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Tagore o della vita infinita di Antonio Stanca
Nobel per la letteratura nel 1913, non ha distinto nel suo impegno ma soprattutto in poesia si è espressa la sua ricca vitalità, la sua tensione, la sua necessità di dire dell’anima. Nei versi gli è riuscito meglio mostrarla estesa, diffusa in ogni parte del creato, la poesia è stata la maniera più congeniale per chi cercava dappertutto, nelle piante, nelle acque, nelle nuvole, nel vento, in ogni elemento della natura, il segno di un pensiero, di un sentimento, per chi voleva rappresentare l’esistenza come unica, totale, comprensiva di realtà e idea, umano e divino. La raccolta ora pubblicata contiene componimenti tratti da “La barca d’oro” (1894), “Bambino” (1903), “Canti di offerta” (1910), “Il Giardiniere” (1912), “Stormi nel cielo” (1916), “Petali sulle ceneri” (1917), “Raccolta di canti della fuggitiva” (1920), “Scintille” (1945), “Ali della morte” (1960). E’ tutta la sua vita ad essere percorsa da questa antologia. Con essa si ha la possibilità di osservare il Tagore poeta prima e dopo e notare come già dall’inizio siano presenti quei motivi che ritorneranno sempre, l’amore, la gioia di partecipare di una vita immensa, vissuta da tutto l’universo e che neanche la morte può annullare poiché non la fine ma solo un passaggio essa rappresenta. Tagore poeta, con le sue strofe e versi di varia misura, riesce meglio, incide di più, la lirica è la sua condizione migliore dal momento che gli permette di entrare in comunicazione con quella poesia che egli crede sia propria della vita, di dar voce a questa ed assurgere così alla sua dimensione universale, eterna. Egli tradurrà, musicherà molti suoi versi al fine di estendere quanto gli proveniva dalla voce della vita, farlo giungere presso altra gente, collegare la sua con altre culture. Dirà spesso, nei componimenti, di sentirsi come un viaggiatore senza meta e senza posa, alla ricerca dei luoghi, dei momenti che più degli altri favoriscono quelle emozioni, quelle sensazioni che fanno ritrovare vicine, unite persone diverse e lontane, permettono loro di vivere di una sola anima, di comporre un’unica armonia. Di questa immensità dice la poesia di Tagore, di un’infinita umanità si sente egli partecipe, di tutte le vite vive la sua. Si può dire come di un inno all’amore totale, alla vita totale, ad un amore, ad una vita che comprendono e annullano ogni limite sia pure quello della morte. Di una filosofia, di una religione si può parlare nel caso di Tagore e vederne la provenienza in quella cultura indiana formatasi sulla prosa e sui versi delle antiche Upanisad e inneggiante ad una condizione di vita ove non sia possibile distinguere tra la sfera individuale e quella universale e panteistica sia l’atmosfera diffusa. Notevole è il rilievo che acquista una simile espressione poetica, il suo contenuto, se si pensa che nello stesso tempo in Occidente, e specie in Europa, ci si perdeva, in ambito culturale, tra infiniti esercizi di stile. Era il momento delle avanguardie artistiche e quello per la forma sembrava diventato l’unico interesse. Ed erano pure gli anni della prima guerra mondiale e quelli che ne erano seguiti e preludevano alla seconda: due paesaggi di morte facevano da sfondo ad un messaggio di vita! |
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