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Pasquale Picone, Supervisione e formazione permanente. Per il futuro della professionalità docente, Viterbo, Sette Città, 2004 di Carlo Scognamiglio Nell’alternanza democratica dei governi e dei ministeri, la legislazione scolastica è sottoposta a notevoli oscillazioni, i cui esiti risultano in concreto amplificati dalle solite “voci”, che fanno presto a diffondersi tra gli addetti ai lavori, sui incombenti ripensamenti più o meno radicali dell’istituzione, del reclutamento o dei contenuti didattici. Non vi è dubbio che al centro dell’attenzione pedagogica dei ministeri deputati alla regolazione del sistema dell’istruzione (pubblica?) permangono gli studenti e le famiglie. Tuttavia, un problema che poco si pone, e se lo si fa viene presentato in termini unicamente retributivi, è quello degli insegnanti, della loro motivazione e della loro professionalizzazione. Se ne occupa invece Pasquale Picone, in una recente pubblicazione per la casa editrice Sette Città di Viterbo: Supervisione e formazione permanente. Per il futuro della professionalità docente, Viterbo, Sette Città, 2004. Si tratta di un lavoro molto particolare, che è attraversato da un elemento narrativo non immediatamente ravvisabile, ma che si costruisce attraverso la sequenza ragionata di esperienze personali di didattica e di supervisione dell’attività docente implementata nelle scuole, a cui si aggiungono note, osservazioni, ed interventi pubblici dell’autore. Al di là della struttura, sono altri i punti qualificanti del libro, che inducono ad una serie di riflessioni di importante impatto sociale, proprio perché Picone non si esime dal segnalare ciò di cui solitamente non si parla, né di spiegare, dall’interno del mondo della scuola, quante pulsioni distruttive lo popolano, e quali possano essere gli strumenti adeguati a correzioni e miglioramenti. Innanzitutto, occorre prendere atto che nel mondo degli insegnanti della scuola a tutti i livelli, sono sorte e continuano a riproporsi delle gravi patologie, in misura maggiore che in altri settori dell’impiego pubblico: «Ricerche IARD (Il Sole 24 Scuola 23/10/03, pag.13) attestano che tra le patologie degli insegnanti nel biennio 1993/94, il 45% sono di tipo psichiatrico. Nel biennio 2001/02 passano al 57%» (p.16). Certamente occorre prendere coscienza di un disagio, che si manifesta poi sui luoghi di lavoro anche sotto forma di demotivazione, alienazione, e può dare vita a perversi meccanismi de-formativi. E’ evidente che occuparsi di scuola, anche se la direzione dell’interesse del legislatore è rivolta prevalentemente verso le “famiglie”, richiede un intervento anche sulla condizione docente e sui suoi malesseri. Pasquale Picone individua sostanzialmente due punti deboli dell’attuale sistema formativo, ai quali offre risposte che certamente sollevano delicati terreni di discussione: il primo elemento è certamente quello della “motivazione”, che necessita di continue sollecitazioni e di spinte ad un continuo rinnovamento del proprio “demone” pedagogico. Il secondo, a suo modo connesso al precedente, è quello della “formazione”: troppo spesso accade che gli insegnanti nel corso degli anni si allontanino dagli ambienti in cui si sono formati, per abbandonare definitivamente i propri interessi verso la ricerca, l’aggiornamento disciplinare, rinchiudendosi dunque in un’estenuante ripetizione degli stessi contenuti, in dissonanza con lo stato delle conoscenze e dei linguaggi rinnovatisi nella scienza e nella società. Procediamo con ordine. Innanzitutto, la motivazione di un insegnante è legata certamente all’aspetto retributivo (in Italia scandalosamente posto su livelli bassissimi), ma non si può negare che contribuiscono anche altri fattori, come la dequalificazione sociale del ruolo, che non solo perde di prestigio, ma addirittura assume un volto poco apprezzabile in virtù della decentralizzazione dell’autorevolezza all’interno del mondo scolastico, spostatasi dal corpo docente al “corpo genitoriale”, in conseguenza di una logica dell’incontro tra domanda e offerta, che come spesso accade rafforza il potere della domanda e adegua (talvolta anche verso il basso) l’offerta. Tuttavia, non è forse del tutto vero, come spesso si dice, che l’assenza di prospettive di carriera determini fenomeni di demotivazione tra gli insegnanti, visto che in Italia il percorso lavorativo si presenta con ben altri problemi, dal momento che per un aspirante all’insegnamento occorre attendere più di una decina d’anni per ottenere un cattedra, vivendo nella precarietà e nell’irrazionale alternanza annuale all’interno di molteplici scuole della provincia, a discapito della continuità didattica e del rapporto con gli alunni. Ma Picone ha ragione a segnalare anche delle ragioni di natura psicologica che sorgono nel contesto scolastico e che invece troppo spesso vengono sottovalutate: «controdipendenza tardo-adolescenziale; conflittualità tra colleghi per posizioni pregiudiziali di appartenenza politica, sindacale, religiosa, ecc.; “burocraticismo”; burnout docenti» (p. 50). In risposta a questo malessere Picone, che ha maturato la duplice esperienza di insegnante di scuola secondaria e di psicoanalista, propone come “terapia”, che può essere cominciata anche dall’interno della scuola stessa, con un impegno anche circoscritto da parte delle istituzioni, che egli definisce “Clinica della formazione”. Si tratta per l’appunto dell’ attività di supervisione, che per costituirsi si giova di gruppi di elaborazione sistematica dell’esperienza professionale, di osservazione dei meccanismi di invidia al fine di rovesciarli in quelli di emulazione, di esperienze volte a stimolare la curiosità verso le innovazioni, e così via. La sostanza è presto definita: «Il concetto di supervisione formativa consiste in un lavoro di gruppo condotto da un esperto. L’esperto in questione deve possedere competenze pedagogiche, didattiche e, soprattutto, psicologiche […] deve conoscere le motivazioni consce e inconsce della professione docente» (p. 52). E’ un lavoro complesso, di cui ci interessa in questa sede unicamente specificare la natura e gli obiettivi. Naturalmente Picone non esclude, ed anzi ritiene parte integrante dei presupposti per una ricostituzione continua della mission educativa, la componente degli incentivi economici o carrieristici. L’altro momento teorico rilevante di questo libro è quello della famosa formazione degli insegnanti. Certamente non si può negare che in questi anni qualcosa si è mosso, a partire dall’istituzione del biennio post-laurea di Scuole di Specializzazione per l’insegnamento (abilitanti, e sostitutive del vecchio concorso), di cui chi scrive ha avuto esperienza diretta. Ma anche in questo caso occorre fare opera di chiarificazione. Alcuni caratteri di queste strutture non possono non lasciare perplessi. Innanzitutto il numero chiuso (anzi, chiusissimo, vista l’elevata selettività), giustificato con l’insufficienza di cattedre, che pone due ordini di questioni: in primo luogo, il problema pratico è cosa accade di chi non supera la selezione; dovrà rimanere un anno a spasso, a cercare impieghi temporanei, nell’attesa del test successivo e nell’assoluto dubbio sul proprio futuro lavorativo? E’ vero che con il vecchio concorso l’attesa poteva essere anche maggiore, ma non è detto che per correggere un difetto se ne debba produrre un secondo. Inoltre, come si selezionano i futuri docenti; la risposta è ahinoi un po’ triste, attraverso un test d’ingresso a risposta multipla (derivazione docimologica della motorizzazione civile!), superato il quale, grazie ad una buona dose di fortuna, si accede a colloqui orali basati su una preparazione “generale”, fondata sui manuali ed utile solo a “scremare”, ma certamente non a valutare. D’altra parte, questi corsi di formazione sono attualmente pensati unicamente per quei laureati che possono permettersi per due anni una frequenza obbligatoria, cioè non obbligati dalla vita ad un lavoro che gli consenta un’esistenza autonoma, in quanto non sono sempre adeguatamente coperti da diritto allo studio. In altre parole, viene prodotta in piccolo una sorta di selezione per estrazione sociale, che non si sa quanto possa far bene alla scuola italiana. Si può salvare tuttavia l’intenzione di fornire agli insegnanti una maggiore formazione disciplinare e pedagogica, anche se sarebbe bene coinvolgere maggiormente in quest’esperienza gli insegnanti di ruolo nella scuola, ai quali è attualmente riservata una partecipazione a dir poco marginale. Pasquale Picone aggiunge però un tassello a tale esigenza, spingendosi fino a richiamare, anche in ambito scolastico, il concetto di formazione permanente, che oltre alla formazione disciplinare, prevede un addestramento all’osservazione e alla «gestione operativa del transfert e del controtransfert, che si attivano nel setting scolastico; delle fantasie inconsce; delle proiezioni e delle identificazioni proiettive; delle fantasie di potere e degli stili di leadership nella conduzione delle classi e dei gruppi, ecc.» (p. 187). Indipendentemente dello spazio che si voglia attribuire alla teoria delle organizzazioni nell’attività scolastica italiana, non vi è dubbio che un intervento è necessario, e in parte può e deve cominciare dalla valorizzazione di quei talenti che nella scuola lavorano e ad essa si applicano con dedizione. Si dice che Guido Calogero avesse maggiore considerazione per gli insegnanti della scuola (e in particolar modo per i maestri) di quanta non ne manifestasse per i docenti universitari, in virtù dell’importante funzione sociale da essi ricoperta. Occorre ricordare infatti, che al di là del principio della soddisfazione dell’utenza, la vera destinataria di pregi e difetti della scuola è l’intera società, e per questa ragione si può auspicare, per un miglioramento dell’istituzione e degli insegnanti, un maggiore contatto con il mondo dell’università e della ricerca. D’altro canto, ciò potrebbe contribuire notevolmente ad una ri-motivazione ed alla continua formazione dei docenti. La scuola non deve fare ricerca, come l’università non alfabetizza, ma è possibile che una maggiore collaborazione tra i membri più motivati di entrambe le agenzie educative, possa giovare nel complesso tanto all’una, quanto all’altra. |
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