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Dalla storia alla leggenda di Antonio Stanca Un luogo segnato da antiche credenze come Soleto, comune del Basso Salento detto dei “macari”, cioè dei maghi, delle streghe, un personaggio, Matteo Tafuri, filosofo e medico del ‘500 che a Soleto ebbe residenza e coniugò i suoi ampi studi, i suoi viaggi presso i maggiori centri culturali del tempo con interessi per le scienze occulte fino ad essere accusato di eresia e di magia, hanno attirato la curiosità e la fantasia di Luisa Ruggio, giornalista e scrittrice salentina che a Lecce vive e lavora. Da Soleto e dal Tafuri ella si è mossa per giungere al suo secondo romanzo “La nuca”, quest’anno pubblicato da Controluce. A svolgersi, nell’opera, è la storia di una donna, una giovane e bella vedova dai capelli rossi, Hyrie, che, come le altre due protagoniste del precedente, primo romanzo della Ruggio, “Afra” (Besa, 2006), è del Sud d’Italia e pensa di evadere dalla condizione che vive, sogna altre esperienze. Hyrie aspira a non rimanere esclusa, sconosciuta, cerca persone, situazioni nuove, diverse in tempi e ambienti che sono del Medioevo. Essa ha avuto problemi in famiglia, questi sono continuati anche da sposata a Soletum, oggi Soleto, ed, infine, dopo la morte del marito è fuggita per inseguire quei sogni comparsi fin da bambina e che consistono nella conoscenza di libri, nel loro contatto, nell’apprendere a leggere e scrivere. Incontrato l’alchimista Matteo, lo studioso Matteo Tafuri, nella locanda dove si era rifugiata, lo vedrà come un maestro, come una soluzione per le sue aspirazioni e, vestita da uomo, ritornerà a Soletum una volta lasciata la locanda. Nella casa di Matteo troverà accoglienza e istruzione, nella sua biblioteca piena di testi, che egli ha portato dai vari viaggi e soggiorni presso abbazie ed altri luoghi di studio e di trascrizione, si sentirà appagata. Qui conoscerà Gherìb, l’arabo adottato dal padre di Matteo e da questi considerato suo fratello. Nella casa ci sarà pure Laila, una ragazza del posto che vi sarà portata perché da Matteo siano curate le sue ossessioni. Ma mentre Hyrie soddisfa i suoi bisogni di toccare, aprire, sfogliare, leggere libri, gli altri s’innamorano di lei, i due uomini che la sanno donna, specie Gherìb che in quella di Hyrie scopre la nuca femminile cercata tra le tante viste, e la ragazza che crede sia un uomo a causa dei suoi vestiti. Anche Hyrie, oltre a leggere, imparerà ad amare, li amerà tutti, in lei s’incontreranno e combineranno l’Occidente di Matteo, l’Oriente di Gherìb e la malattia di Laila. Per amore Hyrie imparerà pure a scrivere, scriverà un diario, attraverserà il bosco di notte da sola, vedrà la sua storia colorarsi di sangue, assisterà alla tragedia di Laila, per amore abbandonerà gli uomini, fuggirà di nuovo, cercherà altri approdi, non saprà più distinguere tra vecchi e nuovi bisogni. La sua storia sarà raccontata ovunque nei dintorni, diventerà la favola della “donna che fugge”, entrerà nella leggenda, sarà tramandata. Fin dall’inizio è un’invenzione continua il romanzo della Ruggio, i tempi, i luoghi, i personaggi sono stati scelti tra i più idonei a favorire la tendenza della scrittrice all’immaginazione, alla fantasia. L’opera è un’altra prova riuscita delle sue qualità, delle sue capacità di arricchire la storia con quanto di essa non si è visto, non si è sentito, non si è detto, non si è scritto, non è successo, di far partecipare dell’invenzione ogni elemento, aspetto della vita compresi gli animali, le piante, l’aria, l’acqua, la luce, il colore, il suono, che con i pensieri, i sentimenti, la voce dei personaggi s’identificano, si confondono, di avviare un movimento esteso oltre ogni limite di tempo e spazio, vita e morte, bene e male, di fare del mistero una regola. E tutto tramite una scrittura veloce, essenziale, formata soprattutto da immagini che si succedono, si sovrappongono, si ripetono come a rendere il corso irregolare di un sogno. |
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