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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Storia di un confronto

di Antonio Stanca

Dall’editore Manni è stato pubblicato, tempo fa, il romanzo “L’ombra del carrubo” di Giuseppe Santoro di Maglie, in provincia di Lecce. L’autore era già noto per l’attività svolta negli ambienti culturali della provincia salentina e per altre pubblicazioni soprattutto di poesia. Nel romanzo ha svolto il motivo del confronto tra Meridione e Settentrione d’Italia, lo ha rappresentato attraverso le vicende di un personaggio che vive entrambe le realtà, quella povera, rassegnata di un paesino del Sud e quella frenetica di una città come Milano. I tempi risalgono ad anni addietro, metà del secolo scorso e dopo, il personaggio è Gigi, figlio di un contadino meridionale che va a Milano per gli studi universitari e dopo notevoli disagi, materiali e morali, s’inserisce nella vita della metropoli e realizza quanto aveva sempre sognato, scrivere. Diventa collaboratore di un importante quotidiano, poi inviato speciale di questo e, tuttavia, non si sente mai a suo agio, non riesce a liberare la mente dai suoi luoghi d’origine, dalle persone, bambini, ragazzi come lui e adulti come suo padre, che vi hanno fatto parte, dai tanti ricordi che a quei posti sono legati, dalla vita semplice che vi avveniva. Ad aumentare questo disagio gli succederà di separarsi dalla prima moglie dopo aver avuto una bambina, di sposarsi di nuovo ed avere un’altra bambina. Si troverà con due figlie di diversa madre e non si sentirà sicuro circa i modi da usare perché crescano insieme, si capiscano.

I ricordi del passato ed i problemi del presente lo muoveranno a pensare più spesso alla sua terra, al suo paese, alla loro quiete, vorrà ritornare abbandonando anche quanto gli ha fatto realizzare le sue aspirazioni, il giornale e le opere che ha scritto, si sentirà attratto dalla sua vecchia casa, dalla madre rimasta sola dopo la morte del marito e la lontananza degli altri figli. Ma penserà pure che non può abbandonare le due bambine e la seconda moglie. Si scoprirà, così, perennemente inquieto, incerto, e molto abile si rivela il Santoro nel descrivere lo stato d’animo del suo protagonista, nel mostrare come esso si rifletta nelle sue azioni, nel lavoro, nella vita.

Abile è pure l’autore nella prima parte dell’opera quando si sofferma a rappresentare come si vive in quel remoto paesino meridionale dal quale Gigi proviene. Non trascura nessun particolare, sa muoversi con facilità e sicurezza tra la vita nei campi e quella nelle case, nelle strade, nelle piazze, tra le usanze, le credenze, le leggende, le massime e le differenze sociali. Scorrevole riesce il suo linguaggio al punto da coinvolgere il lettore fin dall’inizio anche per la continua scoperta che gli permette di fare circa certi ambienti dei quali, ai nostri giorni, è possibile solo sentir parlare da qualche vecchio testimone. Quella descritta dal Santoro è una vita così semplice, così naturale da accogliere anche la povertà come uno dei suoi aspetti. Tramite Gigi l’autore mette quella condizione a confronto con l’altra della città e la fa vincere su questa, la fa preferire a questa. Verso la sua terra si reca, infatti, Gigi con le figlie piccole a conclusione dell’opera e qui, tra la sua gente, si conclude anche la sua vita.


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