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Un uomo, un artista di Antonio Stanca Insieme al primo numero dell’anno 2003 della rivista mensile "Meridiani", interamente dedicato alla storia della Cina, è uscito il breve volume di racconti "Una canna da pesca per mio nonno" (ed. Rizzoli) dello scrittore cinese Gao Xingjian. Nato nel 1940 a Ganzhou, nella Cina orientale, e dal 1988 esule politico in Francia in seguito all’aggravarsi dei problemi con la censura del suo paese, Xingjian vive ora a Parigi e continua nella sua poliedrica attività di traduttore, saggista, scrittore, drammaturgo, pittore. Egli è stato una figura fondamentale per la cultura, letteratura e drammaturgia cinesi, ha operato per la loro evoluzione, per liberarle dal peso di una tradizione giunta fino ai suoi tempi, inserirle in un contesto più ampio e procurare loro una dimensione estesa, mondiale. E’ un obiettivo che Xingjian ha perseguito a costo di gravi rinunce e sofferenze procurate all’uomo e all’artista dalle autorità cinesi, dal regime comunista contrario alla singolarità dei suoi temi e modi, e culminate, nel 1988, nella scelta dell’esilio. Nel 1962 Xingjian si era laureato in Francese presso l’Istituto di Lingue straniere di Pechino; durante la "rivoluzione culturale" (1965-69) era stato internato, per cinque anni, in un "campo di rieducazione" e molti suoi lavori erano stati bruciati; nel 1979 aveva viaggiato specie in Italia e Francia ed alcune sue opere erano comparse all’estero; dal 1980 aveva ripreso a pubblicare in Cina (il dramma "Fermata d’autobus" e il racconto "L’uomo delle nevi") ma, ricomparsi i vecchi problemi con la censura, nel 1988 aveva chiesto asilo politico in Francia e abbandonato il suo paese; nel 1989, in seguito all’aspra condanna del massacro di Tien-an-men espressa dall’autore in alcune opere, Xingjian viene dichiarato in Cina "persona non gradita" e la vendita dei suoi libri è vietata. Continuerà a produrre in Francia in ognuna delle sue attività. Prima opera scritta in francese sarà il romanzo "La montagna dell’anima", del 1990, ritenuto il suo capolavoro e seguito nel 1999 da "Il libro di un uomo solo". Negli anni più recenti i suoi drammi verranno rappresentati in molti teatri d’Europa e nel 2000 gli sarà conferito, primo cinese nella storia, il Nobel per la letteratura. La conoscenza della cultura occidentale soprattutto moderna e contemporanea, del romanzo europeo del primo Novecento, del teatro dell’assurdo di Brecht, Ionesco, Beckett, ha inciso così profondamente nell’accesa sensibilità di questo autore da permettergli risultati originali e sorprendenti in ognuna delle direzioni perseguite. Con quanto di nuovo gli giungeva da tali lezioni Xingjian ha saputo combinare, comporre i luoghi, gli ambienti, le persone, gli eventi della storia e tradizione cinesi pervenendo a narrazioni o rappresentazioni teatrali o figurative che, mentre proponevano al lettore o spettatore momenti o aspetti di un passato spesso misterioso quale quello di una regione orientale del mondo, trasmettevano pure significati, messaggi riferibili all’uomo dei nostri tempi, alle sue inquietudini, alle difficoltà di rapporti autentici, alla solitudine cui è condannato in un contesto divenutogli estraneo. Così nelle opere e così nei racconti contenuti nel suddetto volume: due sposi scoprono un vecchio tempio abbandonato, un bagnante è assalito da un crampo e molti pensieri lo prendono prima di riuscire a salvarsi, due vecchi amici si ritrovano in un parco e ricordano i tempi passati, un giovane pensa di regalare una canna da pesca al nonno e ripercorre i tempi dell’infanzia, un bagnante si addormenta sulla spiaggia e nel sonno viene assalito da immagini lontane. In queste narrazioni insieme ad uno stile che scorre fluido tra diversi piani di narrazione, che procede composto, preciso, semplice pur se carico di molte situazioni, ricorrono i motivi cari a Xingjian, la memoria, il sogno, la fantasia, la realtà, la riflessione, il personaggio che ricerca se stesso in un passato difficile da ricostruire poiché sommerso dal presente, annullato da persone e cose completamente cambiate e con le quali è impossibile ritrovarsi per chi ancora crede in un rapporto vero o cerca uno scambio libero da condizionamenti e conformismi. Una condizione d’isolamento, d’incomunicabilità è stata riservata dai tempi a tali figure, un ripiegamento nella propria interiorità come nell’ultimo, estremo rifugio per chi non ha smesso di pensare all’uomo pur in una situazione individuale e sociale non più a sua misura. Sono anche i temi di tanta produzione artistica occidentale moderna e contemporanea e pure alcune tecniche espressive dello Xingjian quali il continuo variare dei piani narrativi, il flusso di coscienza, l’assurdo di alcune situazioni teatrali, il valore simbolico di molti dipinti, risalgono all’influenza su di lui esercitata dalla cultura europea. Ma perché questa risultasse trasformata in nuovi messaggi e significati occorreva una capacità di concepire ed elaborare continua e fertile come quella di Xingjian, un’ispirazione sempre in movimento, una versatilità sicura e capace. Occorreva un artista multiplo, totale che vivesse l’arte al punto da non distinguere tra le sue forme e sapesse realizzarle tutte con facilità. E soprattutto occorreva l’uomo, la sua vita di condannato dal regime, perseguitato, fuggitivo, l’uomo che aveva accettato di penare per non rinunciare a quanto gli apparteneva perché proprio della sua terra, della sua gente, un’eredità inalienabile, un patrimonio essenziale se si voleva recuperare un’esistenza sana, incorrotta. Per riprendere quel patrimonio e procurargli un significato esteso era necessario superare gli impedimenti di tempo e luogo, assurgere ad una dimensione universale, pervenire all’arte. Era necessario che quell’uomo divenisse artista, che la sua vita divenisse la sua arte! Con Xingjian la Cina, le sue antiche religioni, i suoi culti, la sua storica saggezza lasciano i propri confini storici e geografici, giungono a tutti e valgono per sempre, diventano elementi d’arte, di un’arte nuova pur tra le moderne come il Nobel ha sancito. |
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