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LETTERATURA, FILOSOFIA E VITA NELLA «RECHERCHE» (*) di ANTONIO STANCA La comparsa, nella storia delle attività culturali e artistiche, di un'opera sensazionale per temi e modi provoca sempre un'atmosfera di suggestione e fascino intorno ad essa e al suo autore. A volte, come nel caso di Marcel Proust (Parigi 1871-1922) autore del romanzo A la recherche du temps perdu (1) ritenuto il più significativo del primo Novecento europeo, quel fascino è stato tale da far pensare ad un fenomeno magico avvenuto senza che ci fossero stati i presupposti e senza altra traccia lasciare se non il segno e il significato profondo dell’apparizione. E’ provato, invece, che in letteratura, in arte, nessun avvenimento può verificarsi senza che altri l'abbiano preceduto e ne conseguano. E quando ci si imbatte in un'opera complessa quale la Recherche si dovrebbe considerare che, pur rappresentando essa una sorpresa, solo un ambiente culturale molto fertile la poteva rendere possibile e che riconoscibili fino ad oggi sono i segni della sua influenza nella produzione letteraria e soprattutto nella critica relativa al romanzo. Ogni opera d'arte risente delle istanze ed umori del suo periodo o epoca storica anche se li trascende nell’espressione letteraria, figurativa, scenica o altra. Il processo è più evidente in opere che, come la Recherche, possono essere considerate conclusive di una temperie culturale, una tappa fondamentale del sapere e sentire di un momento della storia umana. In Europa e specie in Francia l'età di questo romanzo, fine del diciannovesimmo e inizio del ventesimo secolo, fu una delle piu' fervide e movimentate sul piano del pensiero al punto da far credere che un nuovo mondo stesse sostituendo il vecchio. Per i pensatori di fine ‘800 quali Bergson, Freud, Jung, per vecchio mondo era da intendere la precedente cultura positivista basata sull’obiettività del reale e sulla fiducia nella ragione, per nuovo la loro cultura che, respingendo tale obiettività e fiducia, cercava nella soggettività, nell'interiorità, anche irrazionale ed inconscia, la spiegazione di ogni problema. Si stava verificando un diffuso orientamento della cultura verso i valori del sentimento e dello spirito considerati la migliore garanzia per scoprire la verità visto che per questa si doveva considerare soprattutto l’interiore. Alla razionalità succedeva l'irrazionalità, all’obiettività la soggettività e il conseguente "relativismo". Tuttavia i pensatori di fine secolo non giunsero a trarre le conclusioni ultime delle loro intuizioni e saranno gli autori della generazione seguente, dei primi anni del nuovo secolo, in particolare i letterati a condurre a termine, nelle loro opere, quel processo di soggettivizzazione e relativismo. "Con i letterati le cose stavano in modo del tutto diverso. In letteratura le tendenze relativistiche che i pensatori sociali tentavano di tenere a freno avevano libero corso. Nel romanzo e nel teatro del primo Novecento il relativismo era diventato un clichè. Il riconoscimento dell'incoerenza nella morale e nella filosofia fu presto accettato come norma della vita moderna. In questo senso i romanzieri e i drammaturghi portavano a compimento quel che i teorici della società avevano o taciuto o combattuto…Tutta la letteratura del primo Novecento è pervasa dal senso della non conformità delle cose alle loro apparenze, della possibilità di interpretazioni contraddittorie della stessa realtà, della esistenza, infine, di una misteriosa verità che non può essere spiegata, ma soltanto intuita in momenti di eccezionale consapevolezza [...] Infine le tecniche del "vedere attraverso", del "sondare in profondità" di cui ci siamo occupati nell'analizzare l'opera di Bergson, di Freud e di Jung trovano nel modo più naturale il loro riflesso in letteratura. Ed in tal modo il concetto di un inconscio, sede di memorie indistruttibili ricorre più volte nel romanzo del primo Novecento. Costantemente ritorna una sorta di ossessione della durata, del tempo reale. Il senso del tempo quale è realmente vissuto, il senso dell'opera dell'inconscio nell'accorciarlo o nell'allungarlo, delle sue tortuosità e dei suoi inganni, dà un sapore particolare a Le grand Meaulnes di Alain Fournier, a Der.Zauberberg di Mann, e, in modo ancor più caratteristico, alla Recherche du temps perdu di Proust. Per questo, più che per ogni altro suo carattere, l'ultima di queste opere è diventata, per consenso comune, il romanzo del primo Novecento." (2) * * * Nella Recherche si riflettevano e concludevano le tendenze del pensiero filosofico europeo che nella Francia dell'ultimo Ottocento avevano trovato in Henry Bergson il loro maggiore rappresentante. Ma oltre che della filosofia spiritualista del suo tempo e di alcuni principi della poetica del decadentismo che da essa discendevano, Proust, nella Recherche, mostra di risentire anche di alcuni aspetti della tradizione classica francese espressi da autori quali Hugo, Saint-Simon, Balzac. Si tratta della tendenza a ricercare con scrupolo e razionalmente le cause degli eventi, "le verità dell’intelligenza", che unite a quelle "delle sensazioni" dovrebbero costituire, per Proust, il contenuto dell’opera d’arte. Antico e nuovo concorrono a fare della Recherche l'opera rappresentativa di un'epoca. Tuttavia la cultura di Proust, classica o moderna, costituiva soltanto il materiale a disposizione per la sua opera. Altro occorreva per questa: animare quel materiale, fonderlo con le proprie aspirazioni e tendenze in modo che non si distinguesse tra l'uno e le altre. A far questo saranno la particolare sensibilità, l'innata disposizione, le esperienze, la vita di Proust. Sarà ancora una volta l'uomo a decidere della propria opera, a far sì che la sua voce suoni diversa pur in una condizione comune. L'opera di Proust, a lungo perseguita, sarà il frutto della sua vita oltre che della sua cultura, il compimento di un processo nel quale riuscirebbe difficile distinguere l'uomo dall'artista tanto lontane sono le sue origini e tanto vicine le due figure. * * * Di agiata famiglia borghese Proust aveva iniziato a Illiers, dove trascorse l’infanzia, le prime letture e d’allora si era insinuata in lui l’aspirazione a divenire uno scrittore o, come egli dice, "un vero grande scrittore". Questa, negli anni seguenti, era andata rafforzandosi per aver trovato facile nutrimento in un carattere che si veniva definendo come propenso più all'idea che all'azione. Ne è prova la preferenza che, nel periodo degli studi al Liceo Condorcet e poi alla Sorbona, Proust accordò ai maestri ed alle discipline che conducevano per tale direzione. Al Liceo si appassionò agli insegnamenti di Darlu, professore di filosofia che si soffermava in particolare sul concetto della materia e del mondo sensibile come inesistenti e sull'altro dell'opera d'arte che per valere deve perseguire esiti non solo poetici e morali ma anche e soprattutto trascendenti e metafisici. Alla Sorbona fu affascinato dal pensiero del professore Bergson, dal quale venne sensibilizzato a principi di ordine metafisico come quelli della prevalenza dei valori dello spirito rispetto alle verità della scienza, del tempo che nella coscienza è durata e non successione e dei due tipi di conoscenza, l'esteriore fornita dalla precisa successione temporale degli eventi e l'interiore che deriva dall’intuizione e che sola può rivelarci il significato autentico della realtà non essendoci, per questa forma di conoscenza, un vecchio ed un nuovo ma tra questi solo continuità o durata. Proust saprà da Bergson che la vera conoscenza può avvenire mediante l'istinto o l'intuizione, fuori dai canoni dell'intelligenza e che questo si verifica in arte. Simili apprendimenti furono importanti nel processo di maturazione che avrebbe prodotto lo scrittore della Recherche. Altri momenti della crescita di Proust sarebbero da vedere nella sua giovanile produzione narrativa, saggistica e a volte poetica che, se a causa dei vari interessi nutriti dall'autore non segnala la presenza di un programma ben definito, rende, tuttavia, accorti di come egli già sentisse e perseguisse l'idea di uno stile raffínato, prezioso ed incline ad indagare nell'interiorità, ad accogliere metafore tratte dal mondo vegetale e animale, a risentire di suggestioni musicali e pittoriche. Di quegli stessi anni fu, infatti, l’amore di Proust per la musica e la pittura. Tale varietà d’interessi si riflette nel libretto Les plaisirs et les jours (3) del 1896, formato da scritti di diverso argomento in prosa e in verso. Vi sono ritratti di persone ed ambienti solitamente scelti tra quelli della società nobiliare frequentata dall'autore; accanto alle descrizioni della vita, dei costumi e del carattere di principi e principesse emergono altre di passeggiate, villeggia- ture, pranzi e nel complesso l'opera, pur preannunciando gusti e tendenze che saranno tipici della scrittura proustiana, rimane nei limiti dell'esercitazione. Un grado diverso e superiore di maturità esprimono le pagine del primo romanzo di Proust, Jean Santeuil, (4) cominciato a scrivere nel 1895 e lasciato incompiuto intorno agli inizi del nuovo secolo. E’ stato definito "l'infanzia della Recherche" in quanto contiene temi e modi della seguente e maggiore opera. In verità per il Proust, che non aveva ancora concepito la Recherche, il Jean Santeuil sarebbe dovuto essere il romanzo da tempo perseguito. Alle varie intenzioni contenute ne Les plaisirs et les jours si è sostituita qui un'intenzione unica per il contenuto e lo stile: l'autore si propone di narrare la sua vita in terza persona e in una prosa che tende all'indagine psicologica. Egli dice della sua infanzia, dell’accesa sensibilità e dell'affetto per la madre; poi delle preoccupazioni dell'adolescenza dovute al carattere molto sensibile, delle amicizie e svaghi dell'età; in seguito della sua giovinezza, del Faubourg Saint-Germain ovvero del gran mondo parigino da lui frequentato, delle persone conosciutevi, degli anni dell’ "affaire Dreyfus" ed, infine, dell’età matura che gli ha recato la penosa constatazione della vacuità della vita attuale da cui solo il ricordo della passata giovinezza, continua- mente contrapposta al triste presente, riesce a sollevarlo. Pur costituendo un momento importante nella formazione dello scrittore, questo romanzo autobiografico manca ancora di una rappresentazione organica nel contenuto e distesa nella forma alla quale Proust sarebbe approdato una volta acquisita la coscienza di possedere la verità. Molto altro ancora dovrà egli percorrere del viaggio che lo avreb- be condotto alle intuizioni fondamentali della Recherche. Come ogni grande opera anche questa ha richiesto una lunga fase di preparazione durante la quale l'autore, come uno scienziato, è stato alle prese con gli strumenti che avrebbero dato spiegazione e concretezza alla sua invenzione. Per Proust gli strumenti saranno gli studi, le letture, la giovanile operosità letteraria, le esperienze mondane, tutte le vicende della sua vita culturale e sentimentale. Negli anni della giovinezza era stato attirato sia dalla letteratura sia dalla mondanità: la prima lo aveva indotto a cimentarsi nelle prove suddette, la seconda a partecipare della vita dei più importanti salotti di Parigi ove era venuto a contatto con principi, duchesse, cocotte e intellettuali. Dai primi lavori ed esercitazioni letterarie sarebbe derivato l'affinamento dei mezzi espressivi, dalla vita nei salotti quello della sensibilità soprattutto a causa delle tante delusioni subite per persone, luoghi, vicende che la sua fantasia aveva immaginato completamente diversi. "Solo la felicità è salutare per il corpo, ma è il dolore a sviluppare le energie dello spirito", dirà nell'ultima parte de Le temps retrouvé e più avanti: "Si può quasi dire che le opere, come nei pozzi artesiani salgono tanto più in alto quanto più profondamente la sofferenza ha scavato nel nostro cuore. (5) Per le sofferenze procurategli dalla malattia (asma), comparsa fin da bambino e durata tutta la vita aggravandosi col tempo (6), per l’ambiente famigliare particolarmente attento nei suoi riguardi soprattutto da parte della madre, per le influenze venutegli dalla sua cultura (prima dalla filosofia spiritualista di Darlu e Bergson poi dalla letteratura pure spiritualizzante di autori simbolisti e decadenti quali de Nerval e Baudelaire e romantici quali Chateaubriand, dalla lettura dei Cahiers de la Quinzaine (7), dove lo scrittore Charles Péguy invitava a ricercare l'interiorità (8), ed infine dalla musica e dalla pittura degli impressionisti) Proust aveva contratto un'indole incline alla riflessione, alla meditazione ed alla ricerca di valori interiori, ideali, trascendenti nonché l’aspirazione a divenire uno scrittore. Ma sempre frustrata era stata questa insieme alla speranza di soddisfare nella realtà degli altri i desideri che erano solo della sua immaginazione. La naturale tendenza alla meditazione lo portava a figurarsi ogni luogo, persona o cosa secondo i modi della sua fantasia che erano quelli del suo spirito. Ma poiché è raro che nella realtà esista o avvenga ciò che ha vita fuori di essa, Proust rimase sempre deluso nelle aspettative. Avvenne così anche quando conobbe da vicino l'ambiente del Faubourg Saint-Germain, sede dei Guermantes, i più elevati nobili parigini. Fin da bambino aveva desiderato essere un giorno accolto nei salotti di questi, aveva pensato che tra persone, luoghi e discorsi da lui immaginati completamente diversi e superiori a tutto ciò che comunemente si vede e si sente, avrebbe potuto acquietare il suo bisogno di conciliare l'ideale col reale. Triste, quindi, era stato doversi ancora una volta accorgere che niente c'era di quanto sperato: quelle persone avevano gli stessi difetti (ipocrisia, cattiveria), gli stessi interessi e problemi delle altre e più di queste erano corrotte e guastate nei pensieri e sentimenti dagli intrighi dell'alta società e dalle perversioni sessuali, che di tali posti sono tipiche. Nei salotti oltre a discorsi sulla letteratura, la musica, la pittura, la politica, il giovane assiste a pettegolezzi, menzogne, ambiguità, esibizionismi, estrosità, snobismi, alla manifestazione dei vizi più che delle virtù degli uomini. Pure al mo- mento dell’"affaire Dreyfus" quelli del Faubourg agiranno con doppiezza quando dichiareranno di prendere posizione contro il capitano ebreo per ubbidire agli obblighi di casta e non ai sentimenti che li avrebbero indotti a diversa scelta (Le côté de Guermantes, Sodome et Gomorrhe). Dopo un altro grave dolore sofferto per l'abbandono e la morte di Albertine, che aveva in tutti i modi (La prisonnière) e vanamente tentato di tenere legata a sé (La fugitive), Proust nel 1916 è di nuovo a Parigi di ritorno da una casa di cura. Sono gli anni della guerra ed egli è sorpreso che nella capitale la vita dei salotti conosciuti e frequentati sia continuata e in alcuni casi abbia accentuato i vizi che le erano propri senza avvedersi della gravità del momento e traendo da questo spunti per il lancio di nuove mode. Lontani o morti i loro uomini molte parigine non avevano tralasciato le cure mondane. Di lì a poco Proust entrerà in una nuova casa di cura e tornerà a Parigi dopo una lunga assenza, dopo la guerra (Le temps retrouvé). * * * Rientrato nella capitale è di nuovo assalito dal suo eterno senso di rammarico per le mancate doti letterarie. Se per gli altri aveva costruito delle figure ideali, che si erano mostrate inesistenti, per sé aveva pensato da tempo alla figura dell'autore ideale dell'opera ideale (9) ma anche qui la vita aveva mancato di rispondere a quanto desiderato. Inseguito da questi pensieri, come dice alla fine della sua opera (10), Proust partecipa ad una matinée dai principi di Guermantes dopo che le ultime prolungate cure lo avevano costretto a rimanere lontano per parecchio tempo da tali ambienti. E’ nelle pagine della Recherche dedicate al racconto di questa circostanza che lo scrittore narra di essere stato illuminato circa la sua opera dal caso e quando ormai si era convinto di dovervi rinunciare. Già qualche volta in passato gli era successo di provare certe sensazioni che gli avevano dato felicità e insieme preoccupazione poiché difficili da spiegare ed ora, ripetendosi, avrebbero attirato maggiormente la sua attenzione e le oscurità sarebbero state rimosse. Una volta, da giovane, rientrato a casa d'inverno, la madre gli aveva preparato perché lo scaldasse una tazza di thé e dei pasticcini del tipo "madeleine". Appena assaporati questi imbevuti di thé era stato assalito da un senso di felicità che all’inizio non aveva saputo spiegarsi. Si era sforzato di isolarsi da quanto lo circondava, persone e cose, di concentrare i suoi pensieri sull'avvenimento ed aveva scoperto che quella felicità proveniva dall'avergli, il sapore della "madeleine", procurato una sensazione già provata da fanciullo a Illiers con gli stessi pasticcini nella casa della zia ove villeggiava. Oltre a quella lontana sensazione gli erano tornati chiari e riconoscibili i luoghi, le persone, le case, le strade e tutto ciò che era appartenuto alla sua vita trascorsa a Illiers pur se in un tempo ormai remoto. Proust aveva, quindi, scoperto che esistono due tipi di memoria, la volontaria o dell'intelletto e l'involontaria o dei sensi. La prima, opera della ragione, ci rende il passato secondo modi logici e schematici, la seconda, opera di una sensazione fortuita quale un sapore, odore, colore, suono o altro, suscita in noi un'azione priva di logica, istintiva e capace, una volta scoperta l'analogia tra la sensazione immediata ed un'altra provata in passato e dimenticata, di farci rivivere non solo questa ma anche ogni cosa di allora, di restituirci, in ogni suo aspetto, una parte della nostra vita trascorsa. Dopo molto tempo dall’episodio e quando ormai Proust aveva smesso di pensarci, improvvisamente quella situazione si era ripresentata e più d’una volta nella stessa giornata. Mentre si recava alla famosa matinée dai principi di Guermantes, sconsolato per essere venuto meno alle sue ambizioni letterarie, racconta che gli sia capitato, prima nel cortile del palazzo e poi mentre attendeva nella biblioteca, di provare, sempre involontariamente, delle sensazioni che come allora gli avevano fatto rivivere altre identiche e le circostanze ad esse collegate e avvenute in un lontano passato a Venezia, Balbec, in un viaggio in treno e altrove. L’evento aveva suscitato nuovo interesse nei suoi pensieri ed egli aveva scoperto che il tempo passato, in genere considerato perduto poiché ritenuto esterno a noi e impossibile da riprendere e sentire, è invece in noi e può essere ripreso e sentito dalla nostra sensibilità sollecitata fortuitamente da impulsi dello spirito o movimenti del corpo. "Basta che un rumore, un odore, già udito o respirato altra volta, lo siano di nuovo, a un tempo nel presente e nel passato, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l'essenza permanente e ordinariamente nascosta delle cose venga liberata, e perché il nostro vero 'io', che talvolta sembrava morto da un pezzo, ma che non lo era interamente, si desti, si animi, ricevendo il celeste nutrimento che gli viene offerto. Un attimo affrancato dall'ordine temporale ha ricreato in noi, per percepirlo, l'uomo affrancato dall'ordine temporale." (11) Così dice Proust intendendo spiegare che ad essere percepita in simili circostanze non è la cosa passata o presente ma la sua essenza che non appartiene al passato né al presente ma all'interiorità di chi la percepisce, la quale insieme ad essa si colloca in una zona fuori del tempo comunemente inteso. Lo spirito può riuscire, quindi, a scoprire il rapporto tra momenti del nostro presente ed altri identici del nostro passato e ad instaurare continuità dove si pensa ci sia frattura. Proust, riflettendo su quelle evocazioni, ha scoperto l'esistenza di una vita che avviene senza che ci si avveda e in un tempo diverso dall'abituale perché non limitato al presente e al passato ma esteso tra i due quale un ponte che permette la comunicazione. Una vita diversa, nuova, fatta di valori extratemporali e vissuta in un tempo incorruttibile che ha conservato il passato nella sua integrità quasi fosse presente e che è il tempo dello spirito. In questo è possibile rivivere il passato con l'animo di allora e scoprire quelle verità, quel "significato filosofico infinito"' che sarebbe stato il contenuto dell'opera sempre perseguita. E lo spirito che permette tali resurrezioni è pure garanzia della loro autenticità e di quella del mondo cui appartengono perché, di là da qualsiasi posteriore aspetto che i luoghi, le persone, i fatti hanno assunto, esso, rimasto immune dall'azione del tempo, li conserva inviolati. Nonostante siano avvenuti dei cambiamenti la sensibilità di Proust sa rivivere i momenti del passaggio e sviluppo degli esseri, tornare a quando questi l'hanno impressionata in un certo modo e quando anche per loro quel modo, che adesso cambiati non ricordano più, era verità. La verità è dietro l’apparenza e può essere simile a questa od opposta ma è l'unica a spiegarla, a giustificare la varia e contraddittoria realtà perché l'unica a mirare all'essenza tra tanta forma. Essa, come lo spirito che la contiene, non ha limiti spaziali o temporali, è infinita e vaga vigile, pur se nascosta, tra passato e presente in attesa d’essere chiamata a testimoniare. E’ l'idea, è il senso della vita che ininterrottamente e inavvertitamente sta accanto all'uomo ovunque egli si trovi o si sia trovato e che da sì lunga sorveglianza ha tratto un codice di leggi dalla validità eterna. I segreti del codice e delle leggi Proust è riuscito a carpire nei suoi trasalimenti durante i quali è stato come se avesse partecipato dell'eternità. Ma come evitare che messaggi giunti da cosi lontano e così preziosi per l’umanità scadano col tempo al pari di altri eventi? Come comunicarli onde farli tornare a vantaggio di tutti? Dove fissare la voce di chi è stato illuminato sulle verità degli esseri? Dove collocare sì sublime grado di spiritualità? L'opera d'arte, come il tempio che è segno e partecipazione tra gli uomini della terra della divinità ultraterrena, è il mezzo più adatto ad oggettivare e manifestare agli altri l'intensa soggettività di chi è stato ispirato ed evitarle il rischio di farla apparire soltanto una teoria. Artista è stato reso dalle proprie meditazioni quell'uomo che da giovane aveva scoperto occasionalmente che il tempo passato non era per lui perduto. Ora, adulto, aveva avuto altre conferme della capacità del suo spirito circa il recupero del passato e si era convinto che le verità sempre cercate per fare un’opera d'arte stavano dietro le apparenze degli uomini e delle cose della vita, erano le verità interiori che esprimono quanto rimane inattaccato dagli agenti esterni. A concepire questa poetica era giunto Proust guidato dalla sua cultura e soprattutto dalla sua sensibilità affinatasi al punto da consentirgli di sentire anche ciò che per gli altri era perduto come il tempo passato o sconosciuto come l'essenza delle cose. Per il suo animo il reale era divenuto figurazione di valori ideali, eterni, segno di verità che si trovavano a grande distanza e che da esso potevano differire. Unicamente allo spirito era concesso raggiungerle e partecipare della loro eternità. "Mi ero reso conto che soltanto la percezione grossolana e fallace colloca tutto nell'oggetto, mentre tutto è nello spirito" (12) dice lo scrittore a questo proposito. Ciò che fuori dell'azione dello spirito rimaneva limitato alla materia non poteva, per Proust, rispondere a verità poiché non era parte dell’eternità. La verità, come la vita, dura eternamente e sta in una dimensione diversa dalle altre generalmente note non essendo, come queste, contaminata dal tempo, dalle convenzioni, dalle apparenze né accessibile a tutti. Esiste lontano dalla compiutezza della materia nell'incompiutezza ed eternità dello spirito. Solo all'artista, diverso come essa dalla norma, sarà possibile conoscerne il segreto e solo all’arte esprimerlo. "La grandezza dell'arte vera consiste nel ritrovare, nel riafferrare, nel farci conoscere quella realtà da cui viviamo lontani, da cui ci scostiamo sempre più via via che acquista maggiore spessore e impermeabilità la conoscenza convenzionale che le sostituiamo: quella realtà che noi rischieremmo di morire senza aver conosciuta, e che è semplicemente la nostra vita. La vita vera, la vita finalmente scoperta e tratta alla luce, la sola vita quindi realmente vissuta, quella che in un certo senso, dimora in ogni momento in tutti gli uomini altrettanto che nell’artista. Ma essi non la vedono perché non cercano di chiarirla. E così il loro passato è ingombro di innumerevoli lastre fotografiche, che rimangono inutili perché l'intelligenza non le ha sviluppate […] Il lavoro dell'artista, volto a cercar di scorgere sotto una certa materia, sotto una certa esperienza, sotto certe parole, qualcos’altro, è esattamente inverso a quello che, in ogni istante, allorché viviamo stornati da noi stessi l'orgoglio, la passione, l'intelligenza, e anche l'abitudine, compiono in noi, ammassando sopra le nostre genuine impressioni, per nascondercele, le nomenclature, gli scopi pratici, cui diamo erroneamente il nome di 'vita'. Insomma, quest'arte così complessa è davvero la sola arte viva. Solo essa esprime agli altri e mostra a noi stessi la nostra propria vita, la vita che non si può ‘osservare’, le cui apparenze che osserviamo, debbono venir tradotte e spesso lette a rovescio e decifrate con grande fatica. Il lavoro compiuto dal nostro orgoglio, dalla nostra passione, dal nostro spirito imitativo, dalla nostra intelligenza astratta, dalle nostre abitudini, quel lavoro l'arte lo distruggerà, ci ricondurrà indietro, ci farà tornare agli abissi profondi dove quel che è esistito realmente, giace ignoto [...] Il mio compito era, dunque, quello di restituire ai menomi segni che mi circondavano (i Guermantes, Albertine, Gilberte, Saint-Loup, Balbec, ecc.) il loro significato, che l'abitudine aveva fatto loro perdere per me. E quando avremo attinto la realtà, per esprimerla, per conservarla, noi dovremo ripudiare, ciò che differisce da essa e che ci viene portato di continuo dalla velocità acquisita dall’abitudine." (13) Per Proust la vera realtà d'ogni cosa, la sua verità giace profonda, universale, eterna, incorruttibile nell'anima del mondo: l'artista può conoscerla poiché unico, tra gli uomini, a sentire il richiamo di quell'anima, ad accedere al suo grado eterno e partecipare dei suoi misteri; l'arte può contenerla e conservarla poiché, rispetto alle cose del mondo compreso l'artista limitato dalla sua vita corporea, è, come la verità, infinita, eterna; e lo stile eletto, alieno da ogni crudezza, può esprimerla poiché l'unico capace di aderire alla sua purezza fino a dissolvere in essa ogni residua materialità, a identificarsi ed a sembrare sorto insieme ad essa. "Avrei ripudiato soprattutto le parole scelte dalle labbra piuttosto che dalla mente [ ... ] quelle parole puramente fisiche che, in uno scrittore che si abbassi a trascriverle,sono accompagnate da un risolino,da una piccola smorfia."(14) Un'arte fatta di sensazioni profonde e illuminanti, di analogie rivelatrici dell'essenza delle cose, di ispirazioni improvvise, d’interiorità e trascendenza nel contenuto e nella forma persegue Proust ritenendola l'unica capace di esprimere le verità trascendenti da lui apprese quando il caso gli aveva fatto sentire e vivere una dimensione insolita per gli uomini. Non vi poteva essere, per lo scrittore, arte realistica specie quella degli autori detti naturalisti attivi nella Francia del tempo, i quali credevano di fare arte ritraendo la realtà, fotografandola. Essi erano convinti che passivo e non attivo, di spettatore e non di attore doveva essere il ruolo dell'artista e che l'opera doveva sembrare come essersi fatta da sé. Simili concezioni non avrebbero mai potuto produrre, secondo Proust, opere capaci di attingere la verità essendo questa non all'esterno ma all'interno delle cose, e di superare la particolarità propria del documento o dell'informazione per assurgere alla generalità e universalità dell'arte vera. "La letteratura che si accontenta di ‘descrivere le cose’, di darcene soltanto un miserevole estratto di linee e di superfici, è quella che pur chiamandosi realistica, è più lontana dalla realtà, quella che più ci immiserisce e intristisce, giacché taglia bruscamente ogni comunicazione del nostro ‘io’ presente col passato, di cui le cose conservano l'essenza e con l'avvenire dov'esse ci stimolano a goderlo di nuovo. Quest'essenza è ciò che l'arte degna del nome deve esprimere." (15) * * * Tuttavia Proust dovette riconoscere che l'opera d'arte, alla quale ormai si sentiva preparato, non si sarebbe potuta comporre, come inizialmente aveva pensato, solo di quei "momenti di infinito" nei quali il suo spirito, simile a quello di un medium, aveva evocato gli "spiriti del passato" per chiedere loro dell'anima delle cose. Rari e casuali erano tali momenti e non li si poteva pensare sufficienti per tutta un'opera. Servivano altre verità. Accanto alle verità profonde recate dalle sensazioni ci sarebbero state, nella sua scrittura, quelle recate dalla ragione, dall'intelligenza, meno profonde delle prime ma ugualmente utili. Queste provengono all'artista dall'osservazione della realtà della vita e a Proust sarebbero venute da quanto accaduto nella sua vita. Per istinto l’artista, pur prima di riconoscersi, si comporta ed usa la sua intelligenza in modo diverso dagli altri. A muoverlo in tal senso, pensa Proust, è la sofferenza cui la sua diversità lo espone in continuazione. "Sentivo tuttavia che le verità che l'intelligenza trae direttamente dal reale non sono poi da buttar via, perché potrebbero incapsulare in una materia meno pura, ma ancora permeata di spiritualità le impressioni che ci vengono recate, fuori del tempo, dall'essenza comune alle sensazioni del passato e del presente, ma che, più preziose, sono però troppo rare perché l'opera d'arte possa essere composta soltanto con esse. Passibili di essere usate a tale scopo, sentivo urgere in me una folla di verità attinenti alle passioni, ai caratteri, ai costumi. La loro percezione mi procurava gioia; tuttavia mi sembrava di ricordare che più di una di esse io l'avevo scoperta nella sofferenza, altre in ben mediocri piaceri." Ed in seguito: "L'immaginazione, la riflessione, possono sì essere di per sé macchine meravigliose ma possono anche restare inerti. E' la sofferenza a metterle in moto." (16) Dal dolore l'artista sarà mosso verso il riscatto che otterrà quando sarà riuscito a trasformare i fatti della sua vita e le sue sconfitte nei termini di un'opera resa dalle energie del suo spirito superiore ad ogni contingenza, proiettata verso quell’ideale che proprio la sofferenza aveva aiutato a perseguire. "Allora meno splendente certo di quella che mi aveva fatto intuire che l'opera d'arte è il solo mezzo per ritrovare il Tempo perduto, una nuova luce si fece in me. E io compresi che tutti questi materiali dell'opera letteraria erano soltanto la mia vita passata; compresi ch'essi eran venuti a me, nei frivoli piaceri, nell'ozio, negli affetti. nel dolore, immagazzinati da me senza che potessi prevederne la destinazione, la stessa sopravvivenza, più di quanto non lo possa il seme, quando mette in serbo tutti gli alimenti che nutriranno la pianta […] questa vita, i ricordi dei suoi dolori, delle sue gioie, costituivano una riserva simile a quell'albume situato nell’ovulo delle piante, da cui l'ovulo stesso trae il suo nutrimento per trasformarsi in seme, quando ancora nessun segno rende visibile che si stia sviluppando l'embrione d'una nuova pianta: quell'embrione che pur costituisce la sede di fenomeni chimici e respiratori segreti ma attivissimi. Così la mia vita era legata a ciò che l'avrebbe condotta a maturazione." (17) Tutto quello che era stato della sua vita sarebbe stato ora della sua opera! (18) * * * Rivelatoglisi che le verità della vita insieme a quelle dei sensi avrebbero composto l’ opera, un'ultima scoperta riservava per Proust quella "mattinata", che sarebbe giusto chiamare "la mattinata delle scoperte" e considerare la sua descrizione una finzione letteraria studiata dallo scrittore per rappresentare, in maniera figurata, gli ultimi conclusivi sviluppi della sua maturazione e le contemporanee scoperte della sua sensibilità. In quest'ultima parte dell'opera egli dice ancora che dopo aver atteso nella biblioteca del palazzo Guermantes, dove altre resurrezioni del passato erano venute a confermargli la possibilità di un suo recupero mediante l'opera d'arte, sia finalmente entrato nella sala che, insieme ai padroni di casa, accoglieva gli invitati. Qui altra sorpresa, altra delusione e altra scoperta per lui e l'opera ormai concepita! I convitati erano persone conosciute e alcune avevano fatto parte della sua vita, dei suoi affetti e segreti ma da molto non le vedeva per essersi sottoposto ad un lungo periodo di cura. Pertanto sorpreso si dichiara nel constatare quanti effetti il tempo trascorso avesse provocato, a sua insaputa, in quelle persone. Esso aveva segnato il suo passaggio sui corpi trasformandoli in modo tale che complicato riusciva trarre dall'intrico di rughe, capelli, barbe bianche e obesità le figure di una volta. Ed anche nei pensieri e discorsi si poteva notare l'azione del tempo. Era stato come se la belle époque avesse portato a Parigi, insieme al progresso (illuminazione elettrica, automobili, telefono), nuovi modi d'intendere la vita. Nuovi interessi e nuove classi sociali si definivano con l'avanzare dell'industrializzazione e l'importanza degli ambienti aristocratici risultava ridotta in simile contesto. In una situazione sociale volta a divenire sempre più ampia e comprensiva dei bisogni di tutti essi apparivano ingiustificabili nelle loro usanze e principi. Avviene, perciò, che Proust scopra come all’inizio del nuovo secolo, in seguito a tali cambiamenti, gli aristocratici conosciuti, per sopravvivere alla crisi, avevano messo da parte molte delle loro vecchie regole e si erano tanto adattati alla nuova condizione da considerare ormai pregiudizi quelli che un tempo erano stati criteri inderogabili della loro condotta. Erano avvenuti matrimoni tra principi e donne di modesta condizione borghese, erano state accolte e apprezzate, nei salotti della più alta aristocrazia parigina come quello dei principi di Guermantes, persone che per la loro umile condizione non vi sarebbero mai potute accedere. Molte altre cose del genere erano successe col passare degli anni e ad accentuare la sorpresa di Proust contribuivano la sua recente lontananza e la mancata valutazione della sua età. Si sentiva ancora molto giovane e in una condizione d'animo diversa se non opposta a quella degli altri. Diverso era il suo spirito: mentre quelli avevano vissuto la vita di tutti e di fronte al problema della società che cambiava non avevano esitato a modificare i vecchi costumi, che adesso non ricordavano più essendosi tanto assuefatti ai nuovi, Proust era vissuto fuori dalle pratiche e condizionamenti di quella società e intatto era rimasto in lui il ricordo della situazione iniziale. Gli altri, inseriti tra gli intrighi del mondo e ritenendo ormai definitiva la loro attuale condizione, non ricordavano e se ricordavano non soffrivano; Proust, invece, ricordava e soffriva perché era vissuto quasi sempre in sé, nella sua interiorità che, per essere alla continua ricerca di appagamento, non gli faceva mai considerare ultima una situazione. Per chi nella vita cerca di soddisfare le esigenze dello spirito niente è considerato finito per sempre, perduto e soltanto dolore prova davanti a ciò che può sembrare tale. Proust, vissuto fin dall’adolescenza nel perseguimento di un'opera eccezionale, si sentiva sempre nella condizione del giovane che attende di essere illuminato e del giovane aveva conservato le aspirazioni e i sentimenti. Drammatico, quindi, fu per lui dover desumere dal volto, dai pensieri, dai discorsi, dalla vita dei suoi coetanei quanto non aveva avvertito ed ancora non gli riusciva di avvertire: la consapevolezza del tempo passato e della sua età ormai adulta. "Un uomo che fin da bambino vagheggi la medesima idea, e al quale la sua stessa pigrizia, oltreché le precarie condizioni di salute, costringendolo a procrastinare di continuo la realizzazione, annullino ogni sera il giorno trascorso e perduto invano [ ... ] nell'accorgersi di non aver mai cessato di vivere nel tempo rimane più meravigliato e turbato di colui che poco vive chiuso in se stesso, si regola col calendario, né scopre tutto insieme il totale degli anni di cui ha giornalmente fatto l'addizione. Ma una ragione più grave spiegava la mia angoscia: scoprivo l'azione distruttrice del Tempo, proprio nel momento in cui volevo accingermi a rendere chiare, a 'intellettualizzare' in un'opera d'arte, delle verità extratemporali." (19) Quando aveva scoperto che la sua sensibilità ed intelligenza potevano procurargli quella dimensione sottratta al tempo che sola poteva sottendere alla composizione di una vera opera d'arte e che gli aveva reso indifferente anche l'idea della morte, doveva egli constatare come sottoposte al tempo, caduche fossero la vita intorno a lui e la sua. Ancora una volta e più gravemente la sua immaginazione era stata tradita dalla realtà: a chi credeva ormai in un tempo eterno la realtà rivelava che il tempo passa e le persone e le cose mutano per finire del tutto. Se finora la sua era stata vita dello spirito sempre rinnovata dalle scoperte di questo, ora era chiamato ad accorgersi della vita del corpo che contrariamente all'altra è soggetta all'azione del tempo. Doveva verificare che, nonostante tutto, anche per lui la vita era passata e le persone di quella "mattinata", avendo fatto parte di essa, gliela riproponevano nei suoi diversi e successivi momenti e aspetti. "Più di una delle persone che quella 'mattinata' riuniva o di cui mi suscitava il ricordo, mi offriva di sé gli aspetti che aveva presi successivamente ai miei occhi, grazie alle circostanze differenti, contrastanti, da cui era balzata volta per volta dinanzi a me; e dava risalto ai vari aspetti della mia vita, alle differenze di prospettiva, come un'irregolarità del terreno, una collina o un castello, che appare ora a destra, ora a sinistra, sembra dapprima dominare un bosco, poi emergere da una valle, e rivela così al viaggiatore mutamenti di orientamento e differenze di altitudine nel cammino da lui percorso [...] Come un secchio tirato su con la carrucola urta ripetutamente la corda ora qua ora là, sui lati opposti, non c'era personaggio, quasi direi non c'era cosa che, avendo avuto posto nella mia vita, non vi avesse rappresentato parti volta per volta diverse." (20) La sua vita era stata legata a quelle persone e insieme alla loro era passata: un senso di generale fallimento e di morte prendeva ora Proust perché in nessun modo gli sembrava di poter superare quest'ultima grave delusione. Come si può pensare di vincere sull'azione inesorabile e impietosa del tempo? Dall'idea dell'opera già concepita e momentaneamente disturbata doveva alfine venire la soluzione: l'opera dell'arte avrebbe vinto anche sull'opera del tempo! Se prima aveva scoperto che le verità recategli dalle sensazioni e dall'intelligenza avrebbero formato la sua opera ora scopriva lo sfondo sul quale collocarle, la dimensione del tempo. Questa sarebbe stata la cornice più idonea al quadro di quelle verità che sarebbero rimaste isolate e lontane tra loro se prive di un tessuto connettivo che le ordinasse seguendo il loro corso. In esso rientravano persone, esperienze, luoghi ed anche questi avrebbero trovato espressione nell'opera di Proust, che sarebbe risultata l'unica possibilità per recuperare quel passato giacché egli era il solo testimone capace di ricordare con esattezza ciò che era stato prima. "Ogni individuo ed ero io stesso uno di questi individui mi dava la misura della durata, grazie alla rivoluzione che aveva com- piuta non solo intorno a sé, ma anche intorno agli altri, e in special modo grazie ai punti che aveva successivamente occupati rispetto a me. E senza dubbio tutti quei piani diversi sui quali il Tempo, dopo che l'avevo riafferrato durante quel ricevimento, disponeva la mia vita, inducendomi a pensare che in un libro che volesse raccontare una vita, sarebbe stato necessario usare, anziché una psicologia piana usata di solito, una specie di psicologia nello spazio, aggiungevano una bellezza nuova alle risurrezioni operate dalla mia memoria, mentre stavo solo a pensare nella biblioteca, poiché la memoria, in- troducendo il passato nel presente senza alterarlo, qual era nel momento in cui era esso il presente, sopprime appunto quella grande dimensione del Tempo secondo la quale si attua la vita." (21) Cosi può succedere che, filtrati dalla sensibilità di uno solo, rivivano gli avvenimenti, le persone, i luoghi, i gesti, le parole, i discorsi, gli affetti, i suoni, ogni aspetto di un determinato momento della storia, riviva una generazione, un'umanità, un'epoca, un tempo che sembrava finito per sempre, perduto. Quando tutto sembrava compiuto nella materia Proust lo avrebbe fatto risorgere nello spirito. Attraverso la sua vita avrebbe rievocato la vita di un tempo intero in un'opera che per contenere tanto sarebbe dovuta essere immensa "come una cattedrale" e per risalire alle origini, alle verità profonde nascoste dietro le attuali superfici, altamente spirituale. E come lo spirito che si proponeva di esprimere anche l’opera sarebbe avvenuta fuori del mondo, nella condizione di segregazione che Proust iniziò quando l’ebbe concepita. Le limitazioni sofferte nel corpo a causa della malattia e le frustrazioni patite nell’ anima per l'immaginazione sempre tradita avevano, come per naturale compenso, fatto tendere in continuazione il pensiero di Proust verso ciò che fosse esente da confini. Perciò era potuto succedere che di fronte all'ultima e più grave delusione la sua sensibilità, acuita da sì lungo esercizio, gli avesse prodotto la più importante illuminazione. Addolorato perché costretto a riconoscere che la sua vita, insieme a quella degli altri e delle altre cose, è svanita, egli penserà di salvarle ricostruendo il loro passato dal profondo della propria interiorità che sola avrebbe potuto renderlo come al momento del suo avverarsi ed ottenere ciò che alla materia non è consentito, renderlo eterno. Quel tempo, perduto nella realtà e non sentito dagli altri, sarebbe stato da Proust ritrovato nell'idea ed in questa egli, insieme a quelli, sarebbe vissuto per sempre. Tutta la Recherche sarà documento della vita che lo scrittore immagina si svolga dietro le apparenze, dell'essenza che sente esistere dietro la forma e che sarebbe rimasta inespressa se non fosse giunto chi, potendo comunicare con essa, l’avrebbe recuperata. * * * Una conquista culturale ed umana il romanzo A la recherche du temps perdu sterminato quanto il sentire del suo autore! Culturale se si tiene conto che in esso giungono a matura espressione la formazione di Proust e le sperimentazioni iniziate da adolescente e fino alla Recherche tentate sempre e in direzioni diverse: racconti, saggi letterari, poesie, pastiches, abbozzi di romanzo, note sui costumi del tempo, su pittura e musica. Già in questa prima produzione si poteva osservare come l’autore risentisse della tradizione letteraria francese e della nuova temperie culturale ed artistica detta del decadentismo, che allora si andava definendo in Francia dopo la crisi del naturalismo e della filosofia positivista. Il decadentismo, s’è detto, sviluppava in arte certe tendenze del precedente e contemporaneo spiritualismo francese, propugnava per l'artista il ripudio della realtà quotidiana, ormai incompatibile con esigenze puramente spirituali, e il rifugio nell'interiorità, nell'idealizzazione. Proponeva, inoltre, l'uso di uno stile che nella sua ricercatezza segnalasse la qualità ideale e trascendente dei contenuti. Questi principi, presenti nel primo Proust, sono evidenti anche nell’opera maggiore e soprattutto nella creazione, qui operata, di una realtà diversa dalla comune, una realtà della coscienza, quasi una surrealtà ove vivere il passato e il presente senza interruzione e senza le contaminazioni arrecate dalla materia. Altri motivi riportabili alla poetica decadente possono essere ravvisati nella convinzione mostrata da Proust che il reale in sé è simbolo dell'ideale e può evocarlo mediante un rapporto di analogia prodotto dalla nostra interiorità, nell'idea che niente avviene fuori ma tutto entro di noi, nel carattere soggettivo dell’opera tendente a ridurre la varietà e complessità del reale all'unicità dell'animo dell'autore, nella sostituzione del personaggio dai tratti fissi e inamovibili con uno che si modifica parallelamente alle situazioni o ai suoi umori dilatando all'estremo i piani della narrazione e le verità possibili. Altri riscontri potrebbero essere rinvenuti tra l'opera maggiore di Proust e la cultura e l’arte del suo tempo ma essi non sarebbero sufficienti a ridurre la sua immensa novità, l’originalità del suo messaggio. Per ottenere tanto sarebbero occorse a Proust la sua vita di uomo perennemente deluso nelle aspettative e la drammatica constatazione dello scorrere inesorabile del tempo, dell’inevitabile appressarsi della morte. Da tutto questo lo scrittore si sarebbe sentito mosso a cercare tra la transitorietà di ogni pensiero, azione, principio, carattere ed ambiente umano quanto non fosse transitorio e destinato a rimanere immutabile: l’avrebbe scoperto in ciò che ormai è avvenuto, nel passato che non può essere modificato. Questo soltanto è momento di verità tra i molteplici altri che il tempo ha sovrapposto, momento di eternità tra il fluire incessante degli eventi. Pertanto bisognerà che sia ricostruito fedelmente nei pensieri e nelle azioni delle persone di allora come nelle luci, nei colori e suoni dei luoghi di allora, in tutto ciò che allora è stato creduto vero anche se adesso non lo è più. La sensibilità di Proust gli ha dimostrato di poter operare il miracolo ed egli attingerà a quell'eternità e comporrà l'opera tanto cercata. Sarà, dunque, una conquista anche e soprattutto umana la Recherche perché conquista della vita, della sensibilità del suo autore. (22) Saranno queste a rinnovare, in essa, tutto ciò che proveniva dal contesto culturale ed artistico, a filtrare ogni precedente esperienza dello scrittore per trarne un significato ed un’espressione nuovi. Sarà come se Proust avesse letto, studiato, meditato e soprattutto vissuto per la sua opera. Nuova, infatti, è in questa anche la morale che la sostiene dall'inizio alla fine e dalla quale, come da un giudice supremo, vengono valutate le persone e le vicende di volta in volta presentate. Nuove sono le verità che ininterrottamente la intessono sia che prevengano dal sentimento sia dalla ragione. E nuovo e del tutto personale è lo stile che, seguendo l’animo dell'autore, non rimane mai in superficie ma pacatamente e continuamente s’addentra ovunque infondendo vita quando d'anima quando di luce, colore, suono anche in ciò che sembrava più restio. L'usuale e a volte smisurata ampiezza dei periodi, l'estrema politezza verbale, l'eleganza delle infinite metafore completano il quadro di un artista che, per dare una forma ai propri pensieri, ha usato i mezzi più consoni al suo immenso e delicato sentire. (23) (*) Estratto da: «Quaderno Filosofico» n. 9, Università degli Studi - Lecce
(1) M. PROUST, A la recherche du temps perdu (tomes 3), Ẻdition établie et annote par PIERRE CLARAC et ANDRẺ FERRẺ, Paris, Gallimard, 1954. (2) H. STUART HUGHES, Coscienza e società (Storia delle idee in Europa dal 1890 al 1930), Torino, Einaudi, 1967, pp. 354-355. (3) M. PROUST, Les plaisirs et les jours, Paris, Calman-Levy, 1896. (4) M. PROUST, Jean Santeuil, Paris, N. R. F., 1952. (5) M. PROUST, Le temps retrouvé, tome III de A la recherche du temps perdu, Pa- ris, Gallimard, 1954, pp. 905-906, 908. (6) M. PROUST, La fugitive, tome III de A la recherche du temps perdu, cit., p. 419: "Come più della psicologia stessa, la sofferenza la sa lunga.in materia di psicologia." (7) Cahiers de la Quinzaine: periodico fondato e diretto a partire dal 1900 dallo scrittore francese CHARLES PEGUY. La pubblicazione ebbe una funzione importante per la cultura francese dei primi anni del Novecento perché svolse un lavoro di diffusione delle attività e novità culturali ed ospitò collaboratori di diverse inclinazioni. (8) Cfr. J. VIARD, Proust e Peguy, University of London, The Athlon Press, 1972. (9) M. PROUST, Du côté de chez Swann, tome I de A la recherche du temps perdu, cit, pp. 172-173: "Visto che volevo diventare un grande scrittore, era giunto il momento di sapere cosa pensavo di scrivere. Ma quando me lo domandavo, cercando di trovare un soggetto in cui potessi introdurre un significato filosofico infinito, il mio cervello smetteva di funzionare." (10) M. PROUST, Le temps retrouvé, cit., p. 855: "Se ho mai potuto credermi poeta, io so ora che non lo sono." ' (11) M. PROUST, Le temps retrouvé, cit.,pp. 872-873 (12) Ibidem, p. 912 (13) Ibidem, pp. 895-897 (14) Ibidem, pp. 897-898. Il critico Alberto
Beretta Anguissola, circa la figura di PROUST, afferma nel saggio
Péguy e la scrittura della morte (compreso in Péguy vivant,
Lecce, Milella, 1978, p. 401) che in PROUST la vita è separata
dall'opera: "La vita in Proust richiede protezioni, silenzio,
abitudini; la scrittura è invece grido, violenza, choc". (15) M. P.ROUST, Le temps retrouvé, cit., p. 885 (16) Ibidem, pp. 898-899, 908 (17) M. PROUST, Le temps retrouvé, cit., p. 899 (18) Alcuni studiosi di letteratura francese come RAMON FERNANDEZ (Proust, Edition de la "Nouvelle Revue Critique", Paris, 1943), EDMOND BUCHET (Ecrivains Intelligents du XX siècle, Paris, 1949), JULIEN BENDA (La France Byzantine, Paris, 1945), ANDRÈ FRÈTET (L'aliènation poètique, Paris, 1947), vorrebbero spiegare la Recherche ricondu- cendo l'opera unicamente alle qualità intellettuali dell'autore mentre solo una parte della vita e dell'opera di questi esse rappresentano, come PROUST dice nei brani ora citati. (Cfr. M. PROUST, Le temps retrouvé, cit., pp. 897-899). (19) M. PROUST, Le ternps retrouvé, cit., p. 930. (20) Ibidem, pp. 970-973, (21) Ibidem, p. 1031 (22) Nel saggio Marcel Proust, della poetica:
dalle "leggi misteriose" della poesia alla "legge crudele" dell'arte
(compreso in "Belfagor", Rassegna di varia attualità,
Firenze, Casa Editrice Leo S. Olschki, anno XXXVI n.1, 1981, pp.
1-21), Mariolina Bertini intende dimostrare che ad animare il PROUST
scrittore della Recherche siano state le qualità di saggista da
lui possedute e specie quelle espresse nei quaderni del Contre
Sainte-Beuve, ed ancora che, avendo PROUST scoperto il dolore
insieme alle circostanze ("scoperta dell'azione distruttrice del
Tempo", M. PROUST, Le temps retrouvé, cit., p. 930) che gli
avevano suggerito l'idea definitiva dell'opera maggiore, altro aspetto
questa non avrebbe potuto avere se non quello funesto del tormento e
della morte, mentre gioioso e vitale era stato l'aspetto dei
precedenti lavori proustiani come il Jean Santeuil. (23) Circa lo stile di PROUST si veda di Leo Spitzer il saggio Sullo stile di Proust, compreso nel volume Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna, Torino, Einaudi, 1959. Lo Spitzer, servendosi di studi precedenti condotti da E. R. Curtius (Französischer Geist in neuen Europa, 1925), B. Cremieux (XX Siècle, 1924) e L. Pierre-Quint (Marcel Proust, 1925), illustra, nel saggio, la complessità della prosa proustiana: la stragrande misura dei periodi, la diversità dei piani di narrazione pur in seno allo stesso periodo, gli ampi schemi sintattici che "prolungano il periodo ben oltre la durata di un respiro umano". Ma quando si tratta di spiegare questa molteplicità e di ricondurla ai suoi motivi propulsori Spitzer mostra qualche esitazione perché la attribuisce ora al mondo "complesso e intricato" di cui lo stile di PROUST sarebbe un riflesso ora, come forse sarebbe più giusto, alla ricca interiorità dello scrittore che lo avrebbe condotto a scoprire e dire anche ciò che del mondo e della vita sfugge agli altri. |
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