La poesia della vita
(Conquista o perdita?)
di Antonio Stanca
Nato
a Belgrado nel 1938, dal 1953 emigrato negli Stati Uniti e qui docente
di Letteratura inglese presso l’Università del New Hamsphire,
Charles Simic ha tradotto in inglese molti poeti dell’Est europeo ed
ora ha pubblicato una sua raccolta di poesie "Hotel
insonnia". Questa viene dopo altre opere in versi quali "What
the Grass Says" (1967) e "Prose Poems" (1990, Premio
Pulitzer). In italiano è stata tradotta e curata da Andrea Molesini
per conto della casa editrice Adelphi. Le parti che la compongono
risalgono a fasi precedenti dell’attività lirica dell’autore:
sono componimenti scelti tra quanti scritti dai primi anni ’70 alla
fine degli anni ’90. I tempi diversi non hanno, tuttavia, modificato
i modi di una poesia che, pur in un linguaggio semplice, in una
costruzione elementare, si presenta insolita nei passaggi,
imprevedibile negli accostamenti ed effetti ("…giacevano
stretti come i poveri nel letto/e io ero il capitano dentro il nido
del corvo…"; "…un incredibile mondo multiforme/che
accerchia da ogni lato/la tua severa presenza,/mozzicone di matita
rossa…"; "…e tutta quell’eternità disseminata intorno….";
"…ma Euclide su questo tacque…"; "…la Regina
Insonnia/sorseggiava il tè nel salotto…"). Come la forma anche
il contenuto ha una vita propria ché entrambi provengono da un autore
perennemente sospeso tra realtà e immaginazione, evidenza ed
evanescenza. E’ la condizione d’immigrato, di estraneo ai luoghi
che vive a far recuperare e raffigurare, a Simic poeta, quanto di
remoto esiste nei suoi pensieri ed a farglielo combinare con le
esperienze più vicine. Ogni circostanza gli procura immagini,
visioni, lo fa evadere verso situazioni lontane nello spazio e nel
tempo, risalenti alla sua prima vita, agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza
in Serbia. Come l’uomo e la sua vita così il poeta e i suoi versi
sono composti di elementi non ancora amalgamati, combinati perché
discordanti, contrastanti, stridenti ad ogni tentativo di contatto. La
realtà di Simic è una continua prova di composizione che egli, nei
versi, registra fedelmente. Il poeta è il nuovo abitante di una terra
nuova dove niente ancora gli è familiare o definitivo ed intanto
premono in lui ricordi (volti, ambienti, oggetti, pensieri,parole,
azioni) diversi da quel che vede o sente o tocca o pensa o dice o fa.
Non intende, tuttavia, trascendere entrambe le realtà per un’altra
superiore o diversa perché vuole essere il poeta della vita anche se
non sa di quale. Vuole dire, in poesia, della quotidianità, aderire
alle cose ma queste gli sfuggono, non gli appartengono perché non sue
d’origine né gli appartengono le altre che improvvisamente e per
poco giungono dal passato ad interrompere la sua visione, a
richiamarlo da lontano impedendogli di sentirsi collocato in maniera
stabile. Una condizione di straniamento, quella di Simic, destinata a
durare in eterno, a renderlo partecipe di più situazioni, fargli
vedere più cose, sentire più voci e non permettergli mai riferimenti
sicuri, unici. Multipla è la realtà del poeta perché vive della sua
stessa vita, si adegua ai suoi pensieri, diventa sua nel modo da lui
voluto. Scompare, in Simic, ogni aspirazione trascendente, sublimante,
eroica in nome di una condizione soltanto umana, terrena: sulla terra
vive il suo uomo, di essa ha fatto il suo centro, ad essa riporta
passato, presente e futuro.
Anche se tramite una serie di negazioni Simic
giunge a valorizzare l’esistente, il vero, il concreto nella vita
dell’uomo senza che si riesca a capire se questa per lui sia una
scoperta, una conquista, un messaggio ai quali perviene e nei quali
configura le proprie aspirazioni oppure una rinuncia, una perdita, una
riduzione di quanto perseguito. Non c’è mai possibilità, in questo
autore, di avvalersi di certezze chè tutto, mezzi e fini, forma e
contenuto, rimangono indefiniti, imprecisati: il suo è lo stato dell’insonne,
di chi è da tanto tempo sveglio da non distinguere più i contorni di
quanto gli si offre allo sguardo, da attribuirli a presenze diverse
dalle reali, inesistenti, da non avere chiara la coscienza se tale
condizione è per lui voluta o dovuta. |