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Voci
della scuola - V Nel V volume della collana “IDEE e PROPOSTE per l’autonomia e la formazione” a cura di Giancarlo Cerini - Mariella Spinosi (Napoli, dicembre 2005) si possono evidenziare due argomenti particolarmente interessanti e significativi, legati dall’avverbio out ovvero fuori: il burnout* degli insegnanti e il drop out degli studenti. Due tematiche parallele, che andrebbero ormai definitivamente affrontate assieme visto che sia la terminologia usata sia la letteratura internazionale ci indicano gli esiti di entrambi: restare inesorabilmente “fuori”. Da segnalare la necessaria apertura ad interventi di esperti non strettamente legati all’Istituzione Scuola, provenienti dalla Sanità e dal mondo scientifico della ricerca medica. In particolare il capitolo dello specialista “medico del lavoro” Vittorio Lodolo D’Oria sul cosiddetto burnout, la “bruciatura” professionale cui risulta maggiormente esposta la categoria dei docenti di ogni ordine e grado, come da recente pubblicazione sulla rivista La Medicina del Lavoro n°5/2004 intitolata “Quale rischio di patologia psichiatrica per la categoria professionale degli insegnanti”. Esperto di fama internazionale per quanto riguarda la ricerca sul disagio mentale professionale (DMP), è stato consulente del Ministero per la stesura del rapporto sulla salute degli insegnati italiani del progetto OCSE 2002/2004 sul tema “Attracting, developing and retaining effective teachers” (“Motivare trattenere incentivare gli insegnati”). Recentemente anche il MIUR gli ha riconosciuto la facoltà di formazione a tutti i livelli: dall’indispensabile azione di prevenzione all’affronto corretto, sistematico e metodico del docente in condizione di evidente stato di psicopatia, come risulta dai “casi” ben descritti nel suo dossier edito da Armando (Roma, aprile 2005) Scuola di follia e presentato da ben due nomi illustri, l’ex ministro MIUR Tullio De Mauro e il neuropsichiatria Giovanni Bollea. In questa nuova edizione, il capitolo stesso ne riporta una significativa sintesi. In particolare vale la pena di citarne uno stralcio che indurrà tutti a riflettere circa l’urgenza di efficaci e serie azioni di prevenzione del suddetto rischio di logoramento e/o usura mentale, della gestione dello stress quotidiano e del clima di lavoro in cui “normalmente” si immergono sia gli inconsapevoli docenti sia i loro i impreparati dirigenti. Questi ultimi, tuttora ignari della tematica del disagio mentale professionale, dovrebbero essere i garanti del benessere lavorativo all’interno dell’ambiente scolastico e non solo a livello di strutture, come la legge 626/94, in vigore attualmente, indica in modo inequivocabile. *la sindrome del burnout (letteralmente scoppiato/bruciato ma anche flambè) è caratterizzata da affaticamento fisico ed emotivo, da un atteggiamento distaccato e apatico nelle relazioni con altre persone, da un sentimento di frustrazione. Dal capitolo di Lodolo D’Oria: “Mentre non si evidenziano differenze significative di patologia psichiatrica tra docenti di scuola materna, elementare, media e superiore, a discapito dei docenti si rileva anche un rischio oncologico superiore di 1.5-2 volte rispetto ad operai e impiegati, lasciando supporre che ciò sia dovuto ad immunodepressione conseguente all’esaurimento psicofisico. Già nel lontano 1979, secondo uno studio effettuato dalla CISL assieme all’Università di Pavia, emerse il dato allarmante che il 30% degli insegnanti dell’area milanese faceva ricorso agli psicofarmaci[1]. Infine, secondo un recente studio svolto nella città di Torino, il disagio mentale appare direttamente correlato all’anzianità di servizio.” Fa seguito, solo per motivi alfabetici naturalmente, l’interessante capitolo sul fenomeno dell’abbandono scolastico precoce o drop out a cura del famoso “maestro di strada” e Coordinatore del Progetto “Chance”: scuola della seconda occasione di Napoli, Marco Rossi Doria. Questi, nella sua bella città partenopea, si adopera efficacemente per prevenire ed arginare la pericolosa ferita della scuola italiana e internazionale. La già nota piaga della dispersione scolastica è da anni oggetto di serie analisi, confronti serrati e innumerevoli azioni preventivo/contenitive locali nelle varie realtà urbane e non solo: essa genera esclusione sociale e rimanda al sempre più difficile problema del ri-orientamento di numerosi ragazzi provenienti da ambienti sociali non sempre depressi e privi di stimoli culturali, come ci si potrebbe attendere. All’interno del capitolo stesso, il paragrafo intitolato “Sintomo di malessere educativo” sollecita tuttavia ad una visione più ampia del crescente disagio scolastico, analizzato già parecchi anni or sono in un testo in lingua originale, che attualmente andrebbe invece tradotto e studiato. Il drop out di sempre più numerosi studenti, come affermano gli illustri sociologi anglosassoni Le Compte e Dworkin nel loro libro “Giving up on school” (letteralmente saltar fuori dalla scuola ma più verosimilmente traducibile con abbandonare la scuola) edito nel lontano 1991, dovrà quindi essere monitorato, analizzato e affrontato come l'altra faccia della medaglia del burnout degl'insegnanti e non più separatamente da esso, poiché comporta lo stesso esito: “fuggire dalla scuola” appunto! Dal IV di copertina del succitato testo “Abbandonare la scuola” Studenti dispersi e insegnanti bruciati. Gli studenti non sono solo dispersi essi sono anche scaricati. Gli insegnanti non hanno solo abbandonato la scuola, essi hanno perso. Ciascun gruppo può attribuire responsabilità(incolpare l’altro)ma essi scappano dagli stessi problemi, non dall’altro. Entrambi sono vittime del processo di alienazione che prevale nella scuola ed è coltivato da condizioni dentro la scuola, la comunità, la società in generale. Il numero degli ex studenti e degli ex insegnanti è imponente, ma anche e persino più grande il numero che resta dietro, scordato, bruciato, si sente senza aiuto e intrappolato dentro al sistema. Essi si vedono incapaci e privi di forze(energie/potere) per migliorare la loro condizione. In primo luogo gli insegnanti possono pensare di diminuire la quantità di “frustrazioni incurabili” tra i componenti lo staff o in mezzo agli studenti, per primi devono essere consapevoli di essere alla base dei loro stessi problemi. Abbandonare la scuola provvede loro con l’intuito di cui necessitano. Stando ai risultati, il tentativo di diminuire il drop out è fallito poiché i riformatori li hanno affrontati come due distinte problematiche. La radice delle cause è nella stessa modalità di approccio e necessita di un drastico riesame. Questo libro è il risultato di anni di ricerche scientifiche antropologiche in ambiente scolastico. Gli autori offrono un ritratto convincente di coloro che sono “spenti stonati dispersi”e propongono contromisure per invertire la tendenza. ”(libera traduzione dell’autore) Dal capitolo di Rossi Doria: “E’ anche da notare che il droping out rappresenta una cartina di tornasole del grado di tenuta della vitalità propositiva dei sistemi scolastici e formativi, poiché è generalmente accettato che un tasso droping out/caduta fuori non rivela tanto anomalie specifiche e riassorbibili, quanto piuttosto una possibile malattia del sistema.” C’è allora da interrogarsi se e in che misura, quanto si domanda lo psicologo del lavoro Vittorio Tripeni nel suo sorprendente capitolo contenuto nel già citato libro Scuola di follia, non sia invece una realtà da affrontare urgentemente: “La scuola può produrre ansia e frustrazione in chi la frequenta: fa ammalare?” Verrebbe da rispondere affermativamente, considerando anche il fatto che negli USA già imperversa l’home-schooling, di cui peraltro sono facilmente immaginabili le deleterie conseguenze sul piano della socializzazione e dell’acquisizione delle auspicabili capacità di adattamento alla relazione interpersonale. Occorre altresì salvaguardare l’accrescimento e la conferma dell’autostima in ciascun attore, docenti e studenti, ma anche il recupero del senso della cultura, quotidianamente veicolata tra le spoglie pareti scolastiche, spesso con poveri sussidi. Rossi Doria segnala altresì l’utilizzo di modalità didattiche non sempre adeguate ed efficaci ad opera di docenti, molto probabilmente - aggiungo io - bisognosi essi stessi di adeguata formazione, supporto e/o di periodo sabbatico (negli USA obbligatorio ogni sette anni!) al duplice scopo di dedicarsi proficuamente all’auspicabile “long life learning” ed altresì recuperare/rivitalizzare, l’enorme patrimonio di energie psicofisiche profuse nell’espletamento della preziosa professione. Essa infatti li espone maggiormente al rischio di perdere le indispensabili capacità di critica e giudizio e - di conseguenza - saper compiere l’autodiagnosi precoce del loro crescente disagio. Va segnalato che il “mestiere” d’insegnante rientra nelle tre professioni considerate da S. Freud “impossibili”, assieme alla cura dei malati e alla politica. Una situazione di abbandono certamente intuita dal Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi quando, nel discorso d’inizio d’anno scolastico 2004/2005, chiese testualmente: “Non lasciate soli gli insegnanti”. Pur tuttavia c’è chi lavora da anni alacremente alla formazione della consapevolezza delle inevitabili implicazioni emotive e alla loro efficace lettura, il prof. Pasquale Picone, che nel suo testo Supervisione e formazione permanente. Per il futuro della Professionalità Docente (Edizioni Sette Città, Viterbo marzo 2004), indica la strada del recupero dell’identità smarrita: “La motivazione alla conoscenza, se vissuta come processo di trasformazione e di individuazione, implica, a diversi livelli e in svariati settori, la passione per i processi formativi, propri e altrui. Le storie personali e professionali sono, eminentemente, storie di formazione. Essere immersi nel mare mosso delle organizzazioni formative del presente, significa spesso investire energia, per nuotare e tenersi a galla. Significa un impegno continuo di osservazione e auto-osservazione, di comprensione. Per vedere, almeno, dove si sta andando…Non è più possibile - i tempi, l’economia globale, e l’Europa non lo consentono più – assistere a tanti sprechi diffusi di risorse umane, di esperienze e patrimoni conoscitivi. Risorse, di chi ha investito anni, passione, energie e professionalità parallele nella propria formazione. Sprechi, attraverso la conflittualità, talvolta stolida, tra docenti e studenti; tra docenti e genitori; tra i docenti stessi; tra dirigenti scolastici e collegi docenti. Attraverso l’emarginazione, l’esclusione dei più motivati.” All’opera dunque, la nave scuola non è ancora del tutto affondata! Anna Di Gennaro [1] Si tenga conto che nel 1979 gli psicofarmaci non erano “maneggevoli” come gli attuali (SSRI), per i numerosi e pesanti effetti collaterali. Inoltre la loro prescrizione era ad appannaggio pressochè esclusivo dei neuropsichiatri, mentre oggi vengono comunemente prescritti dai medici di base. Per far comprendere l’eplosione del fenomeno noto come “medicalizzazione del disagio” basti dire che, rispetto al 1979, i prescrittori sono decuplicati (da circa 6.000 a 60.000) e la vendita degli psicofarmaci è raddoppiata negli ultimi 4 anni. |
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