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Il "caso" di Pontiggia di Antonio Stanca Nel 1978 con "Il giocatore invisibile" vinse il premio Selezione Campiello, nel 1989 con "La grande sera" lo Strega, quest’anno con "Nati due volte" (ed. Mondadori) il Campiello: si tratta del saggista e scrittore Giuseppe Pontiggia, nato ad Erba (Como) nel 1934 e vivente a Milano dove lavora quale consulente editoriale. Oltre ai suddetti egli ha scritto altri romanzi ed avuto altri riconoscimenti e le sue opere sono tradotte in molti Paesi. Pertanto il recente successo conferma la sua attività di narratore costantemente impegnato nel concepire e realizzare particolari contenuti e forme espressive. Prova di tale inclinazione alla ricerca va considerato il passaggio, avvenuto intorno agli anni ’80, da opere di carattere sperimentale ad altre rivolte alla rappresentazione e valutazione di condizioni di vita comune, di realtà quotidiane, di diffusi problemi individuali e sociali . Il romanzo "Nati due volte" testimonia che Pontiggia è rimasto ancora su questa linea e che la sua tendenza al vero è divenuta totale adesione agli ambienti di vita. Dell’opera si potrebbe dire come del diario di un caso che ormai rientra nella nostra realtà, quello di una famiglia con un figlio nato disabile e dei problemi derivati dalla situazione a lui ed ai congiunti. I continui, anche se brevi, dialoghi, le osservazioni e riflessioni che sempre li seguono fanno del libro un documento di vita vissuta, il riporto di un dramma sofferto ad ogni istante, animano la vicenda e la rendono quanto mai vera. E’questa la particolarità dell’ultimo Pontiggia, la sua capacità, cioè, di mostrare concretamente, tangibilmente un problema nel quale sono coinvolte oggi molte famiglie e che si scontra con l’impreparazione non solo dei non specialisti nel settore, genitori, insegnanti, amici, compagni del disabile, ma anche degli specialisti, medici, fisiologi, terapisti, neurologi. Procedendo nella narrazione e, quindi, nelle diverse fasi, situazioni, esperienze, relazioni che il bambino Paolo ed i genitori vivono dalla sua nascita ai vari ambulatori medici alla palestra alla scuola si scopre, infatti, che gli esperti, che nella circostanza dovrebbero operare convinti dell’efficacia dei loro interventi, sperano, invece, in miglioramenti collegati con l’evoluzione dell’organismo, col tempo. E questo in un’epoca come la contemporanea segnata da straordinarie conquiste scientifiche ed alta tecnologia. Il romanzo, perciò, vorrebbe essere anche un atto d’accusa indirizzato all’ambiente umano e sociale, alle istituzioni, a tutto ciò che di materiale e morale ancora manca o non funziona quando si tratta di riconoscere, accettare, aiutare quanto è diverso dalla norma. Non solo di cure avrebbe bisogno Paolo crescendo ma anche e soprattutto di comprensione, affetto, solidarietà e poiché gli mancano si sente escluso da una vita impostata su ritmi completamente diversi dai suoi. Nascere un’altra volta dopo la prima, come dice lo scrittore, significa nascere al mondo, agli altri per chi da questi è diverso nel corpo e nello spirito, vuol dire essere accettati, corrisposti in particolari bisogni da un ambiente che li ignora. Se si pensa che neanche i genitori di Paolo, pur afflitti dalla disgrazia, riescono a modificare il loro rapporto, a rinunciare alle loro interminabili beghe e, da parte del padre, ad una relazione extraconiugale, si deduce che il problema rimane per chi ne è vittima e lo condanna a chiedere ciò che non otterrà mai da nessuno. Si perviene a questa tragica, allarmante constatazione che il padre del bambino, figura centrale nell’opera ed evidente proiezione dell’autore, mostra di combattere e, tuttavia, di accettare segretamente. Da parte sua ci sono fiducia, volontà, speranza ma internamente egli è percorso da un senso di abbandono, di rassegnazione quasi sentisse che la vita, i suoi aspetti e problemi sono un destino ineluttabile, irrevocabile. Comportamenti, pensieri, propositi diversi, opposti, suscita, quindi, il caso di Paolo in chi gli sta vicino visto che lo muove alla protesta ma anche all’accettazione, all’azione ed alla rassegnazione, alla speranza ed alla rinuncia. Questi contrastanti umori del padre si confrontano con quelli propri del figlio ed entrambi con le reazioni che persone ed ambienti esterni hanno di fronte al loro caso: sono tante le realtà che il romanzo di Pontiggia fa emergere e delle quali vuole essere il riflesso immediato. Esse, le loro cause, i loro rapporti attraversano continuamente l’opera e producono quella suggestiva atmosfera di sospensione tra vari elementi, quell’indeterminazione che la distingue, le evita il rischio di apparire una semplice cronaca familiare e la rende capace, più di altre dell’autore, di tradurre, interpretate la vita nel suo significato di complesso, articolato movimento tra ragioni diverse ed a volte inspiegabili. |
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