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Un dispositivo che educa
L’autrice
del libro, la professoressa Anna Rezzara, docente di Pedagogia generale
e di Fondamenti della consulenza pedagogica nella Facoltà di Scienza
della Formazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, nel
volume Un dispositivo che educa.
Pratiche pedagogiche nella scuola (Mimesis, Milano – Udine, 2009)
porta in primo piano un aspetto dell’istituzione scolastica che negli
ultimi anni pare stia passando in secondo piano. L’educazione, infatti, prima della comprensione e
dell’istruzione, è stata intesa da sempre come obiettivo fondamentale
della scuola, come fine ultimo e principale di un’istituzione che,
insieme con la famiglia, mira alla formazione dell’individuo e si
identifica, dunque, come “agenzia educativa”.
La trasmissione
delle competenze certamente ricopre un ruolo importante per la scuola,
la quale deve, per propria stessa definizione, garantire la conoscenza
di nozioni e sviluppare le abilità di base prima, gli strumenti
culturali più avanzati e specialistici dopo. Tutto ciò non può prescindere dall’educazione,
intesa nel senso tecnico ed etimologico del termine – tirar fuori dal
bambino, dal preadolescente, dall’adolescente quanto di intrinsecamente
positivo esiste in ciascun educando. Il libro in oggetto definisce le varie tappe del
percorso educativo, relazionandole con l’età evolutiva del soggetto a
cui è rivolta l’attività dello specialista. Risulta importante la schematizzazione delle
strategie da adottare e riveste un significato particolare l’analisi
dell’“orientamento”. L’orientamento nel corso degli anni è stato
interpretato o sulla base di un modello “diagnostico e
psicoattitudinale”, o in riferimento a un modello “informativo”;
l’autrice propone una commistione dei due indirizzi, delineando un
modello misto, considerando “che il compito dell’orientamento si giochi
oggi tra il realizzare una formazione autenticamente orientativa e il
curare l’aspetto informativo dell’orientamento”. La funzione pedagogica della scuola, così, passa
dalla didattica e dallo sviluppo delle competenze e arriva – attraverso
le strette relazioni che si intrecciano tra scuola e vita, tra scuola e
gioco, tra scuola e lavoro – alla comprensione dell’individuo nella
totalità delle sue attività. Così la dimensione della “progettualità” diviene
l’aspetto fondamentale dell’orientamento e della pratica educativa:
fornire al bambino e all’adolescente strumenti validi per la
progettazione del futuro è la garanzia maggiore a cui la scuola può
aspirare e investire nelle capacità proprie di ciascun individuo
contribuisce non solo a sviluppare l’aspetto pedagogico e strettamente
educativo dell’attività scolastica, ma anche a migliorare e a ben
considerare le nozioni disciplinari frutto della didattica. Indurre il giovane a conquistare la
consapevolezza di essere responsabile del proprio futuro e della propria
vita, infatti, costituisce il fine principale dell’orientamento
educativo: “lavorare per l’orientamento significa creare le premesse e
le competenze perché un ragazzo riesca ad essere e a pensarsi
protagonista di un suo progetto, e questa è forse la più alta
definizione possibile della funzione stessa dell’educazione”. Valentina Zaffino |
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