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Roth tra i suoi "fantasmi" di Antonio Stanca Di recente è stato ristampato, presso Einaudi, il romanzo "Lo scrittore fantasma" del noto narratore americano Philip Roth, che lo aveva pubblicato, la prima volta, nel 1979. L’autore, nato nel 1933 a Newark (New Jersey), di famiglia ebrea, ha esordito nella narrativa a ventisei anni mostrandosi particolarmente attento a rappresentare la difficile condizione degli ebrei in un ambiente sociale come l’americano moderno, i problemi da essi incontrati ad inserirsi in un contesto economicamente progredito, la loro vana aspirazione ad integrarsi nella nuova realtà e liberarsi dalla propria storia, dal proprio passato. Questi i temi centrali delle sue opere maggiori che, tuttavia, non assumono le tinte gravi, oscure, tragiche che sarebbero loro pertinenti ma spesso vengono dallo scrittore trasferiti in una dimensione comica, farsesca. In tal modo il dramma risulta occultato e si scopre pure che la comicità non è rivolta verso chi soffre l’esclusione dall’ambiente bensì verso gli aspetti di questo che più la provocano, verso i miti della società americana, la sua opulenza, la condizione privilegiata nei confronti di altre nazioni. Così avviene nel romanzo più famoso "Il lamento di Portnoy" (1969) dove dalla voce di uno psicanalista chi narra fa sapere quanto ha dovuto reprimere per inserirsi nel contesto americano e come per lui tale raggiungimento s’identifichi con la conquista del piacere. Ne "Il grande romanzo americano" (1973), altra opera di rilievo del Roth, è il mito americano del baseball ad essere preso di mira ed è l’intera società statunitense a dover subire un’interminabile critica corrosiva da parte dello scrittore ed in nome di un maggiore ordine sociale. Anche ne "Lo scrittore fantasma" (1979) ritornano le polemiche contro l’America gaudente che respinge i diversi da sé ed in particolare gli ebrei. Qui il problema è sofferto soprattutto dal giovane scrittore ebreo Nathan Zuckerman che i famigliari sconsigliano dal pubblicare un racconto per evitare il pubblico americano e la sua intolleranza verso gli ebrei. Egli, pertanto, si trova diviso tra i parenti ed un maestro di scrittura e grande e noto scrittore, Emanuel Isidore Lonoff, che lo stima moltissimo e lo incoraggia a continuare. Nella sua casa Nathan si è recato come per sottoporsi ad un esame, per dire delle proprie idee, aspirazioni e di quanto finora prodotto. Vi rimarrà poco tempo, appena due giorni che, tuttavia, saranno sufficienti a fargli scoprire quanto nessuno sa ed egli neppure immagina circa il famoso personaggio. Lonoff vive con la moglie da quando i figli li hanno lasciati per formare le proprie famiglie; la casa, nel New England, è lontana ed isolata tra colline coperte di neve e costituisce per lo scrittore il suo rifugio dal mondo, il luogo del suo esilio. In essa egli si è consacrato all’arte, è divenuto "lo scrittore fantasma" giacché evita contatti con l’esterno e costringe la moglie, Hope, a seguirlo in tale esistenza. Nel loro rapporto prevalgono gli interessi di lui al punto che ogni altro aspetto, compreso quello affettivo, intimo, risulta ormai annullato. Tra le sue libertà, spesso bizzarrie, estroversioni, rientra pure un sospetto legame con una ragazza molto più giovane di lui, Amy Bellette, che Lonoff ha aiutato a lasciare l’Europa ed ospitato nella propria casa per sottrarla ai pericoli che la sua condizione di ebrea le avrebbe potuto comportare. Nathan scopre, tra l’altro, che questa ragazza potrebbe essere Anne Frank, l’autrice del famoso "Diario", ma di questo nessuno dei protagonisti del romanzo, lei compresa, sarà mai certo. E molti ancora saranno i misteri che percorreranno l’opera fino alla fine quando Hope lascerà la casa perché ormai stanca di sopportare il marito e dopo aver invitato Amy a rimanervi per sempre quale seconda moglie di Lonoff. Questi la seguirà a piedi sulla neve dopo che Amy se ne sarà andata e Nathan rimarrà solo in casa mentre poco prima stava per andarsene insieme ad Amy, con la quale aveva cercato di avviare un rapporto. Cambiano i piani, si modificano le situazioni, le prospettive, si sovrappongono e confondono le azioni, i linguaggi dei quattro protagonisti: così alla fine e così altre volte durante i due giorni trascorsi da Nathan in casa Lonoff. Essi costituiscono il tempo della narrazione e, nonostante la loro brevità, fanno emergere molti problemi quali i difficili rapporti con la famiglia e con gli altri per un artista, l’ebraismo in America e nel mondo, l’arte, il suo significato, l’erotismo. Di tutto questo e d’altro s’è visto e parlato in quella casa, molto hanno riferito i giovani, Nathan ed Amy, del proprio passato ma nessuno dei problemi loro o dei Lonoff o della vita si è risolto e tutti sono rimasti indeterminati come dimostra il finale così poco definito. Nel romanzo si sono evidenziati soltanto problemi e tali sono rimasti perché non si è cercata né indicata una soluzione o almeno un’alternativa. Ne è derivata un’atmosfera perennemente indefinita, priva di chiarezza, autenticità, un luogo, delle situazioni, dei personaggi senza una verità esatta, una realtà unica, delle persone, delle cose sospese, tutte come "fantasmi", tra approssimazioni, imprecisioni e mai divenute stabili, definitive. E’ una dimensione sempre ipotetica, quasi irreale quella del Roth di quest’opera, una rappresentazione più articolata delle sue solite e vicina a quelle proprie del "teatro dell’assurdo" i cui autori avranno sicuramente fatto parte della sua formazione. |
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