I
“casi” dell’anima
(Tempi di crisi)
di
Antonio Stanca
Basta
un richiamo ai principi dell’onestà, della dignità, della giustizia, ai
valori del sentimento, dello spirito per attirare l’attenzione di molto
pubblico, per scoprire come essi siano sentiti anche quando non lo si
pensava. Ci si riferisce al recente fenomeno comportato dallo
sceneggiato televisivo “Orgoglio” tratto da un soggetto della scrittrice
sessantaquattrenne Maria Venturi, fiorentina di nascita, bresciana
d’adozione. Trasmesso a puntate, fin dall’inizio ha suscitato molta
attenzione poiché ha offerto al pubblico una possibilità diversa dai
soliti programmi televisivi ormai prodotti in serie, ha permesso a molti
di vivere altre situazioni ed emozioni. Quelle dei personaggi-interpreti
dell’opera di una scrittrice che ha fatto e continua a fare delle storie
d’amore, delle vicende sentimentali i suoi temi preferiti. Ma se di
amore e sentimento si scrive nei libri si rimane appena conosciuti
poiché difficile e quasi impossibile è divenuta la lettura in un
contesto come il contemporaneo dove le condizioni di vita si sono
allontanate moltissimo da quelle richieste da tale attività, dallo stato
d’animo per essa necessario e questo anche presso fasce d’età ed in
ambienti dove la lettura è sempre stata un elemento determinante.
Trasformata in immagini una storia d’amore, una contesa a lungo
protrattasi tra virtù e vizio, verità e menzogna, bene e male e
risoltasi positivamente, si registra un notevole aumento degli indici
d’ascolto. Così pure in un periodo come il nostro quando i costumi
individuali e collettivi sono degenerati al punto da far pensare che in
ambito pubblico e privato non sia più possibile riferirsi a regole,
principi di carattere morale. Diffusa è, oggi, la convinzione di vivere
una crisi di valori senza precedenti nella storia dell’umanità ma quanto
successo con “Orgoglio” muove a riflettere sui veri responsabili di
essa: l’ambiente o l’uomo, il sistema o l’individuo?
Se basta poco per
riattivare presso tanto pubblico l’azione dello spirito, perché venga
recuperato quanto sembrava definitivamente perduto, si può dedurre che
le maggiori responsabilità della crisi vanno attribuite al sistema, ai
processi di evoluzione che necessariamente si sono verificati nella
storia dell’uomo, della sua cultura, della sua vita. Preso in ingranaggi
che lo superavano egli non ha potuto che adattarvisi e perdere, insieme
ad essi, ogni rapporto o fine diverso da quello richiesto da una società
divenuta “delle macchine”. Non ha, tuttavia, esaurito completamente la
sua autenticità ed è sufficiente una circostanza pur minima perché la
ritrovi. Si potrebbe, quindi, pensare di aumentare ed estendere tali
circostanze, di perseguirle come programma onde far riscoprire, tramite
esse, i valori perduti. Ma il pensiero che predominanti sono oggi gli
interessi, gli impegni di carattere materiale, concreto, immediato,
induce a considerare limitati il tempo, lo spazio, l’ambiente necessari
per tali recuperi e rivalutazioni e ad accontentarsi di quanto le
circostanze, il caso, come questo della fiction, ad essi riservano. |