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VIRGINIA WOOLF: UN "CASO" ISOLATO * di Antonio Stanca Si è tornato a parlare della famosa scrittrice inglese Virginia Woolf, vissuta tra fine Ottocento e primo Novecento, appena si è saputo che la sua produzione sarebbe stata accolta in due volumi della preziosa collana Meridiani (Mondadori) e curata da Nadia Fusini. Il primo volume sarà dedicato ai romanzi, il secondo ai racconti, saggi letterari e di costume, diari, epistolario e quanto altro da lei prodotto. Il suo fu un periodo di tempo particolare sia per le trasformazioni che si verificavano in ambito sociale, economico sia per le novità che interessavano la cultura, la filosofia, la letteratura, l’arte. Sembrava che tutto, in quel momento, stesse cambiando: cambiava la realtà, cioè la condizioni di vaste masse popolari richiamate dal lavoro in fabbrica e avviate ad una sempre maggiore urbanizzazione con i conseguenti vantaggi e svantaggi, cambiava il pensiero nel senso che il positivismo esauriva il suo ciclo e si delineavano nuove concezioni, più ampie, più complesse poiché scienze come la Fisica (Einstein) e la Psicanalisi (Freud), filosofie come il Superomismo (Nietzsche) e l’Intuizionismo (Bergson) contribuivano ad estendere gli orizzonti noti sino ad allora, svelavano la presenza e l’azione, nell’uomo, di una vita interiore che, consapevolmente o inconsapevolmente, determinava quella esteriore. Dall’oggettività perseguita dai filosofi positivisti e dai contemporanei scrittori naturalisti, veristi o realisti si passava alla soggettività e spiritualità che sarebbero state tipiche dei nuovi filosofi e degli autori detti decadenti. Questi si sarebbero sentiti tanto diversi dal contesto umano e sociale da considerare le proprie qualità un privilegio superiore ad ogni altro. Primi sarebbero stati i poeti ad avvertire tale mutata atmosfera, poi gli scrittori quali James Joyce, Marcel Proust e, appunto, Virginia Woolf. Questa sarà così naturalmente disposta ad accogliere i nuovi fermenti culturali ed artistici da non ritenersi privilegiata né isolarsi a causa loro ma da abbandonare la maniera realista e piuttosto tradizionale che era stata dei suoi primi lavori e pervenire, col tempo, ai romanzi che l’avrebbero resa celebre quali La Camera di Giacobbe, La signora Dalloway, Al faro, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l’altro. Qui compariranno molti aspetti della nuova tendenza narrativa, differenza tra tempo cronologico e tempo interiore, flusso di coscienza, monologo interiore ed altri riflessi della soggettività e interiorità appena scoperte. In nome di questi la Woolf si sentirà chiamata a svelare quel che c’è dietro le apparenze " dietro il luccichìo dei bottoni della giacca o dello sparato", a concepire e produrre quel romanzo nuovo che l’uomo e i tempi mutati richiedevano. " [ …..]. La vita non è una serie di lampioni piantati in forma simmetrica, è un alone luminoso semitrasparente che avvolge la nostra coscienza dall’inizio alla fine. E non è forse compito del romanziere saper rendere questa qualità fluttuante, inconoscibile, inafferrabile, con il minimo intervento di ciò che è sempre esterno ed estraneo ? […] ", dirà la scrittrice in un saggio della raccolta Il lettore comune, che sembra soprattutto una dichiarazione di poetica, un programma artistico molto vicino a quelli allora perseguiti in altri luoghi da altri autori. Tuttavia come in ogni fenomeno letterario collettivo i vari esponenti conservano le loro peculiarità pur in un contesto comune così in questo la Woolf si distingue dagli scrittori suoi contemporanei e partecipi degli stessi modi. La sua prosa più che all’analisi tende alla sintesi, a condensarsi, cioè, in immagini uniche, altamente significative, a divenire poesia. In tale processo il linguaggio si semplifica sempre più come se avvertisse il proprio peso e volesse liberarsi trasformandosi in nota musicale o segno pittorico o scena teatrale. Figure di gran rilievo, nella produzione della Woolf, saranno quelle della musicista Rachel ( La crociera), della pittrice Lily (Al faro), della regista Miss La Trobe (Tra un atto e l’altro): in esse più che in altre la scrittrice si trasferirà completamente essendo le loro arti quelle da lei preferite perché più sintetiche, più immediate, più spontanee, più incisive della scrittura. C’è, nella Woolf, insieme all’intento di ritrarre lo sterminato fluire del tempo e le conseguenti infinite trasformazioni, anche e soprattutto l’altro di fissare dei "momenti", di cercare tra tanta indeterminazione dei punti di riferimento, di scoprirli in tempi , luoghi, ambienti, esseri pur lontani tra loro, di rintracciare le continuità tra l’incessante mutamento, di salvare l’integrità, l’identità della persona, l’autenticità della vita minacciate dall’inevitabile ed inesorabile scorrere del mondo esterno. Così avverrà nei cosiddetti " momenti d’essere " propri del pensiero e dell’opera della Woolf e generalmente costituiti da ricordi, desideri, sogni. In verità essi esprimono il suo bisogno, la sua ricerca di certezze inalterabili, di valori insostituibili, il suo anelito ad un approdo sicuro tra le devastazioni che le crisi maniaco-depressive ciclicamente le procuravano facendole temere di perdere la lucidità. Sarà questa paura a portarla al suicidio prima ancora che giungesse l’ennesima crisi. Aveva da un mese terminato il romanzo Tra un atto e l’altro quando, nel 1941, si lasciò andare nelle acque del fiume Ouse presso la sua casa a Rodweel. Neanche la letteratura era riuscita a sollevarla dalle sue gravi condizioni nervose! Vi aveva provato con l’attività pubblicistica iniziata giovanissima insieme alla sorella Vanessa ed al fratello Thoby quando avevano fatto parte del gruppo di giovani contestatori detto "Bloomsbury set", che per molti anni aveva influenzato la vita intellettuale londinese. Aveva continuato ad assumere posizioni pubbliche ora mostrandosi dichiaratamente femminista negli scritti, nei discorsi, nelle azioni, nei comportamenti ora svolgendo, accanto al marito, attività editoriale e venendo a contatto con molti autori del momento. Si era sentita sempre incompleta e aveva decisamente ripreso con la narrativa, con romanzi diversi dai primi, nei quali si era proposta di esprimere le nuove idee che ormai viveva e di cercare quanto, pur matura, ancora le mancava. Aveva creduto di scoprirlo, s’ è detto, nei famosi " momenti d’essere" senza accorgersi che anch’essi le avrebbero manifestato la loro transitorietà ed aggravato lo stato di smarrimento. Quella letteratura, quel romanzo che le erano sembrati i modi più idonei a rappresentare i tempi e contenere i pericoli di una mente minacciata dalla malattia, non le potevano offrire le certezze sperate perché i loro "momenti d’essere" non erano definitivi ma destinati a venire sostituiti da altri, a scorrere come ogni altro aspetto dell’esistenza. L’opera non aveva risolto il problema e non rimaneva che finire con l’una e con l’altro. * da "Segni e comprensione", pubblicazione a cura del Dipartimento di Filosofia (Università di Lecce) e del "Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche" (Roma) |
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