Una scrittrice impegnata
(Tra “ricchi” e “poveri”)
di
Antonio Stanca
Giornalista,
saggista, scenografa e soprattutto scrittrice, la quarantacinquenne
indiana Arundhati Roy, vivente a Nuova Delhi e rivelatasi al pubblico
mondiale nel 1997 con il romanzo d’esordio “Il dio delle piccole cose”,
ha recentemente pubblicato, presso Guanda, la raccolta di saggi “Guida
all’impero per la gente comune”. Si tratta di un’ampia illustrazione
delle gravi e insanabili contraddizioni che riguardano oggi il mondo,
un’estesa panoramica sui rapporti tra i diversi paesi della terra, tra
stati ricchi e stati poveri, tra continenti, un’indagine su quanto è
successo e succede in zone particolari quali Israele, Palestina, Iraq,
Vietnam, Laos, Cambogia, India, Pakistan e altri luoghi (Sud Africa, Sud
America) dove nazioni potenti come Stati Uniti o Inghilterra sono
intervenute per risolvere problemi interni e non hanno mai smesso di
rimanere presenti perché interessate alle risorse naturali ( petrolio,
gas e altre) del posto. Di violenze, di guerre avvenute o in corso, di
uomini che decidono le sorti d’intere aree e popolazioni del pianeta si
dice, dunque, nel libro della Roy, della separazione sempre più
incolmabile che si va delineando, per volontà dei “grandi” della terra,
capi di stato, multinazionali, grossi complessi industriali, tra ricchi
e poveri, padroni e sfruttati, forti e deboli, Impero e sudditi. Il
nostro, il moderno, quello che era stato previsto come il mondo del
progresso, del benessere diffuso, come il migliore dei mondi possibili,
viene presentato dalla Roy come il peggiore poiché tormentato in molte
sue zone da guerre, stragi, devastazioni, attentati, miseria, malattia,
paura, privato di giustizia, libertà, uguaglianza. Impietosa si mostra
la saggista nel riportare quanto di crudele, di efferato è avvenuto ed
avviene in tante parti della terra nei tempi da poco trascorsi ed in
quelli attuali. Dall’interminabile e sanguinoso confronto tra ebrei e
palestinesi in Israele a quello tra indù e musulmani in India,
dall’attentato alle Torri Gemelle alla guerra in Iraq, sono tanti gli
avvenimenti, i personaggi della storia , della politica, della
religione, dei quali la Roy dice nell’opera senza esitare a descrivere
le situazioni terrificanti che li hanno accompagnati o ne sono
conseguite giacchè il suo vuole essere un atto di denuncia, un’accusa,
un’operazione di smascheramento delle gravi verità nascoste dietro gli
apparati burocratici solitamente esibiti. Si vuole dimostrare come di là
dalle proclamazioni ufficiali di democrazia, solidarietà valgano, oggi,
ben altre ragioni, come il mondo attuale, le sue sorti siano regolate da
poche persone, le più potenti, le quali non esitano neanche a provocare
un massacro pur di salvare o assicurare il mantenimento della propria
posizione o la tutela dei propri interessi. Leggendo il libro si ha la
sensazione di un mondo ridotto ad una piccola scatola in mano a dei
giocolieri abili nel tirare le fila al momento e nel modo che meglio o
più serve loro.
Lo stile dell’autrice è
svelto, scorrevole tanto da coinvolgere il lettore fin dall’inizio e da
mostrare che anche da saggista la Roy non rinuncia agli effetti propri
della sua scrittura già comparsi nel romanzo “Il dio delle piccole
cose”. Come allora anche adesso ella racconta, narra, crea, cioè, un
intrico di situazioni, le combina, le complica per poi spiegarle,
chiarirle e di nuovo complicarle. La sua origine indiana, gli infiniti
problemi della sua terra sono serviti a formarla più di qualsiasi altro
elemento. Pure ne “Il dio delle piccole cose” si era detto della vita,
della storia come divise tra “grandi” e “piccole cose”, pure allora si
era evidenziato un impegno a discutere, a fare delle condizioni degli
umili, dei poveri un motivo di polemica, di protesta contro i ricchi che
le avevano provocate e le mantenevano. E quanto d’indeterminato era
rimasto allora perché romanzo è stato ora precisato, chiarito: in questo
saggio sono indicati, nominati, accusati i responsabili della divisione
tra ricchi e poveri nel mondo. A muovere, quindi, la scrittura della Roy,
di qualunque genere, è la sua volontà di lottare contro le sopraffazioni
e la violenza, ovunque si manifestino, di schierarsi da quella parte
dell’opinione pubblica che le condanna ed aspirare in un rovesciamento,
anche se molto lontano ed improbabile, della situazione. Si rende conto,
la scrittrice, che la sua è una voce debole, che deboli sono anche le
manifestazioni di protesta che in molte parti del mondo spesso si
verificano contro tale sistema e , tuttavia, non smette di credere in
una loro futura vittoria, di sperare che la loro unione possa diventare
una forza capace di sostituirsi a quella imperante. |