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Péguy in Italia (*)
(Ricordo di Angelo Prontera)

di Antonio Stanca

Del compianto Angelo Prontera, docente di Storia della filosofia presso l’Università degli Studi di Lecce, molte sono state, pur nella sua breve esistenza,  le iniziative, le attività svolte, personalmente o in gruppo, e finalizzate ad evidenziare l’importanza della figura e dell’opera dello scrittore, poeta, drammaturgo, filosofo francese Charles Péguy(1873-1914). Tra i lavori dello studioso fondamentale è risultato il saggio “La filosofia come metodo — libertà e pluralità in Péguy” (ed. Milella, Lecce). La pubblicazione si è distinta nel contesto degli studi peguyani avvenuti in Italia dal momento che non si era ancora registrata  un’opera così approfondita ed organica. In essa  Prontera mostra di volersi liberare dai condizionamenti di carattere politico, sociale, culturale, dei quali hanno sofferto tante precedenti valutazioni del pensiero peguya­no, e di procedere ad una lettura di Péguy quanto mai obiettiva. Inte­resse primario del saggista è delineare il carattere della filosofia peguyana e per questo  si sofferma sulle opere filosofiche e politiche del francese, dalle quali trae ampia documentazione. Già nella parte iniziale del li­bro, quando espone e confronta alcune delle interpretazioni ufficiali del pensiero pe­guyano operate da osservatori stranieri, Prontera lascia intravedere  gli argomenti della sua ricerca e gli aspetti della sua interpretazio­ne.

Egli è convinto che ancora non è stato colto, nella totalità e au­tenticità, il senso profondo della filosofia peguyana e considera limitate le inter­pretazioni prese in esame soprattutto perché hanno negato al pensiero di Péguy un’autonomia propria riducendolo ad un’espressione secon­daria della cultura del tempo. Anche per Prontera Péguy è figlio del suo tempo, del­la storia e  cultura di esso, ma il rapporto con l’ambiente riguarderebbe solo la fase della prima formazione dell’autore. Per il resto Péguy si sarebbe stacca­to, nella vita e nell’opera, dalle allora diffuse tendenze della cultura e  costume fran­cesi  ed anche se tracce di esse sono rinvenibili nelle sue opere egli ha maturato una personalità e figura comple­tamente libere da ogni influenza.  Prontera vuole dimostrare che la filosofia di Péguy non è da relegare tra i prodotti in­feriori di una più ampia e superiore atmosfera culturale e sociale ma da considera­re attentamente e  scoprire nelle sue note distintive. A Péguy ha molto nociuto, presso la critica, non aver elaborato un sistema d’idee ben definito, co­me generalmente si è abituati a pensare a proposito di un filosofo. Proprio qui, tuttavia, sta, per Prontera, la sua singolarità, che per essere intesa richiede metri di giudizio diversi dai soliti. E’ necessario stabilire con lui, con i suoi scritti, un rapporto continuo e  ripetuto, quasi affettivo, proprio come egli consiglia quando dice della lettura: in tal modo ci si dispone a capire il portato intimo e segreto del suo pensiero, si spiega come questo non trae  motivo dall’ambiente poiché gli ele­menti della cultura di Péguy risultano, in esso, investiti da una spiritualità, sentimentalità, moralità e passionalità proprie del carattere dell’autore e trasformati  fin quasi a scomparire. Nell’uomo Péguy, nella  sensibilità di una persona umile e partecipe dei pro­blemi degli altri, nella  modestia e disponibilità a riconoscere e rispettare quan­to avviene fuori di sè, vanno cercate la spiegazione del suo vario operare e l’origine e sviluppo del suo pensiero filosofico. In nome di tali pre­messe Prontera vede spiegata l’opposizione di Péguy ad ogni sistema d’idee, a lui contemporaneo o precedente,  volto a codificare la realtà in  regole fisse, con­cepite astrattamente e lontane dall’esperienza concreta. Per una sentimentalità come la sua, sorretta e dilatata da un non comune spirito di socialità, libertà e democrazia, doveva quasi necessariamente succedere di concepire una filoso­fia liberata da ogni intellettualismo ed aperta all’esperienza, alla realtà della vita.

“Filosofia dell’esistenza”, “filosofia filosofante”, “filosofia dell’alterità”, sono i ter­mini con i quali Prontera cerca di definire, pur ritenendoli insufficienti, il vero signifi­cato del pensiero peguyano. Questo non può essere espresso, secon­do lo studioso, con una delle solite definizioni usate in filosofia. In tal modo non si  penetra nell’interiorità di Péguy, nelle pieghe più riposte del suo sentito e vissuto umanesimo,  non si avverte  l’autore come unico e mul­tiplo, filosofo e poeta, politico e drammaturgo, pubblicista e contestatore, creden­te ed eretico, semplice e complesso ma obbediente soltanto a sè, alla sua morale fatta di umiltà, onestà, giustizia, comprensione, amore verso la vi­ta ed i suoi infiniti aspetti. Per questo motivo Péguy si è sentito mosso a rifiutare ogni filosofia costituita per una da costituire, da farsi at­traverso un continuo, cercato rapporto con le varie, infinite situazioni della vita. In tale procedimento non serviva una ragione astratta, inflessibile come quella che generalmente reg­ge i sistemi filosofici, ma “duttile”, capace di adattarsi alla molteplicità del­le vicende e all’idea di volerle “conoscere” più che “ordinare e controllare”. Per Prontera quella peguyana è una filosofia che, come l’animo del suo autore, non si appaga della sicurezza di una qualche conquista ma vuole soprattutto sapere anche se questo la rende costantemente inquieta, è una ragione che non si placa in delle certezze acquisite ma vuole dire  della vita perché vuole  assistere a ciò che questa le porge nella sterminata varietà dei suoi elementi e avvenimenti. L’avvenimento per Péguy è sovrano nella sua infinita possibilità e libertà di verificarsi e al filosofo non spetta che assistervi onde ricondurlo alla sua qualità specifica di creatu­ra tra tante altre.

Nella sua filosofia Péguy ha voluto proporre un modo di guardare la realtà, di disporsi verso di essa, lontano dall’intento di ridurla a regola e consapevole di dover pensare tante volte, di dover trovare tante ragioni quanti sono i casi che si presentano. E’ l’altro, osserva Prontera, il diverso da sé, la maniera di percepirlo che interessa Péguy. Il suo è un metodo filosofico, un tipo di procedimento che non finisce mai di costituirsi. Ogni fenome­no, vecchio e nuovo, è esistito ed esiste per sè e il filosofo deve individuarlo e rispet­tarlo nei suoi motivi.  E’ questo l’ordine nuovo perseguito da Péguy: non una contrazione della vastità e diversità della vita in schemi pura­mente razionali e ad essa esterni ma una dilatazione, una discesa della ragione ver­so tanta immensità. Tutto ha possibilità e motivo d’essere e la filosofia non deve di­sturbare quest’insieme ma riconoscerlo nella libertà e pluralità dei suoi elementi creati e creantisi, passati e presenti, uguali e diversi, uniti e opposti. Si tratta di sop­primere ogni staticità di pensiero per una mobilità sempre in atto, di rinun­ciare ad ogni speranza di certezza raggiunta o raggiungibile per un’incertezza costante, di abbandonare ogni regola per vivere nell’irregolarità di una vita sem­pre nuova e sorprendente, di unire, in maniera indissolubile, la conoscenza all’espe­rienza, il pensiero all’azione. Péguy filosofo vuole, secondo Prontera, edu­care ad entrare nella vita, a seguirla, ascoltarla, conoscerla onde scagionarla da qualsiasi servitù  intellettuale, morale, economica e avviarla a destini nuovi, al­la formazione di un’umanità nuova e libera anche da chi l’ha aiutata a liberarsi. Il maestro dovrebbe scomparire nell’allievo, il passato nel presente, la norma nell’uso quotidiano poichè solo questo sarebbe il segno della raggiunta maturazione, della libertà e pluralità delle azioni, fun­zioni e destini.

Questi aspetti centrali del pensiero filosofico di Péguy lo caratterizzano come particolare e nuovo rispetto al suo tempo e a quello precedente. Il saggio del Prontera risulta, pertanto, degno di nota perchè colma una lacuna  esistente nella cul­tura filosofica italiana e propone un tipo d’indagine diversa e più completa rispetto a quelle finora attuate. Dall’esame  risulta come in Péguy sia avvenuto un tale processo d’identificazione tra la vita e il pensiero da non poter stabilire quale dei due elementi abbia maggiormente contribuito a determinare la sua filosofia. Risulta ancora come una naturale, personale disposizione alla verità, alla socialità sia potuta divenire un’ampia visione del mondo e della vita, come una maniera privata, intima di sentire ed operare abbia potuto assurgere al valore di messaggio generale, di filosofia, di metodo estendibile ad ogni umanità. Pron­tera ha inteso e dimostrato che nella semplicità di un’esperienza si è mossa la complessità di tante esperienze, nell’umiltà di un pensiero, di un’espressione la grandezza di una concezione. Grazie alla sua operazione Péguy viene riscattato dalla zona d’ombra, nella quale per tanto tempo è rimasto, gli sono attribuite, in modo obiettivo e indiscutibile, un’autonomia ed originalità di pensiero che lo sollevano dallo stato di dipendenza e minorità ormai assegnatogli anche dalla critica più accreditata. La filosofia di Péguy acqui­sta il diritto di una voce propria, si trasforma in una delle presenze valide del­la cultura europea dei propri e degli anni seguenti.

(*) da “Note”, Bollettino del Centro “Charles Péguy”, Università degli Studi-Lecce


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