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Viaggio alla scoperta di un’Italia ‘antica’ tra passione politica e solidarietà umana di CARLO DE NITTI
Che la ricerca storiografica contemporaneistica debba partire dalle ‘storie di vita’ - come le chiamava Franco Ferrarotti nel suo libro omonimo laterziano nel 1983 - dall’indagine sociale per cogliere a pieno gli uomini e le loro vite nell’evolversi del tempo è ormai principio ben acquisito nel mondo degli studi storici. E’ proprio partendo dalla ricostruzione di ‘storie di vita’ che Giovanni Rinaldi - nella sua ultima fatica di ricercatore I treni della felicità. Storie di bambini in viaggio tra due Italie, edita nel settembre 2009 da Ediesse nella collana Cartabianca, con una bellissima prefazione di Miriam Mafai - porta alla luce una storia dell’Italia dell’immediato dopoguerra la cui memoria, sebbene nascosta ai più, era disseminata negli anfratti della memoria di coloro i quali all’epoca ne furono protagonisti inconsapevoli ma diretti: bambine e bambini, ragazze e ragazzi di allora, oggi anziani, ed adulti. L’unica testimonianza già edita (nel 1981, ma introvabile) sulla storia di quelle migliaia di bambini era stato il volume curato da Angiola Minella, Nadia Spano e Ferdinando Terranova, Cari bambini vi aspettiamo con gioia. Insieme al regista barese Alessandro Piva, Rinaldi ha ricostruito sul campo le storie di alcuni tra quelle migliaia di bambini appartenenti a famiglie povere e poverissime di un Sud arretratissimo - in cui le lotte contadine per la terra erano considerate rivolte contro l’ordine costituito ed erano represse nel sangue - e provato dai bombardamenti, dalle distruzioni e dalle miseria portate dalla seconda guerra mondiale che lasciarono temporaneamente le loro famiglie e furono ospitati da famiglie emiliane, romagnole e marchigiane. L’esperienza dei primi due inverni del dopoguerra, scaturita “dalla fantasia e dalla passione di Teresa Noce” (p. 9), una dirigente comunista piemontese (1900 - 1980), tra le poche donne elette all’Assemblea Costituente e tra le cinque della Commissione dei settantacinque, fu ampliata ed estesa negli anni seguenti ad altre zone del Paese, come a Napoli ed alla zona del Cassinate, distrutti dalla seconda guerra mondiale, ed a San Severo, in provincia di Foggia, dove la repressione delle richieste dei braccianti agricoli di avere “pane e lavoro”, avvenuta il 23 marzo 1950, portò in carcere per circa due anni moltissimi giovani uomini e tante giovani donne, padri e madri con prole, spesso numerosa, a carico. “Nessuno ha mai ricostruito e raccontato compiutamente questa straordinaria vicenda politica ed umana, di cui sono state organizzatrici e protagoniste soprattutto le donne, una vicenda che ha consentito un primo incontro, all’insegna della solidarietà tra il Nord ed il Sud.” (p. 10). Una solidarietà fatta soprattutto di gesti concreti in un’Italia fortemente divisa da un punto di vista politico, ma capace di organizzarsi per aiutare i più deboli ed indifesi come quei bambini che oggi – a distanza di tantissimi anni - hanno raccontato la storia che ha certamente molto influenzato la loro vita futura.. Sono storie – quelle raccontate da Giovanni Rinaldi - di solidarietà organizzata, ma è anche storia della capacità di entità politiche (come il Partito Comunista Italiano) e sociali (come la C.G.I.L. e l’Unione Donne Italiane) di rispondere a bisogni concreti ed impellenti di vaste masse popolari, anche sfidando i pregiudizi del tempo (“mica è vero che li portate in Russia?”). L’espressione “treni della felicità” che dà il titolo al lavoro di ricerca ed al volume fu dell’allora sindaco di Modena Alfeo Corassori che definì così i convogli che condussero quei bambini a vivere un’esperienza unica, inimitabile, che ha certamente condizionato in positivo la loro vita futura, come emerge prepotentemente dalle loro testimonianze: sia per chi è tornato nella terra d’origine ed ai propri affetti familiari, sia per chi ha scelto di rimanere o di tornare nella nuova terra e con la famiglia di adozione. Nelle due parti che compongono il suo lavoro (“Pane e lavoro! I figli della rivolta” ed “I comunisti mangiano i bambini”), Rinaldi racconta in presa diretta le testimonianze di un gruppo di sessantenni: particolarmente interessanti - anche ai fini di una possibile ricostruzione a tutto tondo del movimento bracciantile dell’immediato dopoguerra, nella ‘Puglia rossa’ - sono le testimonianze del viaggio da San Severo ad Ancona, Follonica e Ravenna che gli rendono Severino Cannelonga (che è stato eletto deputato del P.C.I. nella IX e nella X Legislatura, eletto nel Collegio di San Severo), Ada e Teresa Foschini, le figlie della “portabandiera”, Dante Verrone, Americo Marino, Erminia Tancredi. Questi bambini ricevettero un’accoglienza affettuosa ed un’ospitalità imprevista presso famiglie marchigiane e romagnole di volenterosi lavoratori e sono rimasti con loro in ottimi rapporti di amicizia o di parentela acquisita. Non era stato facile partire, non era semplice ritornare: “Purtroppo il ritorno fu difficile, non tanto per noi quanto per i nostri genitori che non potevano più soddisfare i nostri bisogni [… ] Un grosso rimpianto per i nostri genitori che dicevano: ‘Ma dove vi hanno portato? Vi hanno viziato! Qua stiamo a San Severo, non stiamo a Ravenna, non stiamo ad Ancona, non stiamo a Firenze!’” (pp. 55-56). Addirittura alcuni – come il signor Marino e la signora Tancredi – sono tornati a vivere nei luoghi di adozione: “Americo rimane a casa per alcuni anni, ma non riesce a dimenticare il ‘mondo nuovo’ conosciuto nei sei mesi trascorsi ad Ancona […] Alla fine mio padre si è rassegnato a questa mia decisione. Mia madre invece questa cosa l’ha accettata subito, perché vedeva che deperivo.” (p. 71) Essi hanno vissuto con le famiglie adottive fino a quando si sono costruiti le loro vite, anche da un punto di vista lavorativo, e, da adulti, le loro famiglie. Conclude Severino Cannelonga la sua testimonianza dell’esperienza compiuta da lui e dalla sue sorelle: “Tante volte ho pensato: cosa avrei fatto, come mi sarei ridotto, quale sarebbe stato il mio destino senza questo aiuto?” (p. 39). |
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