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Cinque domande
a
Norberto Bottani *
a cura di Marisa Bracaloni Domanda
N ° 1
In un recente documento indirizzato al
Presidente della Repubblica e
firmato
da autorevoli studiosi è stato scritto
che la scuola ha bisogno di maggiore attenzione da parte di tutta la
società :
dovremmo parlare di più di istruzione,
non solo
a scuola, ma in ogni
luogo di incontro , facendo diventare
il tema della formazione ed educazione
un tema centrale per
tutta la cittadinanza.
Condivide l’idea che in genere si parla poco
di scuola
e quindi dovremmo coinvolgere
maggiormente la società sulle problematiche scolastiche ?
In Italia in genere si parla poco di scuola
nei media, nella politica, ma altrove, per esempio in Francia, in Gran
Bretagna, negli Stati Uniti, non è affatto così. Il sistema politico
italiano non attribuisce una priorità all'istruzione scolastica. Per
quale ragione? Ad una domanda come questa non si può rispondere in
quattro e quattr’otto né ricorrere ad argomenti moralistici. Le ragioni
infatti sono
multiple e di natura diversa: politica,
giuridica, sociologica, economica, religiosa e culturale nel contempo.
Inoltre tutte queste svariate ragioni sono tra loro strettamente
connesse in un'alchimia che è stata perfezionata nel corso di decenni
fino a trovare un equilibrio che sembrerebbe convenire ai rapporti di
potere esistenti nel paese, alla cultura della sopravvivenza dei poveri,
alle modalità di organizzazione e funzionamento del mercato del lavoro.
Questo è dunque una storia pluri-decennale che non si capovolge
dall'oggi all'indomani. Essa ha configurato anche le aspettative della
popolazione
e dei vari ceti sociali nei confronti
dell'istruzione scolastica. Si potrebbe essere tentati di parlare a
questo punto di rassegnazione, ma non credo che questo sia il caso. Si
tratta di una cultura di fondo che concerne le gerarchie sociali, i
notabili di ogni tipo e di una filosofia politica profondamente radicate
nelle vicende politiche, sociali, industriali che hanno forgiato la
nazione. Nei paesi nei quali la scuola e il sistema scolastico sono
all'apice delle preoccupazioni dell'opinione pubblica, la classe
politica, i dirigenti scolastici, i pedagogisti, i sindacalisti, i mass
media dedicano un'attenzione quotidiana ai problemi scolastici. In
questi sistemi politici ed economici l’ istruzione è percepita come il
traino del progresso e del benessere sociale ed economico, è garanzia di
sicurezza sociale, di rispetto, è
un sigillo della qualità della vita
sociale. Non penso che esistano queste condizioni in Italia. Se ne può
esser dispiaciuti, si può soffrire anche per questo stato di cose, si
può essere rammaricati, ma non bastano le buone intenzioni né un decreto
qualsiasi per cambiare la situazione. A mio parere, se qualcosa deve
cambiare nei confronti della scuola in Italia, questo deve succedere
alla base, attorno alle singole scuole. Non c'è decreto calato dall'alto
che possa capovolgere la situazione. Per questa ragione, l'autonomia
delle scuole, di tutti i gradi di tutti tipi, in Italia avrebbe una
coloritura e un significato del tutto diversi per esempio dall'autonomia
scolastica in Inghilterra o in Svezia.
Domanda
N° 2
Il dpr 275/ 99 affidava
finalità ambiziose all’autonomia
scolastica: libertà di insegnamento, pluralismo culturale, interventi in
base alle richieste delle famiglie, successo formativo….
Nel
suo
libro
sull’autonomia scolastica
“ Insegnanti al timone ?”
del 2002
il titolo si conclude con un punto
interrogativo che già fa intuire le
perplessità che Lei poi esprime
chiaramente nei vari capitoli.
A distanza di un decennio
i dubbi espressi nel libro
sull’autonomia si sono dissipati o rimane l’idea di una
riforma incompiuta? Vivendo in un paese
dove l’autonomia
e il decentramento sono cardini
del sistema sociopolitico ,
può dare qualche suggerimento per
realizzare
quelle finalità dell’autonomia
scolastica
citate sopra?
Vivo in un paese, la Francia, dove l'autonomia
e la decentralizzazione non sono i cardini del sistema sociopolitico e
quindi del servizio scolastico. La Francia resta per il momento una
nazione fortemente centralizzata nella quale l'apparato scolastico è
intriso di una filosofia politica del tutto particolare che si rifà più
all'opera di un sociologo come Durkheim che non al pensiero sovversivo
di Rousseau. Se nella domanda si allude alla mia nazionalità elvetica
dovrei dire che anche in questo caso, il sistema scolastico elvetico è
caratterizzato sì da un federalismo molto accentuato, ma anche da
un'autonomia scolastica molto ridotta. I micro-sistemi scolastici
elvetici sono iper-centralizzati e le scuole elvetiche sono tra le meno
autonome del mondo occidentale. Ci vorrebbero molte pagine per chiarire
nei dettagli questi due casi che sono molto interessanti, ma non è in
questa intervista che lo si può fare. Mi limito quindi semplicemente ad
alludervi anche per evitare illusioni e confusioni. La
decentralizzazione scolastica e l’ autonomia degli istituti scolastici
non si trovano né in Francia né in Svizzera. Per realizzarle occorre un
terreno favorevole, una cultura specifica, una storia particolare, come
è per esempio il caso in Finlandia o in Svezia dove l’autonomia comunale
e scolastica si respira nell’aria, dove va da sé perché
esiste da quasi un secolo. Lì è il
sistema democratico che è autonomo. Tutto questo non esiste in Italia,
nell’Italia unita. Forse esiste ed esisteva nell’Italia dei comuni e
delle città, ma anche questa è un’altra vicenda. Per questa ragione,
l'ambiziosa riforma dell'autonomia scolastica in Italia è fallita. La si
è voluta imporre dall’alto, in un colpo solo. Questo tentativo è andato
a male. Ciò non significa che in Italia sia impossibile realizzare
l'autonomia scolastica, che si debba riporre nei cassetti qualsiasi
progetto di questa natura, ma dopo un decennio occorre rendersi
all'evidenza ed analizzare seriamente, ovverosia raccogliendo prove
documentate, le cause del fallimento. In Italia esistono scuole
autonome. Viaggiando nel sistema scolastico italiano capita di scoprire
istituti scolastici splendidi, diretti da presidi coraggiosi, con un
corpo insegnante entusiasta e solidale. Queste realizzazioni però sono
casi singoli, non fanno sistema, sono il frutto di trasgressioni
clandestine che sfruttano abilmente l'incapacità dell’apparato
amministrativo scolastico di controllare, ovverosia di valutare, il
funzionamento delle componenti del sistema scolastico.
Ci si può e ci si deve anche chiedere se l'autonomia scolastica è
necessaria. In un testo recentemente pubblicato dall'economista capo
della Banca Mondiale a proposito delle scuole private e delle scuole
pubbliche si sostiene che molta autonomia è indispensabile per rendere i
due settori competitivi, per ridurre le disuguaglianze, per potenziare
il settore pubblico. Quando si sostiene che molto autonomia è
necessaria, soprattutto per ridurre le disuguaglianze sociali di fronte
all'istruzione e per migliorare gli istituti scolastici frequentati in
maggioranza da studenti provenienti dalle classi sociali meno abbienti,
si intendono molte cose, talune delle quali sono previste nel decreto
del presidente della Repubblica 275, ma altre non sono presenti come per
esempio la responsabilità del dirigente di scegliere e di licenziare i
membri del corpo insegnante, ossia di costituire équipe pedagogiche
solidali, unite, che condividono gli stessi valori educativi, oppure
l'autonomia finanziaria. Nel decreto italiano si parla di autonomia
didattica, di autonomia nell'ambito della ricerca pedagogica che invece
in Italia è pressappoco inesistente a mio parere e che è una delle
competenze più ardue da acquisire per gli insegnanti. Si potrebbe
continuare in questa rilettura, ma non è il caso di farlo in questa
intervista.
Domanda
N °3
Da tempo vengono
messi in evidenza due aspetti cruciali
che renderebbero
credibile e possibile l’autonomia: da
un lato, la totale responsabilità degli istituti per quel che riguarda
il reclutamento e la gestione di tutto il personale della scuola;
dall’altro, una completa autonomia degli istituti nell’organizzazione
del tempo scuola.
C’è però il problema
economico che condiziona le risorse
professionali e la durata dei tempi scuola. Da dove attingere fondi?
Da un maggior impegno dello Stato, o
dalle famiglie e o dalle aziende ?
Questa domanda concerne il finanziamento
dell'istruzione e per essere più precisi il finanziamento del servizio
scolastico statale. In questi ultimi vent'anni si sono fatti progressi
considerevoli nella conoscenza delle modalità di finanziamento del
settore scolastico pubblico, statale, paritario o privato che sia. Non
c'è dubbio che oggigiorno si ha una migliore visione della spesa
pubblica per l'istruzione e delle risorse necessarie per far funzionare
un istituto scolastico. L'economia dell'istruzione si è imposta come uno
dei rami di indagine sulla scuola più promettenti e stimolanti. Non è
casuale che in Italia per esempio le informazioni più succolenti, almeno
a mio parere, sul sistema scolastico italiano siano state prodotte in
questi ultimi anni da economisti che hanno scelto l'istruzione come
oggetto principale di indagine. Nondimeno, restano ancora molte zone
d'ombra per capire cosa realmente succede nel settore della spesa
pubblica e privata, incluso quello delle famiglie, per l'istruzione. Mi
permetto rilevare che queste informazioni sono particolarmente carenti
in Italia dove l'economia dell'educazione fino ad un decennio fa era
praticamente sconosciuta od era pochissimo praticata. Una delle domande
ricorrenti sul piano internazionale, dove si svolgono confronti tra
sistemi scolastici diversi,
riguarda per l'appunto la relazione
esistente tra la qualità dell'istruzione, gli apprendimenti e la spesa
per l'istruzione. Se si analizza a fondo questa richiesta si deve
ammettere che per il momento non siamo in grado di dare una risposta
inequivocabile a questa domanda, ossia non sappiamo se chi più spende
per la scuola meglio spende e se chi meno spende fa un risparmio errato.
I dati internazionali prodotti dall’OCSE lasciano l'amaro in bocca,
perché non convalidano né una tesi né l'altra. Da un certo punto di
vista sembrerebbe che per fornire un'istruzione di qualità e per ridurre
la segregazione sociale connessa all'istruzione si debba spendere molto.
Occorrono molti soldi per riuscire una riforma scolastica come per
esempio la creazione e l'adozione di un sistema di valutazione comparato
degli istituti scolastici che serva al corpo insegnante, ai responsabili
politici di ogni grado, alle famiglie degli studenti. Da un altro punto
di vista però sembrerebbe che ci siano sistemi scolastici che conseguono
livelli di profitto eccellenti od accettabili senza spendere molto. Mi
limito qui a due casi: quello elvetico e quello finlandese. Nello spazio
educativo elvetico, che come noto è suddiviso in molti micro- sistemi
scolastici, gli insegnanti sono tra i meglio pagati al mondo. Orbene,
nonostante queste remunerazioni appetibili, la media dei risultati
scolastici degli studenti svizzeri non è tra le migliori al mondo e nei
sistemi scolastici svizzeri, anzi in quelli nei quali gli stipendi degli
insegnanti sono più alti,
come per esempio a Zurigo, c'è penuria
di insegnanti. Non è dunque vero che se si pagano bene gli insegnanti si
ottengono buoni risultati scolastici e si attirano nelle scuole i
migliori laureati o si riesce a trattenere nella scuola gli insegnanti
più bravi.
Quindi, da questo aneddoto, nasce il
dubbio che non esiste una stretta correlazione tra spesa per
l'istruzione e rendimento scolastico, tra la spesa pro capite per
l’istruzione e la qualità di un sistema scolastico.
Non c’è dubbio che i paesi più ricchi sono
anche quelli che spendono di
più per la scuola e quelli che
globalmente ottengono i risultati migliori, ma in questo caso si include
nel calcolo anche il settore terziario che comprende le università
nonché
una gamma di istituti e laboratori che
in Italia non ci sono. In Italia si investe poco per la ricerca
scientifica e l’università mentre si spende molto, proporzionalmente,
per la scuola primaria. Forse questa è una scelta sociale comprendibile
ma in questo caso se ne devono accettare le conseguenze e soprattutto si
deve instaurare un sistema di controllo a tappeto della spesa. Va da sé,
almeno per me, che questo sistema di controllo deve essere a più
livelli, ma deve partire dal basso. I risultati dei quindicenni
finlandesi nell'indagine PISA dell’OCSE sono davvero intriganti se si
considera il fatto che in Finlandia la scolarità obbligatoria non inizia
a sei anni bensì a sette, ossia un anno dopo che non in Italia, che le
spese per l’istruzione, esclusivamente statale, sono relativamente
modeste, che gli studenti quindicenni conseguono punteggi molto più
elevati dei coetanei di altri sistemi scolastici e che questi risultati
sono molto più omogenei per regioni geografiche e per classi sociali.
Occorre dunque spiegare questo arcano. In Finlandia ci sono 320 comuni e
3400 scuole. Comuni e scuole fruiscono di una considerevole autonomia
organizzativa e pratica. Per esempio, nella scuola finlandese non ci
sono ispettori, non si fanno valutazioni, non ci sono esami nazionali.
Questi risultati non sono un fulmine a ciel sereno ma sono il frutto di
una cultura dell'autonomia comunale che risale all'inizio del 20º
secolo. Non ci sono dunque misteri. Si può correre il rischio
dell'autonomia ed addirittura quello della non valutazione per
conseguire ottimi risultati, ma questo effetto non si ottiene con un
decreto del presidente della Repubblica e neppure in un battibaleno. Con
questo vorrei dire che si vuole migliorare la scuola in Italia,
la soluzione va cercata in Italia e non
in Finlandia.
Mi si chiede dove si possono trovare fondi
supplementari necessari per migliorare le
scuole. Orbene, la prima cosa da fare
sarebbe quella di rilevare in modo preciso come sono utilizzati i fondi
attualmente stanziati per l'istruzione. Come ho detto poc'anzi
quest'informazione è lacunosa. Il finanziamento dell'istruzione risulta
dall'afflusso di moltissimi rivoli e siamo ben lungi dall'aver
effettuato un inventario completo di questi contributi.
Proporrei quindi in un primo tempo una
moratoria sui tagli per l'istruzione perché è inutile proclamare di
voler ridurre gli sprechi se sprechi non ce ne sono. Non ne sappiamo
gran che in questo momento. Si suppone che ci siano sprechi, che si
spenda male per la scuola. È possibile ma nessuno è in grado di fornire
prove convincenti di quest'ipotesi. Anche l’OCSE non è in grado di
affermare se una determinata percentuale del PIL rappresenti una soglia
minima al di sotto della quale si correrebbe il rischio di un
peggioramento drammatico nella qualità dell'istruzione. Sarebbe assai
bello se si conoscesse questa soglia: il 6% del PIL, oppure il 5%,
oppure il 4,5%? Per il momento nessuno è in grado di affermare con
certezza quale debba essere la parte del prodotto interno lordo di un
paese che va consacrato all'istruzione, azzerando le differenze tra
paesi imputabili al costo della vita. Ho la sensazione, quando mi
confronto con un tema come questo, di trovarmi tra l'incudine e il
martello: da un lato propendo a ritenere, e ci sono nel resto ampie
prove in materia, che non si migliora l'istruzione, senza un incremento
di spesa; dall'altro però ho seri dubbi che un finanziamento
dell'apparato scolastico vigente, così come è tuttora, serva a qualcosa.
Si riprodurrebbero probabilmente difetti ultranoti. Maggiori
investimenti per tenere in piedi il sistema odierno non aiutano a
correggerlo. Se tutto va bene non si farebbe che un’operazione cosmetica
oppure un’opera di restauro. La strategia
espansionista dell’ apparato scolastico
propugnata dalla classe politica e sindacale non lotta affatto contro le
disuguaglianze sociali di fronte all'istruzione, contro
lo spreco di capitale umano, contro la
segregazione sociale nell’istruzione. Dubito che investimenti a fondo
perso riusciranno a tenere in vita un sistema scolastico con grossi
difetti strutturali e non solo congiunturali.
Domanda
N° 4:
Sempre a proposito di fondi e premi
:recentemente
è stata proposta dal Ministero una
sperimentazione per misurare la qualità delle scuole e il merito degli
insegnanti .
La proposta non sembra aver avuto il gradimento dei Collegi dei docenti
che non hanno aderito al progetto pilota.
Nei mesi scorsi ci sono state dimostranze di opposizioni anche per le
Prove Nazionali Invalsi.
A seguito di questi fatti non sarebbe
opportuno fare un sondaggio presso le scuole su quale valutazione
sarebbe giusta ?
Non sarebbe necessario fare una vera e propria
formazione
agli insegnanti sui test nazionali ? E’
giusto aver usato uno strumento di valutazione
complesso come le prove invalsi senza
una dovuta formazione dei docenti,sia sul piano dell’apprendimento
( nuove teorie della conoscenza basate
sulle competenze ), sia sul piano psicopedagogico
(teniamo di conto che i test
coinvolgono anche bambini piccoli di sette anni)?
Questa domanda concerne la pratica della
valutazione: valutazione del sistema scolastico (per esempio le prove
INVALSI), valutazione delle scuole (se sono bene informato
è in corso una grande sperimentazione
da parte dell’INVALSI), valutazione degli insegnanti (per esempio la
sperimentazione “Valorizza”). Orbene, c'è modo e modo di valutare. Ci
sono diversi approcci valutativi e nessuno è perfetto. Nemmeno quelli
svolti con una sembianza di grande rigore statistico-matematico sono
ineccepibili. Ogni tipo di valutazione è connotato da pregi e difetti.
Occorre quindi valutare le valutazioni per apprezzare convenientemente
quanto ci si trova tra le mani una valutazione di un’esperienza o di una
sperimentazione. Non c'è quindi un metodo valutativo omni- comprensivo,
che abbia valore universale, che vada bene per tutte le situazioni. Si
può fare dire di tutto ad una valutazione. I bravi valutatori sono
abilissimi a questo proposito. Non c'è quindi una valutazione giusta ed
una sbagliata, ci sono solo valutazioni ben fatte o mal fatte dal punto
di vista metodologico, rigorose oppure superficiali. Quelle ben fatte
non sono necessariamente giuste. Detto questo è indispensabile tenere
presente che la procedura di valutazione, ossia le modalità con le quali
una valutazione è impostata, è la parte più sensibile di una
valutazione.
Per ragioni molteplici che qui non svisceriamo
ci si trova in un periodo storico nel quale non si può più prescindere
dalla valutazione, a meno di essere immersi in una diffusa cultura di
“rendicontazione”
oppure di operare in contesti nei quali
il capitale sociale che circonda la scuola sia particolarmente rilevante
e attivo. Le valutazioni sono necessarie perché in molti casi sono
strumenti validi di miglioramento della qualità dell'istruzione e delle
scuole. Anche la valutazione non è una panacea, può fare del bene o del
male. In generale però ci si accorda per dire che serve alquanto e molte
indagini convalidano gli effetti positivi della valutazione
sull’organizzazione e il funzionamento delle scuole e sui risultati
globali dei sistemi d’insegnamento. Si può e si deve valutare in modo
corretto, ma quando si intraprende una valutazione si deve prestare
molta attenzione alla procedura utilizzata. Orbene, le procedure
cambiano in funzione degli obiettivi che si vogliono conseguire con una
valutazione, ossia in funzione di quello che si auspica conoscere grazie
ad una valutazione e in funzione di chi finanzia la valutazione oppure
di chi la richiede (non sempre si tratta degli stessi enti). Siccome non
esiste un’ unica procedura di valutazione,
la procedura può cambiare di volta in
volta. E’ bene nondimeno prevedere, quando si svolge la valutazione di
una sperimentazione, sperimentare la procedura e valutarla a sua volta
per correggerla e adattarla prima di impostare una valutazione su larga
scala e soprattutto prima di avviare valutazioni che potrebbero avere
conseguenze anche drammatiche per gli insegnanti, per i dirigenti, per i
responsabili scolastici. Questo significa che nell'arco di tempo dello
svolgimento di una valutazione si deve prevedere un periodo di tempo
sufficiente per la valutazione della procedura, per la sperimentazione e
per l’analisi e la discussione dei risultati. Se non si rispettano
queste tappe si corre il rischio di commettere colossali errori e di
provocare reazioni indignate da parte di chi è valutato. Faccio
presente, se sono bene informato, che "Valorizza "era stata concepita
come una sperimentazione. L'idea in sé e per sé era corretta: si
sperimenta su scala ridotta un modello di retribuzione degli insegnanti
basato sulla reputazione prima di generalizzarlo. Del resto non
era neppure errata l'idea di avviare
una valutazione sulla reputazione per vedere se fosse possibile trovare
in seno ad un istituto scolastico un consenso sugli insegnanti che
godono di chiara fama e se esiste una correlazione tra la chiara fama,
la qualità dell'insegnamento, gli
apprendimenti degli studenti, prima di
stanziare un premio ai docenti meritevoli. L’ipotesi iniziale è che
tutto ciò esiste e che si tratta di renderlo esplicito in modo
“oggettivo”. Ma le ipotesi non bastano. Si devono verificare. La
sperimentazione “Valorizza” presuppone l’esistenza di un consenso a
priori sulla necessità di modificare il metodo di remunerazione degli
insegnanti in vigore il quale si contraddistingue per la priorità
riservata esclusivamente all'anzianità a scapito del merito. Questo è un
problema universale e non solo italiano. Orbene, le buone intenzioni
iniziali della sperimentazione "Valorizza "non sono state suffragate
dalla procedura adottata per svolgere la sperimentazione. Vedremo cosa
racconteranno i valutatori
i quali dovrebbero essere un’istanza
estranea al ministero ma che invece sono stati coinvolti a loro volta, a
gradi diversi, nell’impostazione e nella conduzione della
sperimentazione.
Va da sé che nella formazione iniziale degli
insegnanti dev’essere riservata un’ adeguata attenzione alla
valutazione. Ai futuri insegnanti
si devono spiegare le caratteristiche
delle valutazioni, le norme e le condizioni di base di una valutazione
svolta secondo standard riconosciuti di qualità. Va anche fornita una
formazione statistica di base per capire le valutazioni esterne di tipo
empirico. Inoltre, nel caso di ogni valutazione che abbia a che fare con
gli insegnanti e con le scuole, non solo è raccomandabile ma è
indispensabile spiegare agli insegnanti le caratteristiche dalla
valutazione che, come detto prima, cambiano a seconda dei casi. Dopo la
sperimentazione, dopo la valutazione della valutazione, va prevista una
terza fase ossia la spiegazione dettagliata della valutazione agli
addetti ai lavori
e in primo luogo a tutti coloro che
sono stati oggetto di valutazione, ossia a tutti coloro che
in un modo diretto oppure indiretto ne
subiranno le conseguenze. Non è facile svolgere una valutazione, non lo
è neppure spiegarla e capirla.
Domanda
N° 5
Le prove strutturate, i test , i quiz,i
punteggi sono molto criticati e hanno
preso una valenza negativa.
Per completare la domanda di prima ,
forse sarebbe importate capire che
anche dietro ai test e alle prove strutturate può nascere un ‘idea di
educazione. Come si usano le discipline per educare i ragazzi, perché
non dare alla valutazione un aspetto formativo, sviluppando
l’atteggiamento mentale
che servirà ai ragazzi per
tutta la vita ?
La valutazione non è una novità per la scuola.
Nelle scuole si è sempre valutato e gli insegnanti hanno costruito la
loro autorità sui voti, sulle promozioni, sulle bocciature. In altri
termini, la valutazione ha sempre fatto parte dell’armamentario
dell’educazione scolastica. Attribuire voti, promuovere o rimandare,
distribuire titoli che attestano il buon esito della scolarizzazione
sono funzioni della missione
sociale, economica
e politica
della scuola. Fin quando le valutazioni
scolastiche hanno fornito
un'indicazione sui meriti e demeriti
degli studenti, indicazioni giuste o sbagliate che fossero, poco
importa, la legittimazione dell'istituzione scolastica non ha subito
nessuna incrinatura. I problemi hanno cominciato a sorgere quando la
ricerca scientifica, per esempio la docimologia, ha dimostrato, prove
alla mano, l'arbitrarietà delle valutazioni scolastiche in classe svolte
dagli insegnanti. A partire da questo momento il prestigio delle
istituzioni scolastiche e l'autorità degli insegnanti hanno subito una
perdita di credibilità impressionanti. Le prove strutturate, in questo
caso si allude ai test di conoscenza, non sono che un tentativo per
neutralizzare l'arbitrarietà delle valutazioni soggettive e ridare una
parvenza di credibilità all'istituzione scolastica. Le prove strutturate
sono un approccio valutativo che è contraddistinto dal rigore statistico
e matematico con il quale si aspira a fornire una valutazione oggettiva.
I perfezionamenti metodologici di questi ultimi decenni in questo campo
sono stati considerevoli ma purtroppo la
formazione degli insegnanti è rimasta
del tutto carente a questo riguardo per cui si può senz'altro affermare
che la stragrande maggioranza degli insegnanti non possiede nemmeno i
rudimenti per comprendere come sono strutturati i test e come sono
organizzate le valutazioni esterne su vasta scala. Esiste una frattura
impressionante tra il perfezionamento metodologico dei test da un lato e
dall'altro le conoscenze statistiche di base necessarie per capire come
questo approccio valutativo funziona, come si possa utilizzare, quali ne
sono i limiti, come si possono perfezionare. Va da sé infine che non è
con una valutazione che si sviluppa un atteggiamento mentale utile per
l'esistenza. Questo è un compito che travalica la somministrazione di
una valutazione. Se nelle scuole lo si svolgesse adeguatamente, si
risolverebbe forse una parte del problema causato dalla perdita di
credibilità dell'istituzione scolastica, si utilizzerebbero meno i test
e si farebbero meno valutazioni.
Biografia Norberto Bottani
è ricercatore di fama internazionale nel campo delle politiche
scolastiche.
* L’intervista è stata realizzata da Marisa Bracaloni per conto di
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