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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Classi di accoglienza per stranieri “Il dizionario sotto il cuscino”
Lettera di un’insegnante all’Onorevole Cota della Lega Nord

 

Onorevole Cota, la invito, aiutato dalla seduzione letteraria di Tahar Ben Jelloun, a mettersi nei panni di una giovane persona che lascia il suo paese per andare a vivere altrove. “A occhi bassi” racconta le vicende e i pensieri di una pastorella berbera dell’Alto Atlante che arriva a Parigi e piena di speranze finalmente va a scuola.

“Avevo undici anni, o li avrei avuti dopo poco. Volevo essere grande, per affrontare la scuola e superare la maggior parte dei bambini. Avevano con me un unico punto in comune; erano in ritardo rispetto alla norma scolastica. Io non ero nemmeno in ritardo, io ero a zero, venivo da lontano, venivo da una alta montagna dove mai una sola parola di francese era stata pronunciata. Se no, le pietre l’avrebbero ricordata e io l’avrei imparata”.

Un pensiero fisso: lasciare la “class d’accueil”, la classe degli stranieri che testimonia il ritardo e la separatezza, e andare a scuola con i coetanei francesi. Per questo è disposta a tutto.

“Spesso dormivo con il dizionario sotto al cuscino. Ero persuasa che le parole di notte lo avrebbero attraversato per venire a sistemarsi in caselle predisposte per metterle in ordine. Le parole avrebbero così lasciato le pagine e sarebbero venute a stamparsi nella mia testa.
Una notte, tolto il guanciale, misi la testa direttamente sul libro magico. Feci fatica ad addormentarmi”. Non era comodo.

La sua mozione dimostra che lei sta facendo il suo lavoro di deputato, accoglie cioè le richieste dei suoi elettori, tra cui vi sono certamente anche insegnanti e genitori. Lei non si inventa niente, lei però si serve di cattivi consiglieri, pessimi.
Tutti noi insegnanti sogniamo che i nostri alunni apprendano tutto quello che proponiamo loro e tutti allo stesso modo. Ma non è così. La classe, anche senza gli alunni stranieri, è già una comunità di diversi. Diversi per interessi, intelligenze, talenti, modi di imparare.
Certi docenti, che oggi sono infastiditi dagli extracomunitari e ieri lo erano dai disabili e prima ancora dagli immigrati dal sud dell’Italia, vogliono degli alunni a cui fare la stessa lezione, tutta uguale, senza perdere tempo a preparare proposte differenziate, a parlare a ciascuno. Sono pigri, ignoranti, e attribuiscono sempre ai bambini e ai ragazzi le loro incapacità, i loro fallimenti didattici. I peggiori. Toppo facile insegnare a chi impara subito e lo avrebbe fatto anche senza di loro.
Che dire di alcuni genitori, di quelli che le hanno manifestato la loro preoccupazione che i figli rimangano indietro per colpa dei compagni stranieri che rallentano il programma? Questi genitori li conosco. Accelerano ogni tappa dei loro bambini, che sono costretti ad anticipare il loro ingresso a scuola, che devono imparare almeno due lingue, uno strumento, sport vari ecc. Dalla culla, alla competizione del mercato.
Questi elettori esistono e lei li ascolta, anzi trasforma le loro richieste in mozioni destinate, spero di no, a diventare leggi, provvedimenti. Invece di ascoltare chi insegna italiano come seconda lingua da anni, gli esperti di glottodidattica (educazione linguistica), di linguistica acquisizionale (lo studio e la ricerca sui modi, i tempi, gli stadi di acquisizione di una lingua diversa dalla lingua madre), i pedagogisti che da anni si occupano di inserimento.

La via italiana per la scuola interculturale e per l’integrazione degli alunni stranieri”  è un documento elaborato da una commissione di specialisti che da anni affrontano questi temi e che hanno prestato gratuitamente la loro competenza al fu Ministero della Pubblica Istruzione.

Presentato esattamente un anno fa, in un seminario dal titolo significativo: “Scuola e immigrazione: strategie e misure a confronto”, raccolse l’interesse e l’incoraggiamento di esperti e funzionari ministeriali venuti da Francia, Germania, Inghilterra, Spagna e Svezia, che riconoscevano nel nuovo modello italiano una proposta illuminata e lungimirante.

Insegnare in una prospettiva interculturale vuol dire assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola, occasione privilegiata di apertura a tutte le differenze.

Nessuno studioso, nessun docente competente potrebbe condividere l’idea che le classi separate facilitano l’apprendimento dell’italiano.
Ogni anno migliaia di ragazzi italiani partono per il Regno Unito, per imparare l’inglese dove si parla. Le scuole migliori, e anche le più costose, prevedono corsi di lingua inseriti in summer camp dove si svolgono attività sportive e pratiche insieme a parlanti nativi (gli inglesi madrelingua) .
Perchè gli alunni venuti d’altrove devono imparare in un luogo e in un tempo che li separa dai coetanei italiani?
Perché non possiamo offrire loro l’opportunità di corsi intensivi in alcune ore della giornata scolastica? Corsi a scalare, a seconda dei progressi o da incrementare, se ci sono degli intoppi.
La via italiana esiste. La legga con attenzione e senza pregiudizi. Ci hanno lavorato i più importanti esperti e accademici italiani. E non sono solo parole, se si giudica dagli stanziamenti del precedente ministro.

Voglio chiudere con la risposta di Randya (nome di fantasia), una bambina di sei anni, con entrambi i genitori non udenti, a chi le chiedeva come avesse fatto a imparare l’italiano:

Bè io camminavo da Esselunga, ho visto gli italiani, ho sentito tutto e poi ho imparato bene e loro parlavano tanto e poi guardavo la televisione, e poi a scuola i miei amici che parlavano bene.

Rendiya è trilingue: lingua madre, la lingua dei segni; seconda lingua, quella del suo paese d’origine; terza lingua l’italiano, imparato spontaneamente in poco più di un mese.
Non tutti i bambini stranieri sono così veloci, né speciali, sono bambini. Ci sono quelli che imparano per tentativi ed errori, quelli che parlano solo quando sono sicuri, quelli che non hanno attitudine per le lingue ecc. Bambini e adolescenti destinati comunque ad essere bilingui e anche di più, perché la malattia del monolinguismo affligge particolarmente gli italiani.
In una cosa però sono diversi: conoscono due paesi e due culture. Hanno attraversato “un ponte sospeso tra due mondi” e imparato presto a fare confronti, a interrogarci.
Che cosa penserebbe Randya della sua mozione e dei suoi test? Se ascoltasse questa piccola persona che ha la responsabilità di fare da interprete ai suoi genitori, forse potrebbe cambiare idea e chissà, ritirare quella proposta incompetente e anacronistica.

Arcangela Mastromarco, insegnante di italiano lingua seconda da 18 anni


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