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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Quando scrivere è un bisogno

di Antonio Stanca

Al 1904 risale il racconto “Gli altri due” ora ristampato, con la traduzione di Marcella Maffi, nella serie “Short Stories” della Biblioteca di Repubblica-L’Espresso, Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A., Roma 2010. Fu scritto dall’americana Edith Wharton nata a New York nel 1862 e morta a Saint-Brice-sous-Forêt nel 1937. Apparteneva ad una famiglia dell’antica e ricca borghesia newyorkese di fine ‘800, i Newbold Jones, aveva studiato privatamente e mostrato molto interesse per i classici, aveva sposato, nel 1885, il ricco banchiere bostoniano Edward Wharton, da questi si era separata nel 1902 pur conservando il cognome e dal 1910 si era stabilita definitivamente in Francia a Parigi. Sarà amica dello scrittore Henry James che la incoraggerà a seguire l’inclinazione letteraria ed agli inizi del Novecento risalgono le sue prime narrazioni, romanzi e racconti, dove la Wharton esprime il suo disappunto per i vecchi ceti privilegiati americani dai quali proveniva, li accusa di essere vittime di convenzioni sociali, di essere rimasti conservatori e di essere stati sconfitti nel confronto con la nuova borghesia industriale dei primi decenni del ‘900, della quale, tuttavia, non trascura di evidenziare difetti e problemi, di condannare i costumi e quanto di grave sta provocando in ambito morale. Una fase di passaggio vive la Wharton tra i vecchi e i nuovi ricchi ed entrambi per motivi diversi attacca nelle sue opere, da entrambi fugge in una Francia che le permetterà di guardare con distacco a quanto stava avvenendo nel suo paese e farne motivo di scrittura. Tranne qualche altro tema come nella serie dei “Racconti di uomini e fantasmi” del 1910 ispiratale dalla narrativa fantastica di James e nel racconto lungo “Ethan Frome” del 1911, la Wharton si muoverà sempre tra gli ambienti dei ricchi e ricorrente, fondamentale risulterà nella sua produzione il motivo della chiusura, dei limiti, delle contraddizioni della loro classe. Capolavoro di tale tendenza sarà, nel 1920, il romanzo “L’età dell’innocenza” ma già agli inizi le aveva ispirato romanzi e racconti. Tra questi rientra “Gli altri due”, dove la ricca borghesia americana dell’ultimo ‘800 viene presentata nei suoi cerimoniali, carrozze, maggiordomi, salotti, abiti da tè, sigari, giornali della sera e soprattutto in quanto di esterno, di convenzionale serve a frenarla nelle sue  espressioni, a bloccarla in schemi che provengono da lontano, dagli antenati e non le permettono di essere o diventare libera. In una situazione simile la donna è la protagonista, la sua figura è centrale tra tanti rituali, tanta ipocrisia. Da lei, dai suoi modi, da quanto, da come sa adattarsi dipendono situazioni coniugali, famigliari, economiche, sociali. Così l’Alice Waythorn del racconto: passa ella con facilità da una condizione ad un’altra senza condividere nessuna, mente ma è sempre al centro della situazione e solo in quel modo può farlo. Si è sposata tre volte con tre uomini diversi e con nessuno dei mariti ha finito di chiarirsi. Il terzo ha creduto che dagli altri due era stata maltrattata e deve, invece, accorgersi che le vittime sono stati loro. Con facilità, con destrezza, con una grande capacità di simulazione si muove la donna tra i tre uomini sapendosi anche mostrare abbattuta, depressa al momento giusto. Nelle sue mani giunge ogni problema ed ogni volta lei assume il comportamento richiesto dalla circostanza. In tal modo, però, è condannata, insieme agli altri, a non essere mai vera, autentica. Neanche il sentimento d’amore che sorge e procede spontaneo riesce a liberarla dalle barriere poste dall’ambiente ed anch’esso è destinato ad interrompersi, finire.

Da questi modi di vivere, dalla casa propria, da quella del marito la Wharton era fuggita nel 1908 e poi definitivamente nel 1910 in quella Parigi che le avrebbe permesso di partecipare alla diffusa atmosfera culturale e artistica del primo Novecento europeo, di soffermarsi maggiormente sulle proprie attitudini, di diventare una scrittrice. Così sarebbe giunta, nel 1920, al famoso romanzo “L’età dell’innocenza” che nel 1921 le avrebbe procurato, per la prima volta ad una donna, il Premio Pulitzer.

Durante la prima guerra mondiale la Wharton, che si trovava in Francia, si era adoperata per creare laboratori per lavoratrici disoccupate ed aveva promosso gli “ostelli americani per rifugiati”. Per quest’ultima iniziativa il governo francese le  assegnerà la Legion d’Onore nel 1916.

Gli ultimi anni della sua vita la vedranno impegnata in altri romanzi e racconti, in opere di saggistica, in un’autobiografia. Non perderà mai di vista, tuttavia, il confronto con l’esterno, non smetterà mai d’impegnarsi per un riscatto, per una riabilitazione di quanto dell’individuo veniva oscurato, represso in ambito privato e pubblico. Sarà stato il bisogno di rifarsi delle limitazioni sofferte in casa oppure l’altro d’imitare l’esempio dei tanti classici che aveva letto a fare del suo impegno letterario anche uno umanitario, a farle cercare di correggere, ricomporre con la scrittura le differenze che con la storia si erano accumulate nei rapporti umani, a non farle distinguere tra la vita e l’opera.


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