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Viki che voleva andare a scuola

di Arturo Ghinelli

"Il mio nome è segreto, ma le vedete quelle stelle, là in fondo, sull’orizzonte?’"
"Sì" risponde Viki.
"Ecco, io con questa barca vi porterò proprio lì in fondo, su un altro pianeta".
C’è un momento di silenzio. "Mamma?" chiede dopo un po’.
"Ma allora l’Italia è dopo le stelle?"

Con questa immagine fantastica, fornitagli dallo scafista, Viki riesce a superare i momenti terribili della traversata che lo porta dall’Albania in Italia a rivedere il papà.

Il papà è venuto in Italia a guadagnare, perché alla televisione, sui programmi italiani, ha visto che i gatti mangiano nei piatti d’argento. "Se lì in Italia i gatti sono serviti e riveriti, credi che un uomo resti senza cena?"

Inizia così l’avventura vera che Fabrizio Gatti, giornalista del Corriere, ha scritto in un bel libro per ragazzi che la Fabbri ha presentato all’ultima Fiera di Bologna (Fabrizio Gatti, Viki che voleva andare a scuola, La storia vera di un bambino albanese, pref. Gian Antonio Stella, Fabbri Editori).

Mancava, nella pur numerosa produzione italiana per ragazzi, un libro che raccontasse la storia vera di un piccolo emigrante nell’Italia di Bossi. Gatti si è sforzato di raccontarla dal punto di vista di un bambino, di abbassare la telecamera a poco più di un metro, in modo da facilitare l’ingresso nella storia del piccolo lettore italiano.

Naturalmente Viki si accorgerà presto che in Italia i gatti sono serviti meglio degli albanesi. Specialmente quando andrà a vivere nella baracca che il papà e lo zio hanno costruito alla periferia di Milano e ancor di più quando dovrà scappare anche da quella per un’incursione notturna della polizia in cerca di clandestini, gettandosi nell’acqua delle fognature che passano lì vicino.

In questa gelida Italia c’è un posto caldo, perché provvisto di termosifoni: è la scuola. L’accoglienza del primo giorno ricorda quella per il ragazzo di Calabria, che il Direttore porta nella classe del libro Cuore. Tutti vogliono guardarlo da vicino e toccarlo.

All’uscita confessa: "Mamma. Io…ho paura di non farcela. Io non capisco niente di quello che dicono le maestre. E i bambini italiani parlano così in fretta che non riesco a capire nemmeno le parole più facili".
"Ma tesoro è solo il primo giorno".
"Io ho paura, mamma. Qui non posso farmi nuovi amici, in classe sono tutti italiani, tranne uno. Hanno tutti una casa. Non c’è nessuno con cui parlare o giocare. Anche nell’intervallo sono rimasto solo. Ho raccolto bastoncini in giardino".

Naturalmente, superato l’handicap della lingua, Viki scoprirà che a scuola si può trovare il calore dell’amicizia e non solo quella del termosifone. Le maestre lo accoglieranno anche se, per la legge italiana, si tratta di un clandestino. Infatti nell’epilogo Viki dice: "Ora frequento la scuola media. Non ho ancora capito se possiamo chiamarci europei o soltanto stranieri. Ho scoperto però che in Europa non sempre giustizia e legalità coincidono: perché non sempre ciò che è legale è anche giusto, così come è stato per noi."

Le maestre del vero Viki non hanno partecipato alla presentazione del libro perché non sono più insegnanti, erano entrambe precarie e sono state "tagliate".


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