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Follia come vita
E' recente la pubblicazione, per i tipi della Bompiani, del breve volume: "La follia, in poche parole" (82 pagine, 10.000 lire) di Pier Aldo Rovatti, docente di Storia della Filosofia contemporanea presso l'Università di Trieste. Insieme a Gianni Vattimo Rovatti è stato, negli anni '80, promotore della corrente filosofica detta del "pensiero debole" ed impegnata a diffondere un'atmosfera culturale e morale che, a differenza del passato, non escludesse certi principi o concetti perché lontani dalle regole, non rifiutasse quanto dalla tradizione considerato negativo ma lo accogliesse, combinasse e componesse con quanto ritenuto positivo ricavandone una sintesi che fosse il riflesso di quella vita alla quale tali elementi appartengono. Su questa linea, quasi una continuazione, s'inserisce la suddetta opera nella quale l'autore si propone di spiegare il concetto di follia partendo da un'esperienza personale verificatasi a Trieste durante un suo incontro con operatori nel servizio di salute mentale. In quella circostanza egli era rimasto sorpreso da due risposte alla sua domanda: "Che cosa è la follia?", "Non so", "La follia è diversità oppure avere paura della diversità". Da queste risposte il Rovatti muove nel suo proposito e lo fa ripercorrendo le tappe principali alle quali è giunto il pensiero moderno e contemporaneo al riguardo. I filosofi Foucault, Derrida, Husserl, Sartre, Lèvinas, Merleau - Ponty, gli psicoanalisti Freud, Lacan, Bateson, Laing e, naturalmente, le opere di questi relative al problema sono gli autori e gli argomenti dei quali egli si avvale nel libro per dimostrare la sua tesi circa la follia e come questa coincida con quelle risposte nonostante la loro semplicità, immediatezza e casualità. Rovatti pensa, infatti, che sia difficile definire con esattezza il concetto di follia e nel contempo che la diversità da essa rappresentata non riguardi soltanto chi ne è affetto ma anche chi non lo è e ne ha timore nel senso che di fronte ad essa si ritrae. Folli, quindi, saremmo tutti in maniera indistinta e il problema starebbe nel cercare un equilibrio, una misura che ci permetta di vivere insieme la diversità e la paura di essa, l'irregolarità e la regolarità, l'eccezione e la norma, che ci faccia concedere al diverso e ritrarci da esso, ci renda capaci di oscillare perennemente tra i due estremi. Non è facile acquisire una simile posizione ma sarebbe l'unica possibile per una vita completa giacchè tutto rientrerebbe in essa e si accederebbe ad una dimensione più ampia. Solo pervenendo ad uno stato continuamente sospeso tra questi poli, partecipando di un interminabile movimento ondulatorio tra la nostra vita e quella dei diversi, disponendoci ad essere insieme unici e divisi, ad assumere un'altra visione, maniera, espressione oltre le nostre, a non escludere, separare, dividere ma accogliere, comporre, unire, potremmo dirci partecipi di una vita vissuta interamente. Questa non è solo la convinzione del Rovatti ma, com'egli mostra nell'opera, è anche la conquista più recente nella storia del pensiero. Dalla sua indagine, chiara, attenta e puntuale anche se rapida, risulta, infatti, che ognuna delle posizioni esaminate, pur appartenendo ad autori diversi, contiene elementi utili a convalidare tale principio. Una prima conferma viene dal confronto tra Foucault e Derrida che, nonostante presenti contrasti insormontabili, offre al possibilità di un punto d'incontro quando si dice dell'importanza di vivere il sentimento del diverso, del contrario, d'integrare la propria normalità con quanto ne rimane escluso, di superare il timore combinandolo con quanto temuto. Si passa, poi, a valutare le posizioni di Husserl, Sartre e Lèvinas, che conducono tutte alla constatazione della "necessità dell'altro", del diverso onde pervenire alla completezza del soggetto. Con Merleau - Ponty si dice della normalità e diversità come dell'interiorità ed esteriorità e le si ritiene un fenomeno naturale quale quello che riguarda il corpo umano composto da elementi interni ed esterni. Infine con Freud, Lacan e soprattutto con Bateson e Laing si conclude la trattazione rilevando come anche dal pensiero psicoanalitico l'unione tra diversità e normalità è ritenuta naturale e necessaria quanto quella che si verifica in uno scambio di parole tra due dialoganti nell'intreccio dei loro linguaggi. Pertanto ovunque abbia rivolto lo sguardo il Rovatti è riuscito a ricavare prove inconfutabili per la sua tesi, esempi idonei a dimostrare come alla semplicità e casualità, dalle quali era partito, poteva essere attribuito un valore sicuro e definitivo oltre che profondo e valido. Finito di leggere il libro è come scoprire di aver trascurato finora quanto era importante e disporsi a non farlo più. Antonio Stanca |
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