In televisione come nella vita
di Antonio Stanca
Non
dal serio al faceto come comunemente si dice di fronte ad un passaggio
improvviso, un repentino cambiamento di scena ma dal tragico al comico
viene da dire oggi di fronte ai programmi televisivi che passano
dall’informazione su gravissimi fatti di cronaca se non di guerra a
trasmissioni disimpegnate. Queste costituiscono la maggior parte degli
spettacoli e vanno dai tanti film spesso noti, lunghissime telenovele,
inesauribili quiz, straripante pubblicità, a lezioni di arte culinaria,
musica, canto, cartoni animati fino al dilagante erotismo notturno. A
tutto ciò che può incuriosire e soprattutto piacere la televisione
dedica i suoi spazi maggiori ed i minori a ciò che può allarmare come
incidenti stradali, violenza privata e pubblica, gravissimi illeciti,
terrorismo, guerra. Sembrerebbe che essa voglia distrarre, con tali e
tanti programmi, da quanto di grave avviene nel mondo, che voglia tenere
lontano il male che ai nostri giorni procede come mai era successo.
Invece avviene così perché la televisione attuale, a differenza di
quella di un passato non molto lontano, trascura i programmi che
richiedono capacità, impegno per chi li realizza e attenzione per chi li
segue. Come in altre parti anche in televisione c’è stato uno
scadimento, una svalutazione senza precedenti e senza possibilità di
recupero. Come nella vita non si perseguono più ideali, non si ambisce
a correggere, cambiare, migliorare perché ci si sente arrivati, compiuti
pur se determinati dall’esterno, dalle regole del consumo, da richieste
contingenti, bisogni immediati, così in televisione si è rinunciato ai
valori perseguiti in passato, ai propositi d’istruire le masse, maturare
la loro coscienza, si è smesso di distinguersi tra i mezzi di
comunicazione anche perché si sono aggiunti tanti altri che si è reso
necessario concorrere con loro e sullo stesso terreno, trasmettendo,
cioè, non quanto vale o forma o eleva ma quanto incuriosisce e diverte.
Senza che sia possibile stabilire con precisione a chi attribuire le
responsabilità del fenomeno si è giunti ad una televisione tanto
adattata alla nuova condizione individuale e sociale da accogliere tutto
di questa, rifletterlo ed offrirlo a spettatori che non hanno
particolari esigenze, sono soddisfatti della situazione, la ritengono la
migliore tale è la loro mediocrità.
Tra tanta
superficialità piombano, in televisione, come fulmini a ciel sereno,
simili a squarci improvvisi, notizie tra le più terrificanti relative a
persone, ambienti vicini o lontani, italiani o stranieri. Ma appena
finiti questi tristi annunci si torna alla pubblicità, a giocare con i
quiz, alle telenovele, a divertirsi, a ridere. Quella tragica è stata
una breve pausa che è risultata ridotta, nella sua gravità, da quanto
l’ha preceduta e seguita. Sia nella vita sia in televisione la rovina,
la crisi convivono accanto alla vanità, all’esibizione, sopraffatte da
queste e incapaci di avviare un processo di revisione, un’azione di
recupero. Quando tutto procede in un senso non c’è tempo né luogo né
modo per altri sensi, quando si è convinti di vivere una diffusa
positività, lontana, marginale appare ogni negatività. |