Quando
scrivere è un bisogno
di Antonio Stanca
Al
1904 risale il racconto “Gli altri due” ora ristampato, con la
traduzione di Marcella Maffi, nella serie “Short Stories” della
Biblioteca di Repubblica-L’Espresso, Gruppo Editoriale L’Espresso
S.p.A., Roma 2010. Fu scritto dall’americana Edith Wharton nata a New
York nel 1862 e morta a Saint-Brice-sous-Forêt nel 1937. Apparteneva ad
una famiglia dell’antica e ricca borghesia newyorkese di fine ‘800, i
Newbold Jones, aveva studiato privatamente e mostrato molto interesse
per i classici, aveva sposato, nel 1885, il ricco banchiere bostoniano
Edward Wharton, da questi si era separata nel 1902 pur conservando il
cognome e dal 1910 si era stabilita definitivamente in Francia a Parigi.
Sarà amica dello scrittore Henry James che la incoraggerà a seguire
l’inclinazione letteraria ed agli inizi del Novecento risalgono le sue
prime narrazioni, romanzi e racconti, dove la Wharton esprime il suo
disappunto per i vecchi ceti privilegiati americani dai quali proveniva,
li accusa di essere vittime di convenzioni sociali, di essere rimasti
conservatori e di essere stati sconfitti nel confronto con la nuova
borghesia industriale dei primi decenni del ‘900, della quale, tuttavia,
non trascura di evidenziare difetti e problemi, di condannare i costumi
e quanto di grave sta provocando in ambito morale. Una fase di passaggio
vive la Wharton tra i vecchi e i nuovi ricchi ed entrambi
per motivi diversi attacca nelle sue opere, da entrambi fugge in una
Francia che le permetterà di guardare con distacco a quanto stava
avvenendo nel suo paese e farne motivo di scrittura. Tranne qualche
altro tema come nella serie dei “Racconti di uomini e fantasmi” del 1910
ispiratale dalla narrativa fantastica di James e nel racconto lungo
“Ethan Frome” del 1911, la Wharton si muoverà sempre
tra gli ambienti dei ricchi e ricorrente, fondamentale risulterà nella
sua produzione il motivo della chiusura, dei limiti, delle
contraddizioni della loro classe. Capolavoro di tale tendenza sarà, nel
1920, il romanzo “L’età dell’innocenza” ma già agli inizi le aveva
ispirato romanzi e racconti. Tra questi rientra “Gli altri due”, dove la
ricca borghesia americana dell’ultimo ‘800 viene presentata nei suoi
cerimoniali, carrozze, maggiordomi, salotti, abiti da tè, sigari,
giornali della sera e soprattutto in quanto di esterno, di convenzionale
serve a frenarla nelle sue
espressioni, a bloccarla in schemi che provengono da lontano, dagli
antenati e non le permettono di essere o diventare libera. In una
situazione simile la donna è la protagonista, la sua figura è centrale
tra tanti rituali, tanta ipocrisia. Da lei, dai suoi modi, da quanto, da
come sa adattarsi dipendono situazioni coniugali, famigliari,
economiche, sociali. Così l’Alice Waythorn del racconto: passa ella con
facilità da una condizione ad un’altra senza condividere nessuna, mente
ma è sempre al centro della situazione e solo in quel modo può farlo. Si
è sposata tre volte con tre uomini diversi e con nessuno dei mariti ha
finito di chiarirsi. Il terzo ha creduto che dagli altri due era stata
maltrattata e deve, invece, accorgersi che le vittime sono stati loro.
Con facilità, con destrezza, con una grande capacità di simulazione si
muove la donna tra i tre uomini sapendosi anche mostrare abbattuta,
depressa al momento giusto. Nelle sue mani giunge ogni problema ed ogni
volta lei assume il comportamento richiesto dalla circostanza. In tal
modo, però, è condannata, insieme agli altri, a non essere mai vera,
autentica. Neanche il sentimento d’amore che sorge e procede spontaneo
riesce a liberarla dalle barriere poste dall’ambiente ed anch’esso è
destinato ad interrompersi, finire.
Da questi modi di vivere, dalla casa propria, da
quella del marito la Wharton era fuggita nel
1908 e poi definitivamente nel
1910 in quella Parigi che le avrebbe permesso di
partecipare alla diffusa atmosfera culturale e artistica del primo
Novecento europeo, di soffermarsi maggiormente sulle proprie attitudini,
di diventare una scrittrice. Così sarebbe giunta, nel 1920, al famoso
romanzo “L’età dell’innocenza” che nel 1921 le avrebbe procurato, per la
prima volta ad una donna, il Premio Pulitzer.
Durante la prima guerra mondiale
la Wharton, che si trovava in Francia, si era adoperata
per creare laboratori per lavoratrici disoccupate ed aveva promosso gli
“ostelli americani per rifugiati”. Per quest’ultima iniziativa il
governo francese le
assegnerà la Legion d’Onore nel 1916.
Gli ultimi anni della sua vita la vedranno impegnata
in altri romanzi e racconti, in opere di saggistica, in
un’autobiografia. Non perderà mai di vista, tuttavia, il confronto con
l’esterno, non smetterà mai d’impegnarsi per un riscatto, per una
riabilitazione di quanto dell’individuo veniva oscurato, represso in
ambito privato e pubblico. Sarà stato il bisogno di rifarsi delle
limitazioni sofferte in casa oppure l’altro d’imitare l’esempio dei
tanti classici che aveva letto a fare del suo impegno letterario anche
uno umanitario, a farle cercare di correggere, ricomporre con la
scrittura le differenze che con la storia si erano accumulate nei
rapporti umani, a non farle distinguere tra la vita e l’opera.
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