di Dario Cillo
"... Tu sei solo una cosa dentro il suo sogno!"
"Se quel Re lì si svegliasse, tu ti spegneresti... puf!...proprio come una candela!"... (1)
- Che idea! - Chiuse il libro improvvisamente.
Girò lentamente lo sguardo lungo le pareti della stanza.
Lo spazio era angusto ed opprimente. L'avorio dei muri un tempo doveva esser stato bianco. Il tavolo, su cui poggiava una vecchia lampada accesa, aveva una gamba più corta salvata da un cartoncino ripiegato. Un'alta libreria (i libri formavano linee irregolari) riempiva il lato alle sue spalle. Accanto, una porta si affacciava su un corridoio cieco.
A destra ed a sinistra (odiava ma subiva la simmetria) due specchi rimandavano l'uno verso l'altro ( - L'infinito! - pensò) il suo profilo. Di fronte l'unico spazio aperto, costretto nella cornice di un quadro. Nessuna finestra.
Chiuse gli occhi. Cominciò a far pressione sulle pareti. Cedevano. La stanza lentamente si allargava. Passò le mani tra i capelli. Non si meravigliò nello scoprire che la sua testa ( - E' stato un grande sforzo! - si disse) era ora irrimediabilmente più grande e pesante.
Si alzò. Raggiunse il quadro e tirò con forza i due angoli opposti della cornice sino a raggiungere con essi i due estremi, il più alto a sinistra il più basso a destra, del muro (le braccia si distendevano con strani scricchiolii come grandi elastici). Ora aveva dinanzi a sé un enorme rombo, schiacciato come un fuso. Ripeté l'operazione sull'altra diagonale.
La stampa occupava tutto lo spazio della parete.
Puntò l'indice sul centro della tela e, non senza sforzo, riuscì a far entrare l'intera mano nel dipinto. Un urlo (stranamente piatto)! Vide le figure, (una donna seduta allattava un bambino volgendo enigmaticamente il suo sguardo verso di lui, un giovane tranquillamente poggiato lungo la linea perfetta del suo bastone la osservava, alcune colonne tronche, un ponte, delle case sul fondo, le piante, il cielo in tempesta) sconvolte tutte dalla nuova dimensione imposta, correre, scomparendo nel loro profilo senza spazio, verso il punto di fuga del suo polpastrello.
La tela era bianca, circondata dalla grande cornice; sulla punta del suo indice rimaneva una macchia senza spessore.
Ebbe paura! Aprì gli occhi.
Il colore giallognolo dell'interno, i riflessi della lampada sul tavolo lo ferirono. La stanza (quella reale!?) sembrava stranamente più larga.
Raggiunse disperatamente con gli occhi la parete di fronte.(La testa, la sua testa, pesava in modo inconsueto e doveva fare uno sforzo continuo per evitare che ricadesse ancora sul collo a specchiarsi sul piano lucido del tavolo.) Il muro era talmente bianco! Sembrava emanare una luce propria, indipendente da quella artificiale della sua lampada. Su, tutt'intorno, una cornice seguiva i bordi dell'intera parete.
- Non può essere! - quasi gridò.
Pensò alla macchia sulla punta dell'indice. Ma la sua mano era così lontana, si perdeva lontano, lì dove finiva quel lungo braccio, quasi disarticolato (così teso e molle poi). La tirò a sé, non senza alcune difficoltà. La fece ruotare sul polso, girò il dito... e vide un puntino, non più di un piccolo neo, proprio lì dove l'unghia finiva la sua corsa ricadendo sul piano arcuato del polpastrello.
Stava impazzendo?
Cominciò a riflettere. Dunque, aveva chiuso gli occhi, e poi... Certo! - L'anarchia del pensiero ha stravolto il reale! - concluse.
Bisognava ricostruire l'ordine, la normalità.
Chiuse ancora una volta gli occhi. Alzò con fatica le braccia distendendole fino ai muri laterali. Scavò degli appigli per le dita e tirò, tirò e tirò (un segno per terra, poco più di un po' di terra e polvere di tufo, indicava il punto preciso da raggiungere). La stanza riacquisì la sua normale ampiezza. Non dimenticò neanche di spianare (premendo e strisciando col palmo aperto della mano) i buchi che aveva creato per strappare i muri alla loro nuova posizione.
Avvolse quindi con cura le braccia su sé stesse, facendone due grandi gomitoli. Li strinse sotto le ascelle aiutandosi con le mani. Allungò stirò accorciò (forse tagliò? certo riuscì!). Quella testa! Grossa come un'enorme pera capovolta cominciava ad annoiarlo (e poi era così pesante!). Forse bastava non pensare e tutto sarebbe tornato al suo posto. Ma (si sa) un pensiero, anche un pensiero piccolo come una ciliegia, a volte può sempre scappare. Era più semplice ricorrere a metodi più drastici ( - Sono sempre i migliori per riportare l'ordine! - affermò convinto). Le sue mani, come una morsa, strinsero il capo.
Era contento del risultato. Si guardava e rimirava. Sì, era proprio contento.
Rimaneva da riaccomodare la cosa più difficile. Guardò la piccola macchia sulla punta dell'indice (era piccola, proprio piccola a pensarci). Puntò il dito verso la grande tela luminosa e, (lo fece con uno scatto, senza dar spazio al pensiero) vi infilò veloce la mano (tutta, fino al polso!) ritirandola immediatamente fuori. Si udì un rumore. Come di una bottiglia stappata.
Dalla stampa, la figura di donna, lo osservava soddisfatta.
Si guardò intorno: - Mura, braccia, testa, stampa - elencò, contando sulla punta delle dita (controllò così anche che la piccola macchia fosse scomparsa. Non c'era.)
Si girò e rigirò. Tutto era al suo posto.
Aprì gli occhi.
Il libro era ancora sul tavolo, le sue braccia (come la stanza) avevano le loro vecchie dimensioni. Anche la stampa era perfettamente al suo posto (quella signora continuava a fissarlo).
Si girò così verso uno degli specchi per controllare la sua testa. Lanciò un urlo. No, la testa (seppur non particolarmente bella ed aggraziata) era esattamente come prima. Tranne per un particolare. I suoi occhi (e questo mentre si guardava, ed uno specchio rimandava infinitamente all'altro il suo riflesso) erano ancora chiusi.
Allora comprese.
Riaprì il libro. E lesse (chissà poi perché ad alta voce):" ... Tu sei solo una cosa dentro il suo sogno!"
Si fermò, ci pensò ancora un momento, e poi Mi disse:
- Dio, perché mi fai questo?! -
Lecce, 23 - 24 giugno 1988
(1): Lewis Carrol, Through the Looking Glass, (1867), cap. IV