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Una storia di "vinti"
Ultimamente da Einaudi è stato pubblicato "Il fratello perduto" (93 pagine, 18.000 lire), primo romanzo comparso in Italia di Hans – Ulrich Treichel, docente di Letteratura tedesca presso l’Università di Lipsia e già autore di prose e poesie. La traduzione è stata di Silvia Bortoli e l’opera avrebbe riproposto, secondo la critica più immediata, quel filone della narrativa tedesca del dopoguerra cui appartengono autori quali Borchert, Bö ll, Grass ed altri. Temi in esso ricorrenti sono stati il disagio materiale e morale di alcune classi sociali o di particolari condizioni individuali per le gravi conseguenze del conflitto, la ripresa economica perseguita isolatamente o in gruppo di là da ogni scrupolo morale e a scapito dei meno arditi o meno spregiudicati, la conseguente frattura tra ricchi e poveri, la condizione femminile privata di ogni riferimento e alla ricerca di una propria collocazione tra il dilagare dell’ipocrisia e del conformismo. Questi ed altri aspetti contraddittori ed inquietanti della società tedesca postbellica hanno fornito motivo di denuncia e protesta alle opere di tanti scrittori fino a far parlare di una moderna tradizione letteraria tedesca in prosa. In tale contesto andrebbe inserito il Treichel di questo breve romanzo ché la famiglia qui presentata mostra nei suoi componenti, padre, madre, figlio, tre situazioni umane reduci dalla guerra ed a questa ancora legate da difficili e tristi conseguenze. Il padre e la madre, sul finire del conflitto, erano fuggiti dall’Est verso l’Ovest incalzati dai soldati russi e lei, nella fuga, aveva lasciato, con gesto precipitoso e disperato, un figlio infante, il primogenito Arnold, tra le braccia di una donna sconosciuta per salvarlo dall’incombente pericolo di una strage. In quelle gravi circostanze era stata anche violentata dai militari ed ora la sua vita si svolgeva nell’incessante e tormentato riapparire di quei ricordi che, oltre a scuoterla nella mente, lo facevano a volte anche nel corpo. Lui, il padre, originario di Rakowiec e destinato a fare il contadino era riuscito non solo a rifarsi due volte della perdita della casa e della fattoria ma anche a cambiare il suo destino. Giunto, infatti, nella Vestfalia occidentale aveva saputo rimediare ancora una volta ai danni subiti dalla guerra, aveva avviato un commercio all’ingrosso di carni, possedeva una grande e bella casa, assicurava un tenore di vita abbastanza elevato alla moglie e al figlio minore che era con loro. Di questo, però, non si curava molto poiché preso dagli affari che vedeva procedere favorevolmente ed aspirando a consolidarli ed estenderli sempre più. Neanche la madre prestava particolare attenzione al piccolo essendo ossessionata dal ricordo dell’altro figlio perso durante la fuga dall’Est e della violenza subita. Il bambino, pertanto, si vedeva condannato ad una vita da escluso, constatava ad ogni istante che non c’era posto per lui, per i suoi bisogni materiali e spirituali tra l’attività frenetica del padre e i turbamenti della madre. E’ questo il motivo che percorre l’intera narrazione e che si evidenzia maggiormente quando il Servizio ricerche della Croce Rossa comunica alla famiglia di aver individuato nel trovatello 2307 il ragazzo che, con molta probabilità, corrisponde all’Arnold perduto. Da quel momento lo spazio, il tempo, l’interesse per il figlio più piccolo si ridurranno ancora poiché assorbiti dal complicato movimento di indagini, prove tecniche, perizie, esami, confronti avviato per accertare il rapporto di figliolanza con il trovatello e continuato fino alla fine del romanzo senza, tuttavia, conseguire esiti indiscutibilmente certi. Si stabilirà, intanto, un clima d’attesa che nuocerà ancor più al piccolo di casa poiché lo farà continuamente pensare ad un’improvvisa comparsa di Arnold ed alla conseguente fine di ogni attenzione nei suoi riguardi. Giungerà ad odiare Arnold, a pensarlo e volerlo morto ed a concepire tanti altri cattivi pensieri come poteva succedere nella sua singolare condizione in quella famiglia. Un romanzo psicologico, quindi, d’atmosfere interiori, un racconto di stati d’animo, umori, sentimenti, pensieri ora segreti ora manifesti, un’opera che, pur inserendosi, per l’ambientazione, nella suddetta moderna tradizione narrativa tedesca, se ne distacca perché priva dei contorni ben definiti presenti in molti prodotti di essa e più vicina al genere narrativo postmoderno dove ci si muove in una condizione spesso indistinta, indeterminata, sospesa quale, appunto, gli interminabili e imprevedibili risvolti dell’animo umano possono creare. Si spiegano in tal modo così nella narrazione del Treichel, che peraltro presenta una forma quanto mai lineare e scorrevole nonostante le ripetizioni di parole e concetti, certe stranezze quali l’improvviso scadere, dopo la morte del padre, dell’interesse della madre per il figlio perduto, la sorprendente capacità della donna di sostituire il marito negli impegni commerciali pur essendo vissuta per anni tra ricordi e crisi depressive, la rinuncia di lei a risolvere il caso quando il processo d’identificazione sembrava potesse concludersi, l’attenzione nei riguardi del suo agente di polizia una volta rimasta vedova. Se nella prima parte del romanzo era stata la figura invisibile di Arnold a campeggiare riflettendosi in maniera diversa nei protagonisti, nella seconda sono gli strani comportamenti della madre ad evidenziarsi e sorprendere il lettore giacché impediscono una qualsiasi soluzione della vicenda e lasciano questa e l’opera che la esprime definitivamente sospese. Della situazione di Arnold, di quella della madre e della morte del padre, che non aveva retto all’ultimo dissesto economico, sarà, tuttavia, sempre il più piccolo a fare le spese e il racconto delle sue afflizioni, s’è detto, occuperà interamente il libro al punto da poter indicare in esso il percorso di lettura più coerente per un’opera altrimenti confusa nei suoi significati. E non solo coerenza e chiarezza acquisterebbe il romanzo se visto in tal modo, cioè come la storia di una sconfitta morale, come un ulteriore esempio di questa, come il riflesso, pur nel breve giro di una famiglia, dei soprusi perpetrati e attuati nella società ai danni dei più deboli, ma supererebbe anche i confini della vicenda presentata, finirebbe di appartenere ad una tradizione o corrente letteraria ben precisata ed assurgerebbe al valore più esteso di messaggio universale perché soprattutto umano. Antonio Stanca Espresso Sud – Ottobre 2000 |
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