la volontà di affermare che non siamo finiti, che non siamo pedestri funzionari di Stato, che, se vogliamo, possiamo usare l’intelligenza e la cultura per dire dei NO a ciò che si pretende e si è preteso da anni di fare di noi e della scuola: un’azienda senza arte e senza sapienza, un’azienda che fabbrica progetti inutili ai contesti, pur di fare una misera cassa di virtù e conoscenza ormai assoggettate a una politica senza la maiuscola rivolta a un pubblico sempre più acritico e disposto a bersi qualsiasi frottola pur di non assumersi la responsabilità dell’autocritica. Il professore-scrittore è riuscito a esprimere con ironia il disagio dei docenti in gamba dinanzi all’imperare di media e politici tanto abili nel mascherare i misfatti di una società antipedagogica che li vede maestri nel renderla tale, ma così caparbiamente aggressivi nel crocifiggere la professione di insegnante, presentata come foriera dei mali più inguaribili per le giovani generazioni e per le loro famiglie. L’IMBROGLIO DEL MARKETING D’ISTITUTO Petrocelli senza mezzi termini ridicolizza con garbo e umorismo la mania degli istituti di accaparrarsi iscrizioni per mezzo di folli valutazioni al ribasso, con una competizione basata sulla facilitazione dei percorsi e la loro appetibilità, come se la scuola fosse più una fabbrica di divertisment che non di sapere e saperi. Le sue parole vibrano di emozione e dramma quando esprimono l’assurdità di un sistema che cerca di soffocare coloro i quali credono nel valore della cultura, dello sforzo, e infine del merito. Egli non si sofferma sul sogno che molti docenti avrebbero di una scuola “compresa”, anche da chi è all’esterno, per quello che profonde in energie fisiche e psichiche, bensì va oltre per spiegare che il malessere suo e di tanti altri come lui è dovuto alla convinzione che ormai la scuola è in mano ai pedagogisti accademici, i quali pensano agli alunni che hanno in mente, a una realtà distorta dalla mancanza totale di vicinanza all’odore delle aule e di chi le abita. Egli si chiede dove siano finiti i pedagogisti militanti, quale ruolo abbia ormai il docente compresso come è fra l’organizzazione aziendale della scuola, le aspettative della società pilotata dagli esperti pontificanti a tavolino e le sue connaturate ambizioni professionali, ambizioni che il docente, se pur sottopagato e sottostimato, desidera mettere a disposizione, attraverso le proprie strategie, competenze disciplinari e relazionali, per elevare nei ragazzi il loro profilo etico, il senso di responsabilità, l’autonomia nell’impegno e nella rielaborazione personale. Petrocelli rileva come sia confusa la situazione della docenza stretta e costretta dalle stagioni riformistiche differenti, che infliggono al corpo insegnante pretese di obiettivi e priorità formative e d’istruzione opposte. Situazione a rischio di schizofrenia se i docenti volessero accontentare tutti e tutto per accedere a eventuali concorsi di meritocrazia: bravi per chi la pensa in un modo, somari per chi la pensa in un altro. LA MALATTIA DEL MAMMISMO E che dire di quella malattia che si è diffusa fra genitori e insegnanti? Petrocelli la definisce a buon diritto mammismo. Quella per cui i genitori tendono a riversare sui figli sensi di colpa e aspettative, e nel far ciò si arroccano in difesa dinanzi a ogni difficoltà di apprendimento, di studio, di crescita emozionale e affettiva; quella per cui alcuni docenti immolano l’esistenza rinunciando alla propria individualità, alla loro dignità personale pur di “difendere” l’indifendibile e concedono tutto fino a dimenticare il loro ruolo, cioè insegnare a vivere dentro la vita vera. IL TEMPO, L’AUTONOMIA, IL TERRITORIO, I PROGETTI, OVVERO IL DOCENT CURRENS IN SCHOLA CURRENTI Petrocelli apre poi lo scenario di quella che sarebbe dovuta essere la scuola dell’autonomia, quella che avrebbe dovuto riflettere sui propri bisogni, sui propri indirizzi e che invece è diventata la scuola dei progetti, dei pacchetti acchiappati dal territorio per fare cassa, per mostrare il quanto si fa…ecco la scuola che non ha mai tempo per parlare delle cose che contano, di metodi, di apprendimento, di far scuola insomma…Docenti che non hanno tempo, in una scuola che corre a gambe levate verso la soddisfazione dell’utenza, che l’accompagna senza formarla, senza dialogo, senza confronto reale sui significati e si accontenta di abbagliarla, mescolando il sacro e il profano: pagellini, verifiche, crocette, di corsa dopo aver corso con il programma per riuscire ad accontentare tutti: dirigenti, territorio e agenzie dispensatrici di corsi e concorsi sui più svariati argomenti e sulle più impensabili educazioni… E quel che più spaventa il Professore con la P maiuscola è l’orribile prassi per la quale si è costretti a tutto documentare, a tutto relazionare, a perdere tempo prezioso nel burocratico compito di registrare ogni respiro di progetti e progettini dimenticando che cultura e teste ben fatte alla Morin sono invece un binomio indissolubile fatto di ascolto, conversazioni, letture, dibattito sui fatti del tempo in cui si vive…Il “Niente al caso” conduce burocraticamente a una scuola in cui la formazione e la crescita dei ragazzi sono l’ultima preoccupazione! La fase del progettare con quella del documentare diviene divorante! IN CONCLUSIONE Petrocelli auspica, come tanti, docenti, studenti, famiglie, che la prossima riforma possa nascere da un contributo dal basso, che possa tener conto del sapere di tutti e non soltanto degli emeriti pedagogisti accademici di turno e ci ricorda che già nel nostro Paese qualcosa si è mosso in questa direzione quando si è presentata in parlamento la Proposta di legge di iniziativa popolare, frutto del dibattito fra le tanti componenti della società civile.
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