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Salinger, un problema vero
di Antonio Stanca
Nel
1951, quando pubblicò il romanzo “The Catcher in the Rye”, aveva
trentadue anni. Aveva abbandonato gli studi universitari intrapresi dopo
essere stato pessimo a scuola, aveva preso parte alla seconda guerra
mondiale e allo sbarco in Normandia, aveva pubblicato non senza
difficoltà alcuni racconti presso delle riviste. Era, insomma, uno
sconosciuto che improvvisamente quel romanzo avrebbe fatto diventare
noto non solo in America ma nel mondo. Il successo dell’opera sarebbe
cominciato dal momento della pubblicazione e non avrebbe conosciuto
soste fino ai giorni nostri quando solo negli Stati Uniti sono vendute
duecentocinquantamila copie ogni anno. In Italia giungerà nel 1952 col
titolo “Vita da uomo” che diverrà “Il giovane Holden”
nel 1961 e per sempre vista
l’impossibilità di tradurre il titolo originale. Una delle più recenti
ristampe è stata fatta dalla Casa Editrice Einaudi di Torino nella serie
Super ET con la traduzione di Adriana Motti. Si tratta dell’opera dello
scrittore americano Jerome David Salinger
nato a New York nel 1919 e morto a gennaio di quest’anno a
Cornish, nel New Hampshire, dove si era ritirato fin dal 1953, poco dopo
il successo del romanzo ed era vissuto per molti anni lontano dagli
ambienti pubblici. In questo periodo Salinger scriverà altri racconti,
nei quali torneranno i temi dei
ragazzi, dei loro costumi e linguaggi, si dedicherà ad una serie di
narrazioni volte a formare una saga famigliare ma si sottrarrà sempre
più al pubblico, ai mass media, ridurrà il suo impegno letterario e dal
1965 finirà di scrivere. Una spiegazione ad un silenzio così prolungato
che lo farà credere morto prima del tempo è stata cercata nel misticismo
di carattere induista o buddista al quale lo scrittore si era votato o
in altre sue convinzioni ma difficile è risultata finora al punto da far
diventare la sua una leggenda. Salinger ha scelto di tacere mentre il suo “giovane
Holden” faceva parlare ovunque di lui. Circa dieci anni aveva lavorato
lo scrittore al romanzo e questo avrebbe costituito una novità tale da
diventare fondamentale per la letteratura contemporanea, da indicarle
nuove vie da percorrere, da non farla più prescindere dal suo esempio di
contenuto e di forma espressiva. Muovendo da esperienze personali come
gli insuccessi a scuola Salinger era giunto a concepire l’adolescente
Holden che viene espulso per l’ennesima volta dalla scuola e che, prima
di tornare a casa, comunicarlo e subirne le conseguenze, decide di
trascorrere i pochi giorni che precedono la data del rientro
vagabondando per New York. La sua si trasformerà in una ricerca della
propria identità, in un bisogno di vedere corrisposta la propria
sincerità, la propria verità, la propria innocenza in una città, in una
vita che le ignorano per seguire le convenzioni richieste dall’ambiente
medio-alto borghese nel quale si colloca la vicenda e al quale l’autore
apparteneva. L’opera sarà un atto di denuncia nei riguardi delle regole,
dei codici di questo, rappresenterà una protesta contro i suoi
conformismi in nome della libertà dell’individuo. Durante quei pochi
giorni che sono il tempo del romanzo e che Holden vivrà soprattutto tra
le strade, le piazze, i locali pubblici di New York, molti saranno i
tentativi da lui compiuti per scambiare, comunicare con gli altri, per
sentirli vicini. Cercherà, ritroverà vecchie amiche, vecchi amici ma li
scoprirà cambiati, diversi dalle sue aspettative. Niente potrà
soddisfare i bisogni della sua anima, i suoi sentimenti, i suoi affetti
e, tuttavia, continuerà egli a sperare anche senza sapere in chi o in
cosa. Soltanto la piccola sorella Phoebe, alla fine, colmerà la sua
solitudine, la sua tristezza e con lei e il rientro a casa l’opera si
concluderà. Solo, deluso, smarrito era rimasto Holden, estraneo
gli era divenuto sia il mondo vicino, la scuola, i compagni, sia quello
lontano, la società, gli adulti. In simili condizioni egli si veniva
formando alla vita e nessuna prospettiva era concessa alle sue
aspirazioni, nessun futuro era assicurato ai suoi ideali. Un allarme è quello lanciato da Salinger col suo
romanzo, un allarme che era già comparso nella letteratura americana
quando, nel 1884, Mark Twain aveva fatto compiere al suo Huck Finn e
allo schiavo Jim quella lunga fuga in zattera nelle acque del
Mississippi per sfuggire ai pericoli della civiltà. Con Salinger, però,
il problema finisce di essere presentato simile ad un sogno, ad una
favola e diviene vero, reale, è riconosciuto come proprio della
modernità, come la grave conseguenza del confronto tra vecchio e nuovo
al quale essa doveva inevitabilmente giungere. Anche uno strumento di
analisi sociale ha ricavato lo scrittore da un romanzo d’iniziazione,
dalle sue situazioni picaresche. Pure dal punto di vista linguistico la tradizione
letteraria americana risulta rinnovata da Salinger poiché quella del
romanzo è la lingua parlata, quotidiana. Dignità letteraria acquista con
esso il linguaggio comune, a volte dialettale. Vero vuole essere lo
scrittore in tutto, nel contenuto e nella forma, da vicino vuole
esprimere un problema che riguarda una vita, una storia che hanno
difficoltà ad accogliere, comprendere quanto di nuovo sta succedendo. Un
realismo quello di Salinger che non trascura di osservare gli umori, i
turbamenti, le inquietudini, le “malinconie” del suo personaggio, tutto
quanto, cioè, fa in modo che la sua ribellione, la sua fuga non si
concludano e rimangano sospese
tra l’idea e la realtà. E insieme ad esse sospesi rimangono pure quanti
nell’Holden si sono riconosciuti e continuano a riconoscersi
dal suo apparire ad oggi. |
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