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L’ultimo Siciliano

di Antonio Stanca

Scrittore, commediografo, critico letterario, di costume, giornalista, Enzo Siciliano è morto nel 2006 a Roma, dove era nato nel 1934, ed ora è uscita, presso Mondadori, l’ultima sua opera, il romanzo “La vita obliqua”. Come in altre narrazioni, racconti o romanzi, la Calabria è di nuovo l’ambiente della vicenda, una Calabria colta nel periodo che seguì la prima guerra mondiale quando, soprattutto nel Sud d’Italia, non era chiaro cosa stesse succedendo a livello sociale, quanto credibili, valide fossero le istanze di tipo socialista, comunista che si diffondevano finché decisa fu l’avanzata del Fascismo e la sua presa di potere. Se ovunque, nella penisola, c’era confusione, disordine, nel Meridione, e in particolare in zone come la Calabria e la Sicilia, la situazione era aggravata dalla permanenza di vecchi modi di vivere, di antichi costumi, tra i quali una clandestinità che si esprimeva nel contrabbando, nella mafia e in altre forme di delinquenza. Questa Calabria, ancora priva di un ambiente sociale, di una condizione umana, di una legge, nei quali fosse possibile a tutti riconoscersi, e dove ancora si viveva di rivalità, di scontri fra gruppi o personaggi di rilievo, è quella rappresentata dal Siciliano dell’ultimo romanzo. E’ un altro momento della storia, della vita calabrese, che tanto hanno ispirato lo scrittore romano nella sua produzione, ma identiche ritornano certe figure e situazioni della Calabria di opere precedenti: la strana, contorta psicologia del giovane meridionale, Saverio, lontano, indifferente a tutto e mosso ad agire solo in vista di una posizione nel suo ambiente, l’inquietudine, il dramma dell’intellettuale, Gabriele, diviso tra gli ideali ai quali si è formato e che ancora persegue e le necessità immediate che lo soverchiano fino a rovinarlo. Accanto al suo travaglio interiore, al confronto tra Saverio e Gabriele, Siciliano ripropone la contraddizione tra l’importanza attribuita all’opinione pubblica, al “giudizio della gente” e l’irrompere improvviso, imprevisto, in un contesto così regolato, della violenza, della morte. Questo e gli altri contrasti di un posto simile lo scrittore vuole rappresentare mentre avvengono, come avvengono, vuole essere autentico, vero, naturale e, perciò, ricorre frequentemente all’uso della lingua del luogo, si sofferma sul suo paesaggio, sui suoi usi. Vuole riuscire completo, totale. Siciliano non è soltanto lo scrittore ispirato ma anche l’intellettuale impegnato a denunciare certe situazioni, certi problemi dell’individuo e della società. La Calabria delle sue narrazioni non è solo il luogo dell’anima ma anche quello della mente, nelle rappresentazioni di essa accanto ad argomenti specifici rientrano altri più estesi. Tramite Gabriele, il professore de “La vita obliqua”, Siciliano ritorna su un tema che è suo ma pure diffuso, quello del difficile rapporto tra la cultura e la realtà, ripete la sua convinzione che non si debba, da parte dell’intellettuale, rinunciare a confrontarsi con l’esterno scegliendo d’isolarsi, di rimanere lontano da ciò che avviene.

E’ stato un problema molto dibattuto nei nostri ambienti culturali ed artistici del secolo scorso, lo si è affrontato fin quando non è finita l’attività di riviste specializzate che di esso trattavano, finché non s’è parlato più di correnti letterarie ma solo di autori, dei loro casi e la televisione ha assorbito e ridotto a sé, ai suoi bisogni, al suo pubblico, anche temi così impegnati. Siciliano, tuttavia, non smetterà mai di credere nell’azione che la cultura deve svolgere per il sociale, nei modi, nei mezzi che l’intellettuale deve usare per giungere a tutti, per fare opera di comunicazione ed educazione. Quest’ultimo romanzo, i suoi contenuti sociali e individuali, sono la prova indiscussa di tale aspirazione dell’autore, dimostrano che niente era cambiato nel Siciliano della maturità rispetto a quello della formazione e al giovane comparso nella nostra scena culturale intorno agli anni Settanta all’ombra di autori già affermati quali Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante. Delle “serate romane” di questi egli aveva sempre partecipato, era stato mediatore tra loro e tra altri artisti, insieme avevano preparato, realizzato la pubblicazione e diffusione di riviste letterarie ed altri periodici, aveva combinato la sua attività d’insegnante con quella di promotore, animatore culturale, aveva cominciato a scrivere racconti, romanzi, commedie dove c’erano, fin dall’inizio, i temi che saranno suoi di sempre e che si collegheranno con le convinzioni, le aspirazioni, le attività dell’uomo Siciliano. Neanche la televisione, l’editoria, il cinema gli erano rimasti estranei in tale continua ricerca di dialogo con l’esterno, con gli altri, con la vita. Sarà questo bisogno a farlo rimanere spesso sospeso, nelle sue opere, tra i toni del romanzo e quelli del saggio, l’evasione e la partecipazione, il sogno e la verità, l’autore e l’uomo.

L’eterno problema del rapporto tra realtà e idea aveva trovato in Siciliano un interprete instancabile che le aveva messe in relazione perché le riteneva elementi, aspetti necessari della vita. Con Siciliano si è spento un messaggio di fondamentale importanza soprattutto per gli sviluppi futuri che avrebbe potuto raggiungere.


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