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Schmitt, oltre le regole
di Antonio Stanca
È
stato recentemente ristampato dalle Edizioni E/O di Roma il romanzo
Ulisse da Baghdad dello
scrittore francese Eric-Emmanuel Schmitt, la traduzione è di Alberto
Bracci Testasecca, la versione originale risale al 2008. Schmitt ha cinquantuno anni, è nato nel 1960 a
Sainte-Foy-lès-Lion, ha studiato musica al Conservatorio di Lione e
filosofia all’École Normale Superieure de la rue d’Ulm. Ha insegnato
filosofia all’Università di Chambéry ma il suo interesse principale è
quello di scrivere teatro, romanzi, saggi, d’impegnarsi come operatore
teatrale e cinematografico. Ha esordito nel 1991 nel teatro con
La notte di Valognes, poi nel
1993 è venuta la commedia Il
visitatore che ha avuto molto successo e notevoli riconoscimenti.
Del 1997 è Il libertino, il
suo lavoro teatrale più elaborato, e dal 1998 al 2003 ha scritto per il
teatro il “Ciclo dell’invisibile” che comprende tre opere relative a
temi e problemi delle tre grandi religioni monoteiste. Riduzioni
teatrali hanno avuto suoi romanzi quali
Il Vangelo secondo Pilato del
1995 e film sono stati tratti dalla sua narrativa e dal suo teatro. A
tali riduzioni spesso ha collaborato l’autore. Molto impegnato si è mostrato Schmitt, molto
convinto delle sue idee, dei suoi programmi. Originali sono risultati
questi dal momento che si propongono di sorprendere, di riuscire nuovi,
insoliti pur riguardo ad avvenimenti, personaggi da sempre riconosciuti,
condivisi poiché appartenuti alla storia, alla cultura del passato a
volte remoto. Sorprende, infatti, ne
Il Vangelo secondo Pilato, la
moglie del governatore quando al marito, che ha perso ogni certezza
davanti alla figura misteriosa del Cristo, dice per rincuorarlo:
«Dubitare e credere sono la stessa cosa, Pilato. Solo l’indifferenza è
atea». E sorprende pure, ne Il
libertino, Diderot che all’amico Rousseau dichiara: «Mi fa rabbia
essermi impegolato con questa maledetta filosofia che la mia mente non
può rifiutare di assecondare e il mio cuore di smentire». Con Schmitt molti luoghi comuni finiscono di
essere tali, molte convenzioni finiscono di valere, molte verità
smettono di essere scontate poiché altro scopre l’autore, ad altri,
nuovi pensieri lo conduce l’attento esame che fa degli eventi e dei loro
protagonisti. È questo il tratto distintivo della scrittura di Schmitt
sia narrativa sia teatrale, il tratto che fa riscuotere successo ai suoi
lavori e fa rappresentare il suo teatro in tante città d’Europa. Psicologico ma anche filosofico, religioso è il
genere delle sue opere poiché spesso riprendono, trasformano, rinnovano
quanto della filosofia, della religione ha fatto parte per secoli,
poiché ideali rimangono le nuove verità alle quali pervengono. Così
avviene anche nelle cosiddette favole di Schmitt, in quelle sue
narrazioni, cioè, percorse da visioni improvvise, immagini rivelatrici,
chiare nel contenuto,
facili nel linguaggio. Di esse Schmitt si mostra capace, sicuro, in esse
esibisce una tale ricchezza di mezzi espressivi da lasciare ammirato il
lettore, da tenerlo legato per l’intero percorso dell’opera. Pure
Ulisse da Baghdad può essere
considerata una favola nella quale
lo scrittore narra del giovane Saad che fugge dalla capitale
irachena perché gravissime sono le condizioni della sua famiglia,
pericoloso è l’ambiente anche dopo la caduta di Saddam Hussein, tra la
paura, la violenza, la morte si sta in continuazione, nella povertà,
nella miseria si vive. Saad ha perso la sua ragazza, suo padre ed altri
familiari, non vede nessun futuro e inizia senza soldi e accompagnato
dallo spirito del padre defunto quel viaggio che dovrebbe condurlo a
Londra dove crede, anche per alcune letture fatte da ragazzo, che gli
sarà possibile vivere meglio, realizzarsi ed aiutare la famiglia. Il
viaggio diventerà interminabile: dall’Iraq all’Arabia Saudita,
all’Egitto, alla Libia, alla Sicilia, alla Svizzera, alla Francia,
all’Inghilterra, per terra e per mare dovrà andare Saad e con mezzi di
fortuna, a molti pericoli sarà esposto, privazioni di ogni genere dovrà
sopportare, gravi diventeranno le sue condizioni di salute per la fame,
la sete, il caldo, il freddo, gli spaventi, i dolori, gli sforzi, la
fatica, le veglie e più grave di tutto sarà scoprire Londra diversa da
quella immaginata perché come altri posti essa è in rovina, anche le sue
strade, le sue case, la sua gente sono esposte a continui pericoli. Non
smetterà, tuttavia, di sperare, non rinuncerà a quell’idea di una vita
migliore che lo aveva sostenuto durante il lungo e tormentato viaggio.
Lo farà pur contravvenendo ai ripetuti consigli di quell’ombra paterna
che gli era stata sempre accanto, che nelle circostanze più difficili
gli era comparsa invitandolo a desistere, a rinunciare. Col rapporto tra
Saad e l’ombra, con i pensieri, i discorsi del figlio e quelli del padre
morto Schmitt costruirà la sua favola, dal confronto tra le aspirazioni
del primo e le rinunce del secondo ricaverà un esempio del più antico
confronto tra idea e realtà, da esso assurgerà a nuove rivelazioni, a
nuove verità. Un altro luogo comune lo scrittore aveva rinnovato,
un’altra volta aveva mostrato quanto il pensiero ha raggiunto, quanto è
andato oltre le regole. Ovunque, pure nelle opere meno impegnate, Schmitt vuole sorprendere. E’ la sua maniera! |
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