Classi di accoglienza per stranieri “Il
dizionario sotto il cuscino”
Lettera di un’insegnante all’Onorevole Cota della Lega Nord
Onorevole Cota, la invito, aiutato dalla seduzione letteraria di
Tahar Ben Jelloun, a mettersi nei panni di una giovane persona che
lascia il suo paese per andare a vivere altrove. “A occhi bassi”
racconta le vicende e i pensieri di una pastorella berbera dell’Alto
Atlante che arriva a Parigi e piena di speranze finalmente va a scuola.
“Avevo undici anni, o li avrei avuti dopo poco. Volevo essere grande,
per affrontare la scuola e superare la maggior parte dei bambini.
Avevano con me un unico punto in comune; erano in ritardo rispetto alla
norma scolastica. Io non ero nemmeno in ritardo, io ero a zero, venivo
da lontano, venivo da una alta montagna dove mai una sola parola di
francese era stata pronunciata. Se no, le pietre l’avrebbero ricordata e
io l’avrei imparata”.
Un pensiero fisso: lasciare la “class d’accueil”, la classe degli
stranieri che testimonia il ritardo e la separatezza, e andare a scuola
con i coetanei francesi. Per questo è disposta a tutto.
“Spesso dormivo con il dizionario sotto al cuscino. Ero persuasa che
le parole di notte lo avrebbero attraversato per venire a sistemarsi in
caselle predisposte per metterle in ordine. Le parole avrebbero così
lasciato le pagine e sarebbero venute a stamparsi nella mia testa.
Una notte, tolto il guanciale, misi la testa direttamente sul libro
magico. Feci fatica ad addormentarmi”. Non era comodo.
La sua mozione dimostra che lei sta facendo il suo lavoro di
deputato, accoglie cioè le richieste dei suoi elettori, tra cui vi sono
certamente anche insegnanti e genitori. Lei non si inventa niente, lei
però si serve di cattivi consiglieri, pessimi.
Tutti noi insegnanti sogniamo che i nostri alunni apprendano tutto
quello che proponiamo loro e tutti allo stesso modo. Ma non è così. La
classe, anche senza gli alunni stranieri, è già una comunità di diversi.
Diversi per interessi, intelligenze, talenti, modi di imparare.
Certi docenti, che oggi sono infastiditi dagli extracomunitari e ieri lo
erano dai disabili e prima ancora dagli immigrati dal sud dell’Italia,
vogliono degli alunni a cui fare la stessa lezione, tutta uguale, senza
perdere tempo a preparare proposte differenziate, a parlare a ciascuno.
Sono pigri, ignoranti, e attribuiscono sempre ai bambini e ai ragazzi le
loro incapacità, i loro fallimenti didattici. I peggiori. Toppo facile
insegnare a chi impara subito e lo avrebbe fatto anche senza di loro.
Che dire di alcuni genitori, di quelli che le hanno manifestato la loro
preoccupazione che i figli rimangano indietro per colpa dei compagni
stranieri che rallentano il programma? Questi genitori li conosco.
Accelerano ogni tappa dei loro bambini, che sono costretti ad anticipare
il loro ingresso a scuola, che devono imparare almeno due lingue, uno
strumento, sport vari ecc. Dalla culla, alla competizione del mercato.
Questi elettori esistono e lei li ascolta, anzi trasforma le loro
richieste in mozioni destinate, spero di no, a diventare leggi,
provvedimenti. Invece di ascoltare chi insegna italiano come seconda
lingua da anni, gli esperti di glottodidattica (educazione linguistica),
di linguistica acquisizionale (lo studio e la ricerca sui modi, i tempi,
gli stadi di acquisizione di una lingua diversa dalla lingua madre), i
pedagogisti che da anni si occupano di inserimento.
“La
via italiana per la scuola interculturale e per l’integrazione degli
alunni stranieri” è un documento elaborato da una commissione
di specialisti che da anni affrontano questi temi e che hanno prestato
gratuitamente la loro competenza al fu Ministero della Pubblica
Istruzione.
Presentato esattamente un anno fa, in un seminario dal titolo
significativo: “Scuola e immigrazione: strategie e misure a confronto”,
raccolse l’interesse e l’incoraggiamento di esperti e funzionari
ministeriali venuti da Francia, Germania, Inghilterra, Spagna e Svezia,
che riconoscevano nel nuovo modello italiano una proposta illuminata e
lungimirante.
Insegnare in una prospettiva interculturale vuol dire assumere la
diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola, occasione
privilegiata di apertura a tutte le differenze.
Nessuno studioso, nessun docente competente potrebbe condividere
l’idea che le classi separate facilitano l’apprendimento dell’italiano.
Ogni anno migliaia di ragazzi italiani partono per il Regno Unito, per
imparare l’inglese dove si parla. Le scuole migliori, e anche le più
costose, prevedono corsi di lingua inseriti in summer camp dove si
svolgono attività sportive e pratiche insieme a parlanti nativi (gli
inglesi madrelingua) .
Perchè gli alunni venuti d’altrove devono imparare in un luogo e in un
tempo che li separa dai coetanei italiani?
Perché non possiamo offrire loro l’opportunità di corsi intensivi in
alcune ore della giornata scolastica? Corsi a scalare, a seconda dei
progressi o da incrementare, se ci sono degli intoppi.
La via italiana esiste. La legga con attenzione e senza pregiudizi. Ci
hanno lavorato i più importanti esperti e accademici italiani. E non
sono solo parole, se si giudica dagli stanziamenti del precedente
ministro.
Voglio chiudere con la risposta di Randya (nome di fantasia), una
bambina di sei anni, con entrambi i genitori non udenti, a chi le
chiedeva come avesse fatto a imparare l’italiano:
Bè io camminavo da Esselunga, ho visto gli italiani, ho sentito tutto
e poi ho imparato bene e loro parlavano tanto e poi guardavo la
televisione, e poi a scuola i miei amici che parlavano bene.
Rendiya è trilingue: lingua madre, la lingua dei segni; seconda
lingua, quella del suo paese d’origine; terza lingua l’italiano,
imparato spontaneamente in poco più di un mese.
Non tutti i bambini stranieri sono così veloci, né speciali, sono
bambini. Ci sono quelli che imparano per tentativi ed errori, quelli che
parlano solo quando sono sicuri, quelli che non hanno attitudine per le
lingue ecc. Bambini e adolescenti destinati comunque ad essere bilingui
e anche di più, perché la malattia del monolinguismo affligge
particolarmente gli italiani.
In una cosa però sono diversi: conoscono due paesi e due culture. Hanno
attraversato “un ponte sospeso tra due mondi” e imparato presto a fare
confronti, a interrogarci.
Che cosa penserebbe Randya della sua mozione e dei suoi test? Se
ascoltasse questa piccola persona che ha la responsabilità di fare da
interprete ai suoi genitori, forse potrebbe cambiare idea e chissà,
ritirare quella proposta incompetente e anacronistica.
Arcangela Mastromarco, insegnante di italiano lingua
seconda da 18 anni
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