Ai vecchi tempi
di Antonio Stanca
Una
serie di brevi racconti contiene il libro di Totò Vergari “Il tempo
degli ‘aea’” (Spaccati di vita leccese), recentemente comparso nelle
Edizioni Pensa Multimedia ed ampiamente presentato dal prof. Ennio Bonea.
L’autore, leccese, quando era rientrato nei suoi luoghi d’origine dopo
un’assenza ventennale, iniziata intorno agli anni ’60, aveva ritrovato
la sua terra e la sua gente completamente cambiate rispetto a quelle
lasciate. Aveva, tuttavia, ripreso a collaborare con giornali e riviste
come prima di andar via ed ora, in pensione, è tornato a frugare tra le
sue “carte”. Ha scoperto “alcuni bozzetti in vernacolo” composti prima
di partire dal Sud e riferiti a situazioni, luoghi, eventi, personaggi
degli anni tra i ’30 ed i ’60 da lui trascorsi interamente a Lecce, ha
ripensato ad essi fino a proporsi di ricostruirli aggiungendo ai
componimenti in versi altre parti in prosa perché ne risultasse un
quadro più completo, una rappresentazione più ampia e più chiara di come
allora si viveva nella sua città. Ne è venuto “Il tempo degli ‘aea’ ”,
composto in uno stile così semplice e scorrevole da catturare il lettore
fin dall’inizio anche per la particolarità di quanto scritto: conosciuti
i primi argomenti si diventa subito curiosi di conoscere altri tanto
essi attraggono per la loro naturalezza. Una serie d’immagini immediate
sono i racconti del Vergari, un seguito di scene rese con un linguaggio
così aderente da risultare animate, vere fin nei rumori, negli odori che
le hanno composte. Si riferiscono al “tempo degli ‘aea’ ”, che era il
grido col quale i ragazzi, a Lecce, si richiamavano, si ritrovavano, si
capivano, si riconoscevano. Esso finì col rappresentare chi lo usava,
col permettere, a quei ragazzi, d’identificarvisi. Tra loro c’era pure
l’autore ed i tempi erano quelli di poco precedenti la seconda,
terribile, lunga guerra mondiale fino a quelli che la seguirono, quando
si cercava di ricostruire quanto era stato distrutto. Anni tristi perché
fatti di povertà, miseria, privazioni d’ ogni genere, durante i quali i
ragazzi di umile famiglia, oltre che a casa ed a scuola, trascorrevano
il loro tempo per strada a giocare nei giochi più diversi, ad inventarne
altri, a parlare, pensare, cercare quanto la loro età chiedeva e non
c’era persona o ambiente che potesse procurare. Sono questi gli “aea”,
dei quali tratta, e a lungo, il libro del Vergari, sono i “ragazzi di
strada” della vecchia Lecce e tra essi l’autore s’inserisce mentre dice
cosa facevano, come vivevano senza trascurare i vizi ai quali si
concedevano, le insubordinazioni, le malefatte che commettevano. Nel
loro comportamento si esprimevano non solo i bisogni naturali dell’età,
l’esuberanza del corpo e della mente, ma anche i problemi provenienti
dalla loro vita, dalle ristrettezze sofferte per la condizione sociale e
per la guerra. Leggendo non si finisce mai di sapere di quei ragazzi, di
quei tempi e di quanto altro, persone e cose, vi ha fatto parte.
Un ricordo così esteso
e continuato del passato avvince, appassiona soprattutto chi quel
periodo ha vissuto anche se in luoghi diversi ed in altre maniere. Una
lettura simile gli fa recuperare quanto sembrava perduto, gli offre la
possibilità di ripensare a ciò che è accaduto, riprovare i vecchi
sentimenti, ritrovare la propria vita e valutare quanto è cambiata
quella attuale, quanto era più vera, più autentica perché più spontanea
quella di allora. Anche per questa enorme differenza il passato è
considerato oggi un tempo, un mondo finito per sempre mentre Vergari
riesce, nel libro, a farlo rivivere nei suoi ambienti, riascoltare nelle
sue voci, risentire nel suo spirito. |