Progresso e violenza
(Oggi nel mondo)
di
Antonio Stanca
Quando,
anni fa, si parlava di futuro si pensava ad un mondo avvenire, a quello
ora contemporaneo come ad un ambiente che sarebbe stato distinto solo da
civiltà, cioè da evoluzione, progresso, scambio, comunicazione,
collaborazione, democrazia. Si assiste, invece, oggi a manifestazioni
così gravi che rimangono lontane da tali programmi o previsioni. In
molte parti del mondo contemporaneo si verificano episodi di violenza
che neanche nella storia più antica né presso i popoli più feroci
trovano riscontro. C’è guerra, terrorismo, si compiono stragi, si
decapita. Sono queste le notizie che più ricorrono e che segnalano come
il progresso previsto si sia verificato solo in alcune zone del mondo
d’oggi e come in esso ci siano ancora molte e vaste aree conosciute per
il loro nome e la loro collocazione e non per gli usi e costumi, le
fedi, l’ambiente. Questo è tanto arretrato da potersi considerare
barbaro e da far pensare come sia possibile che coesistano due realtà
tanto diverse e lontane. La storia ci informa che il loro rapporto è
stato fino a tempi prossimi quello tra sfruttatori e sfruttati,
colonizzatori e colonizzati, padroni e servi. Sorprende, pertanto, che
tra tante previsioni sia mancata quella relativa ad una combinazione tra
le due parti, ad un riconoscimento dei diritti, delle potenzialità di
quella per secoli considerata e trattata come inferiore. Non si è mai
pensato o non si è pensato molto ad instaurare con gli “altri” della
terra un rapporto che fosse diverso dal tradizionale, che li recuperasse
e li rendesse partecipi di un contesto esteso fino a loro. Dei luoghi,
dei popoli lasciati per tanto tempo a se stessi ed usati per le loro
risorse umane e naturali non potevano non giungere a rivendicare i
propri diritti. Per farlo si stanno mostrando nella loro autenticità,
cioè ancora barbari, incivili mentre diffusa è la condizione di
progresso, violenti mentre ovunque si parla di distensione, di pace.
Minacciano di usare armi che incutono paura anche a chi le ha fornite
credendo, forse, che servissero ad emanciparli. Proclamano le loro
necessità e, tuttavia, rimangono lontani e diversi e in un mondo che
vorrebbe eliminare le distanze, annullare le differenze, sconosciuti in
tempi di globalizzazione.
Di chi le
responsabilità di uno stato di cose così confuso e contrastante?
Di chi è ancora barbaro
o di chi tale lo ha lasciato fino ad oggi? E’ difficile risolvere il
problema anche perché si deve tener conto che presso i “primitivi” non
c’è stata, per molto tempo, una precisa volontà di progredire.
Intanto tra soluzioni
mancate o non cercate la guerra si rivela l’unico modo per esprimersi ed
una guerra terribile, crudele perché da parte degli “altri” fatta
d’imboscate, attentati, azioni clandestine, ricatti, rapimenti, torture,
stragi estese alle popolazioni civili senza esclusione di vecchi o
bambini. Nessuna autorità, nessun appello, nemmeno quello religioso,
riesce a fermare la violenza di chi s’è visto assalito, invaso nei
propri territori. Ed una volta in guerra diventa difficile giungere alla
fine perché non si tratta di un conflitto frontale e contenuto nel tempo
e nello spazio ma, s’è detto, di brevi e improvvisi episodi e, perciò,
incalcolabili, imprevedibili riguardo a luoghi e tempi.
Come il precedente
problema del mancato rapporto tra le due sfere del mondo anche questo
del tipo di guerra che ne consegue è rimasto finora senza soluzione ed è
divenuto, anch’esso, un aspetto proprio di quella contemporaneità che
altro non sarebbe dovuto essere se non civiltà. |